Drammatica udienza al processo della Nembo

Drammatica udienza al processo della Nembo Drammatica udienza al processo della Nembo La precisa accusa, di un coimputato al capitano Alvino - La lettera d'un morto Napoli, 8 novembre. L'improvviso inatteso apparire del fratello di un carabiniere morto nel '44 in strane circostanze, che era presente in Sardegna all'uccisione del tenente colonnello Bechi, con un documento che nessuno sapeva esistesse, è stato il forte colpo imprevisto che ha reso drammatica questa terza udienza in cui lenta comincia a filtrare la luce sulla ribellione dei paracadutisti della « Nembo >. Ferdinando De Luca, fratello del carabiniere morto, è un giovane carabiniere in congedo. Abita a Napoli nel vico Lungo Concordia 44. Egli ha saputo del processo dai giornali e si è ricordato che in una scatola in fondo a un cassetto aveva uno scritto del fratello su come era accaduto il dramma al posto di blocco di Bordigale. Cosi è venuto stamane presto, ha chiesto di parlare con la Procura Militare ed ha posto a disposizione il foglio che il rappresentante dell'accusa,' col. Foscolo, ha letto e poi si è messo in tasca. Il secondo episodio drammatico è stato lo scontro fra il capitano Alvino e l'altro imputato sottotenente Mario Felaco. Egli è stato il vero protagonista di questa terza udienza e le sue parole avranno una importanza decisiva, Egli non ha visto tutta la scena e dichiara: «Quando giunse la macchina ero distante da 50 a 100 metri dal posto dove essa si fermò. Non vidi giungere la macchina. Sentii degli spari. Accorsi ar mato di sola pistola >. Ieri, Alvino aveva detto di essersi recato presso Bechi ' senza armi sebbene « secondo la tradiz'one paracadutista non i a a o l i i o n isi deve mai presentarsi in uniforme disarmati ». Avendo fretta di correre dal colonnello e avendo lasciato le armi « portatili » in custodia a un paracadutista, Ludovico Del Buono, egli preferì accorrere in maniche di camicia. Le sue testuali parole, registrate ad una ad una (fu lui a dettarle al cancellerie.e capit. Pucci), furono; « Avrei voluto indossare la giubba, ma poiché questa era rimasta con le armi mi sono presentato davanti alla macchina senza giubba ». Il sottotenente Felaco ha invece dichiarato: « Quando l'Alvino fu arrestato, circa quattro anni fa, fui invitato dal suocero dell'Alvino stesso, qualche mese dopo l'arresto, a dirgli se ero disposto a deporre cne il capitano Alvino era allora disarmato e poiché in quell'epoca i miei ricordi erano freschi e sicuri gli risposi come ciò non fosse possibile avendo 10 constatato che invece l'Alvino era armato, sia pure immediatamente dopo gli spari ». E inoltre: « Giunsi quando era stato appena aperto lo sportello e ci si accingeva ad estrarre il corpo esanime del Bechi ». Richiesto poi su un particolare essenziale, ha dichiarato: « Ho dovuto impiegare nel tragitto un minuto o frazione di minuto ». Appare dunque evidente da tutto ciò, 11 contrasto completo fra i due ufficiali. E' adesso la volta del sottotenente Felaco che è davanti ai giudici anche lui sull'attenti a spalla a spalla con Alvino: « Io — scandisce fermo e chiaro l'ufficiale — confermo che il capitano Alvino aveva la pi stola ». Questa deposizione con le ammissioni fatte in istruttoria da altri imputati avrà il suo decisivo peso nel processo c. g.

Luoghi citati: Napoli, Sardegna