Simon Boceanegra

Simon Boceanegra I GRANDI PERSONAGGI VERDIANI Simon Boceanegra Non vi è qui tenerezza di donna, non vi sono facili arie d'amore; è il canto di una forte passione virile, il saono alto, solenne, della coscienza morale Giuseppe Verdi parrebbe meno grande se la numerosa sua opere fosse poco varia nei soggetti, quindi nell'entità delle persone fantastiche, nell'organismo tecnico e spirituale, nei modi e nell'accento delle passioni; ss accanto a Violetta, ad Alfredo, ad Azucena, ad Amneris, a Otello, a Desdemona e ad altre amanti e doloranti anime non grandeggiassero quelle nelle, quali non l'amore femminile e maschile, 0 la tenerezza mat ama 0 paterna, ma l'amore in più vasto asnso, etico e umano, desta speranze, affanni, dolori, tempeste: Nabucco, Macheti, Filippo n, l'Inquisitore, Amo nasro, Boceanegra. Osservare gli uomini, 1 caratteri, e creare poetiche persone come mondi diversi, svolgere il filo della loro esistenza fra eventi favorevoli e contrastanti, è proprio dell'artista che può dirsi uni ver sai ì, e che non soltanto in alcuni momenti, di consonanza, ma sempre ci soccorre, tonifica, estasia. Dalla particolare natura delle passioni nei maggiori personaggi, Boceanegra, Fiesco, Paolo, deriva probabilmente la speciale stesura di questo melodramma: qui il recitativo arioso ha grande parte. Subì Verdi, come i contemporanei supposero, l'influenza wagneriana? Non mi sembra. Quell'influenza fu limitata, se mai, all'inevitabile. Forse, la spontaneità drammaturgica e la logica tradizione confluirono nella scelta: l'aria, forma chiusa, è un ben organato sfogo passionale; la forma aperta è improvvisa, dinamica, narrativa. Poiché l'innamoramento è un episodio secondario, si hanno qui poche arie, solamente tre, e non eccellenti; più numerassi i duetti;- ma 1 frammenti melodici spesseggiano e contribuiscono allo svolgimento del dramma. Sono perciò ricordevoli il duetto di Amelia con Gabriele « Parla in tuo cor Vergine », e gli spunti di Fiesco, « Dalle faci festanti » e 4 Piango ». Ammirevole in quest'opera è l'arte che tramuta in Urica non solo gli stati d'animo, ma perfino, direi, i moti di coscienza frementi in uomini pronti al bene e al male sociale. Luminosamente si prova che un libretto, in questo caso dell'ottimo Boito, è soltanto uno schema davanti alla fantasia del musicista, uno schema in attesa di corpo e di spirito melodrammatico, e che la logica del traliccio ha nell'opera una efficienza nor più che ragionevole, come la dignità lette¬ raria ne è un elemento non più che decoroso. Se dovessi scegliere la parte più densa e più rappresentativa della potenza melodrammaturgica, indicherei la chiusa del primo atto. Un breve preludio strumentale, tutto fuoco e irruenza, e appare la sala del Consiglio. Alto sul seggio, il Doge sta fra dodici consiglieri nobili e altrettanti popolari. Poiché 11 primo grido del coro maschile e: « Guerra a Venezia, è nostra patria Genova», Boccanegra può subito rivelarsi, quale è stato concepito e scolpito: un appassionato capo, che s'indigna della volubilità dei sudditi, dell'insidia dei traditori, delle ferite inferte alla sua purezza, e supera ogni avversità con animo forte. Ecco 11 suo concitato recitativo, < E con quest'urlo atroce ». Ecco, nel coro interno a bocca chiusa, la torbida minaccia, e nel-, l'orchestra, Allegro agitato, l'incalzante vicenda d'un'ansiosa melodia, di un basso pulsante, di urgenti cromatismi, di dialoghi precipitosi, di urla corali sempre più vicine, una vicenda che cresce di attimo in attimo, l'approssimarsi dei furenti ribelli, la trepidazione dei nobili, dei popolani, del probo Doge, dei traditori Paolo e Pietro. Il feroce grido a sei voci « Morte al Doge » e la risposta di lui « Sta Dan! » sono il primo culmine di questo drammàtico episodio. La vigorosa fermezza del dominatore, espressa nel recitativo « Che le minacele udii..., che qui li attendo», il violento incitamento «All'armi, al saccheggio», sul tema del citato Allegro agitato, lo squillo della tromba dell'Araldo, l'inatteso favore del popolo, « Evviva il Doge », tutto questo rapido svolgimento scenico sfocia nella sdegnosa apostrofe di Boceanegra: « Ecco le plebi! ». L'irruenza parimenti anima gli episodi che seguono lo scatto di Gabriele contro Simone, l'intervento di Amelia. « Ferisci! », la calma di Simone di fronte all'innamorato della figliuola. Una tregua: Amelia canta. Melodia mediocre. Nuovamente s'urtano nobili e popolani, e snudano 1p spade. Tuona la seconda apostrofe di Simone: « Fratricidi! ». Con l'invocazione < Plebe! Patrizii!» il finale s'avvia al termine. Un grande amore umano e civile empie il petto di Simone. C'è dell'oratoria, si, c'è dell'enfasi, c'è la teatralità, anche un poco, come fine a se stessa, specialmente nella cadenza «E vo' gridando pace, e vo' gridando amor ». Tuttavia il personaggio è gagliardo, la passione ardente, il canto espressivo. E voi sentite che l'ascendente di Simone sugli astanti è tale da commuoverli e renderli arrendevoli. Se nel breve concertato la voce del soprano, « Pace », sorvola sulle altre, non è essa che domina il complesso. Ma anche questa tregua è fugace. Ora Simone colpisce Paolo, il traditore. Occorre, come Verdi prescrive, un accento di tremenda maestà con violenza sempre più formidabile. Sembra che l'unisono strumentale del < Largo assai » rappresenti tutta l'energia e tutto lo sdegno compressi nell'animo del Doge; è quasi un gesto solenne, che imprime un segno d'infamia indelebile. Poi una larga cantilena del clarinetto s'alterna al magnifico recitativo. « V'è in queste mura... un vii che m'ode ». La dinamica incalza, preme, finché l'ultima invettiva « Sia maledetto» vien scagliata con im peto sopra uno scoppio strumentale. In un tremolo pieno d'orgasmo il ruggito si smorza, affinchè la più dura frase nitidamente colpisca: € E tu..., ripeti il giuro ». Tanta è la veemenza che il corale consenso: «Sia maledetto» ri suona umano e naturale. All'ultimo atto Fiesco precisa la sua figura nel perples si dialoghi con Boceanegra Specialmente l'inizio del duetti «Delle faci festanti» e «Piango» annunciano l'oscìl lazione dal rancore alla pietà. Di contro alla puerilità di Amelia, un personaggio del tutto fallito, (nell'apprendera d'esser nientemeno nipote di Fiesco, non sa che cantarellare un banale recitativo < Oh gioia! »), s'erge con poche note Boceanegra. Bellissimo è 11 cromatismo orchestrale, mentr'egli sente nelle vene l'insidia del veleno, bellissimo il motivo e il pathos nell'Invocazione al mare, cullante cantilena nostalgica, che al vecchio corsaro reca un istante dì quiete e si rivolge tragica nel l'aspettazione della morte. Con la benedizione degli sposi il protagonista dà l'addio all'an gustiata vita. Il quartetto nel quale egli confonde la sua ras«egnazione con i lamenti ai Fiesco, di Amelia, di Gabriele, lo ricinge come un lento crepuscolo. Poi le ultime battu te precipitano fosche e gravi, quasi una sintesi del precipuo accento dell'opera. Questa * è triste — scrisse Verdi nell'31 — perchè dev'es ser triste, ma interessa ». Tal'è. A. Della Corte

Persone citate: A. Della, Araldo, Boito, Fiesco, Giuseppe Verdi, Melodia, Plebe, Simon Boceanegra, Verdi

Luoghi citati: Amelia, Amneris, Azucena, Fiesco, Genova, Venezia