Quelli che non saranno divi di Enrico Emanuelli

Quelli che non saranno divi VX VIVAIO A fi Oli, IH OOP Quelli che non saranno divi Pellegrinaggi di fine settimana - Pianta topografica per rintracciare le case degli attori famosi - ** Gloria Swahson, stile spagnolesco, torre sulla destra, piscina in fondo,, - Giovani belli e brutti, che puzzano di cadavere - Le illusioni perdute... (Dal nostro Inviato speciale) Hollywood, ottobre. Andando verso Culver City, dove sono gli uffici e gli studi della Metro Goldwyn Mayer, l'amico che si era preso la briga di condurmi nel mondo del cinema, mi disse: < Sarebbe più facile entrare nelle officine Douglas che sono qui vicino, a Burbank, e che adesso hanno ripreso la costruzione d'aeroplani di guerra, che non in una qualunque casa cinematografica >. infatti il grande, bianco cancello della M. G. M. era sorvegliato da poliziotti privati, ed uno di costoro ci fermò proprio come se fossimo giunti davanti ad un posto di blocco. Non si passa il cancello, non si entra nella zona degli studi se non si è invitati e, soprattutto, attesi da qualcuno della direzione. «Mia nonna era Ingenua» Andavamo a visitare Frank Taylor, un giovane produttore di Hollywood. Entrando nel suo ufficio, la segretaria ci avvertì che avremmo dovuto aspettare pochi minuti: Taylor era occupato con alcuni sceneggiatori. Davanti ad un tavolino basso e rettangolare ci mettemmo a sedere su di un divano. Il tavolino era ricoperto da fascicoli di dattiloscritti, ed ogni fascicolo conteneva un soggetto cinematografico. Sopra un foglietto appiccicato alla copertina qualcuno del comitato di lettura aveva riassunto in poche righe la trama e poi aveva aggiunto un giudizio. Di solito il parere era racchiuso in una frase soltanto: « E' una castagna secca, davvero immangiabile », oppure: «Di certo è noioso, e poi è anche inutile >, oppure: <Mia nonna era ingenua, ma costui è più ingenuo di mia nonna >. Stavamo divertendoci leggendo simili giudizi, del tutto americani, quando Frank Taylor entrò. Vide che si curiosava tra quei fascicoli e subito si mise a ridere: « Ne ricevo duemila ogni mese. E' incredibile il numero delle persone che crede d'avere una storia interessante da raccontare agli altri >. Of- frendoci da fumare mi domandò: <Lei ha già visto Hollywoodt Nel mondo, pochi luoghi come questo sono schiacciati sotto il peso della retorica e del luogo comune. Ognuno se lo immagina come può, come vuole, cioè secondo la propria fantasia >. Nella realtà Hollywood non si distingue dagli altri sei o sette < centri » che formano Los Angeles: anche Hollywood ha'•quell'aria di villaggio-giardino che è comune alle giovani città della California e pare destinato al riposo di personaggi quasi invisibili. Ma questo che importa? Nominandolo, subito la mente corre a riferimenti precisi: cinematografo, attori ed attrici, grossi interessi economici, pettegolezzi, matrimoni e divorzi, eleganza, qualche scandalo. Risposi a Frank Taylor che era proprio così ed intanto ricordavo una cosa che. avevo visto qualche giorno prima. Lungo il Sunset Boulevard, che è una delle strade più vecchie e più note di Hollywood, sovente si incontrano uomini fermi sul marciapiede: hanno un grande cartello appeso al collo ed agitando un libretto con la mano destra, vi invitano a comprarlo. Quel piccolo libro, oltre le notizie più curiose intorno alla vita di Hollywood, contiene anche una pianta topografica che dovrebbe permettere al visitatore di rintracciare velocemente le case in cui abitano famosi attori, elogiatissime attrici, grandi registi. Ogni sabato ed ogni domenica, centinaia di automobilisti, che vengono da tutte le parti degli Stati Uniti, compiono questo strano pellegrinaggio di nuovo tipo e veramente possibile soltanto ad Hollywood. Storia degli invisibili Non direi che sia molto divertente. Di solito si tratta di vedere, in fondo ad un giardino, un cottage o quel che, per noi, sarebbe una villa, come ce ne sono molte sulle rive dei nostri laghi. Soltanto i più testardi riescono anche ad arrivare al muro di cinta della « Tana del Falcone >, la vecchia ca¬ sa di Rodolfo Valentino, tanto è in una zona fuori mano e oggi quasi abbandonata. Ma qui, come d'altronde in tutte le altre, non è possibile entrare: va a finire che il visitatore di buona voglia s'accontenta di dare un'occhiata a quel che può vedere ed una occhiata al libro per leggervi: « Casa di Gloria Swanson, in stile spagnolesco, con piccola torre sulla destra e piscina in fondo >. Tutte le indicazioni sono di questo arido tipo; qualche volta c'è anche quanti dollari la casa venne pagata. I/americano, si può dire, è sempre pronto a ritenere bello quel che costa molto. Non soltanto a questo alludeva Frank Taylor dicendomi che ognuno si immagina Hollywood come vuole e come può, cioè secondo la propria fantasia. Poco dopo, parlando per caso di tali visitatori di fine settimana, che sempre più numerosi calano nei viali di Hollywood, Taylor aggiunse: « Costoro si credono fortunati perchè pensano di conoscere finalmente in quale paesaggio, in quale ambiente sia possibile far vivere le stelle ed i divi che hanno imparato a conoscere sullo schermo. Ma dove lasciano tutti quelli che non conosceranno mai? Lei li ha visti oggi, ed è una cosa che pochi possono vedere >. Di tutta una lunga, meticolosa visita agli studi della Metro, mi pare che soltanto di questi < invisibili > valga la pena di parlare. Mi spiegò ancora Taylor: « Voi italiani, adesso, credete troppo nella recitazione di uomini trovati per caso da un regista, o di una qualche ragazza vi?icitrice d'un povero premio di bellezza. Noi insistiamo su una diversa strada, noi abbiamo ancora il vivaio >. Ogni grande casa cinematografica di Hollywood ha dunque un proprio vivaio d'attori, sono giovanotti e ragazze che sperano ed aspettano, ma — intendiamoci — non come illusi. Questo è il loro piccolo dramma, che poi lascia segni profondi: non sono illusi o sognatori dal momento che, dopo una serie di esami, sono stati ritenuti adatti a sperare e ad aspettare qualche cosa, gloria, danaro, rinomanza; eppure tanto di rado questo qualche cosa arriva, che costoro per tutta la vita penseranno d'essere stati vittima d'una congiura, d'un attimo sfavorevole, d'una parola cattiva, d'una tenebrosa invidia. Frank Taylor prese dal suo tavolo un foglio, vi diede una occhiata, poi disse: « Oggi ne abbiamo centodieci. Fra qualche anno, uno o, al massimo, due di costoro avranno una casa non lontano dal Sunset Boulevard ed i visitatori domenicali verranno a vederla ed a fantasticarci sopra. Gli altri, bene, agli altri è meglio non pensare. Se ne andranno con un'esperienza che ancora non ha trovato uno che abbia voluto o saputo descrivere. Conoscendola, forse nessuno metterebbe i piedi qua dentro >. Prender pugni Nel ristorante che è nella zona degli studi della Metro Goldwyn Mayer, a mezzogiorno avevo visto i ragazzi e le ragazze del vivaio. I centodieci aspiranti attori ed attrici mangiavano, ridevano, chiacchieravano seduti a gruppi di tra o quattro per tavolo. La freschezza della gioventù li salvava da ogni mortificazione. Nell'aria c'era qualcosa che faceva pensare ad un collegio frequentato però da strani alunni: tutti erano belli, o magari brutti, ma in una maniera bella. Di quando in quando una risata scoppiava ad un tavolo e, per un attimo, tutti guardavano da quella parte, un poco invidiosi, proprio come succede ai ragazzi nei collegi. Nessuno indugiò dopo la colazione; li vidi uscire ancora a gruppetti, sembravano diligenti impiegati premurosi net tornare al lavoro. Mi indicarono una ragazza, bionda, con \ capelli sciolti dietro sulla schiena, la figura magra: < Forse soltanto quella riuscirà > mi disse Taylor. Poi aggiunse: « Gli altri puzzano di cadavere. Bisognerà dirglielo >. Si può rimanere in un vivaio al massimo cinque anni, il tempo d'una illusione piustificata, che poi lascia un segno per tutta la vita. In questi cinque anni, dalle nove del mattino alle sei di sera si studia recitazione, si fanno esercizi di dizione, si girano piccoli saggi cinematografici, davvero scolastici, davvero esami duri e faticosi. Si impara anche equitazione, nuoto, il canto, la musica; i ragazzi imparano come si danno i pugni e, cosa più difficile, come si fa a prenderli in maniera cinematografica. € Ogni anno — mi dice Taylor — in- tutti gli studi di Hollywood almeno un migliaio abbandona l'idea di essere un attore od un'attrice; ed un altro migliaio arriva con la speranza d'avere presto o tardi una casa non lontano dal Sunset Boulevard >. Perchè scrivere di quello che vidi, prima e dopof Avevo girato per immensi magazzini zeppi di mobili d'ojrni stile, d'ogni epoca, inventariati come alla vigilia d'una vendita all'asta; e per lunghi magazzini pieni d'abiti d'ogni foggia e colore, s'andava dalla tunica dei romani alla divisa che indossano i soldati in Corea. Avevo attraversato, nella zona delle ricostruzioni, vasta come una città, una strada di Chicago, un vicolo della provincia francese, una foresta tahitiana, un villaggio del Middle-West, la piazza d'un piccolo paese siciliano. Il segnale ammonitore Poco dopo ero capitato dove si girava la scena d'un prossimo film. C'era un ponticello, due innamorati lo superavano, ad un tratto la raI gazza si fermava e guardanI do l'acqua cantava una ioi manza. In realtà la ragazza muoveva soltanto le labbra, mormorando le parole. La voce non era sua, ma quella di non so chi, incisa su un disco. Il canto era armonioso, si spandeva nell'aria con morbidezza, ma ogni tanto era interrotto da un gracchio, un < toc > come se la puntina, scivolando sul disco, incappasse in un buco. Era uno dei mille accorgimenti' con cui si fa un film: quel gracchio, il < toc > che sentivo, serviva a segnalare alla finta cantante in quale momento doveva respirare, * Come vede — mi disse Frank Taylor — qui anche il respiro è regolato da qualcuno ». Quel < toc > interrompeva la canzone amorosa come un segnale ammonitore. Nella memoria mi riappariva la ragazza vista nel ristorante, tra i compagni del vivaio, il suo viso pallido, i capelli biondi buttati sulla schiena, la bella figura che si muoveva nell'aria con la sicurezza che danno i sogni. < Forse soltanto quella •>, ma nemmeno quella poteva dirsi certa d'arrivare ad avere una casa non lontano dal Sunset Boulevard. Quel « toc > maligno si ripercoteva su tutta Hollywood. Enrico Emanuelli ■iitiiiiiiiiiiitiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiitMtiiiiiiiiitiii

Persone citate: Culver, Frank Taylor, Gloria Swanson, Rodolfo Valentino