I più begli asini del mondo di Giovanni Artieri

I più begli asini del mondo NELLA POETICA VALLE DI MARTINA FRANCA I più begli asini del mondo Vigne come francobolli e trulli musicali - Un palazzo "dimenticato» dal Bernini - Quel che mangia e quel che rende un mulo di razza martinese • Curiosa storia: Vepitalamio pel figlio di Favonio (Dal nostro inviato speciale) Martina Franca, settembre. A chi vorrebbe rimproverargli la troppo greve cultura delle sue collesioni, l'editore Laterza di Bari può rispondere di aver fatto gemere i torchi anche a favore degli asini. Si vuole alludere alla pubblicazione, in elegante e severa veste, dello statuto per la « Associazione tra gli allevatori dell' asino di Martina Franca », costituitasi da poco per i nobili finì che diremo. Si tratta di asini belli e alti quasi come gli stalloni dei Dioscuri nella Piazza del Quirinale. Io, francamente, me ne sono incuriosito un giorno che il senatore Renato Angiolillo mi accennò ad una famosa storia, patetica ed eroica, concernente un meraviglioso asino di proprietà del conte Giovanni Armenise. L'episodio e i modi nei quali si svolse, per là verità, m'apparvero incredibili; il meglio da farsi era o attribuirli alla fantasia fervorosa dell'amico o recarsi sui luoghi del fatto e controllarne l'autenticità. Così, scelta la seconda via, eccomi a Martina Franca a descrivere questa patria illustre e benemerita dei più begli asini del mondo, asini non soltanto degni di favola ma, come si vedrà, di epopèa. Il vino neutro A Martina Franca, sull'ai to di una collina di 400 metri, si è al confine di tre province: quella di Taranto, quella di Brindisi, quella di Bari. Il limite lo segnano su altrettanti groppi gli abitati di Locorotondo, Fasano e Cisternino. Si affrontano, questi paecome castelli antichi e si sim, 1111111111111M11 j 1111S111111 ! ! 111111111M1111J111111 i 111 i 1 guardano con notevole amicizia, tutti congiunti nell'interesse della valle aperta tra loro, la più delicata e difficile valle di questo mondo. E' composta dal mosaico delle vigne, contesta — si dAbbe meglio — come un pavimento di maioliche o un tappeto di variati disegni. Le vigne, effettivamente, non misurano più di qualche ettaro e moltissime meno di un ettaro moltissime ancora, poche are; fazzoletti di terra o, se si vuole il linguaggio tecnico, proprietà polverizzata. Ogni pezzetto, e starei per dire ogni tessera di questo mosaico è, si vede, lavorata strenuamente, raffinatamente, accanitamente. I proprietari hanno dovuto prima di tutto trasportare e spargere la terra sulla pietraia originaria; la terra poi, incredibilmente, l'hanno ricavata dalla macinazione del calcare estratto sui posto. Sembra impossibile ma è proprio così: la terra feconda è stata costruita. L'arido francobollo di terra comprato un sessant'anni fa è divenuto vigna a furia di lavoro e di pazienza infinita. Con i grappoli sono nate le case dei ■oignaroli; i trulli conici, appaiati 0 a tre o a cinque, contesti col sasso grigio, senza malta o cemento secondo una tecnica perfetta, nata nell'età preisto-. rica. I trulli sulle case splendenti di calce mettono nella valle per la quale sono 3parsi non so che leggera sonorità di campanelli capovolti e interrompono il verde, aerando la capricciosa disposizione dei poderi e secondo un ritmo vagamente musicale, un trillo prolungato al quale si presta ta forma e l'assonanza del loro nome. Dall'uva di queste vigne si spreme un vino neutro che si chiama il Bianco Martina. Dal Bianco Martina si fanno i vermouth famosi nel mondo delle ditte di Torino. Anzi nelle guide ufficiali quest'è il merito maggiore di Martina Franca^ di farci bere quegli ottimi amarognoli vermouth torinesi. Invece altri meriti ha, minori o maggiori non saprei dire, e so>w — per dirne due soli — gli asiìii e il Palazzo del cavalier Bernini. Bernini, U gran Bernini, « dimenticò » qui un suo palazzo. E' il magnifico edificio dove siede adesso il Comune, detto Palazzo Ducale, di cui non è traccia negli elenchi delle sue opere ma è disegno di sua mano sicuramente, commessogli dal duca Petraccone Caracciolo, attorno al 1655, ancora in costruzione nel 1686 e poi mai compiuto poiché, promesso in regalo al Re « per quando fosse finito », finito non fu mai. Impressiona scoprire quaggiù quest'opera inconfondibilmente autentica di Gian Lorenzo e pensare che essa uscì dalla sua matita con 1 progetti, nientemeno, del Co tonnato e della Cattedra di San Pietro, della Chiesa di Sant'Andrea al Quirinale, della Scala Regia in Vaticano, del Louvre di Parigi, del Palazzo Chigi ai Ss. Apostoli m Roma. Due chili di biada E non ne dirò di più rin vìando alle ricerche del prof. Nicola Vacca di Martina Fran ca l'illustrazione di una così poderosa scoperta. La quale scoperta io, lo confesso, ho compiuta solo per caso, cercando con gli occhi ta sede della già detta « Associazione Allevatori dell'Asino di Mar Una Franca » che si trova di rimpetto al grandioso portale berniniano. E sono entrato pìima nei locali dove si aiscutono e si custodiscono le sorti della razza asinina e ca vallina delle Murge e poi sotto quelle illustri volte. In mo do che appreso quanto basta delle virtù degli asini di Mar Una Franca e delle loro trionfali proporzioni m'è parso di capire meglio la venustà architettonica del Palazzo Ducale. E' in quell'area di poclv chilometri, tra Martina, Locorotondo, Visternino e Fasano che avviene il miracolo del l'asino. Inscrutabili ragioni (sarà l'aria, it clima, la luce il sapore dell'erba e della paglia o che so io) fanno crescere i ciuchi di Martina qua si mai sotto il metro c qua ranta di altezza e spesso so pra il metro e settanta; gli donano orecchie pelose e po derose, muso buono e intelligente e, nel migliore senso, umano, occhi dolci e una misteriosa aspirazione a farsi cavalli. Questa profonda, ancestrali-, tendenza li rende adatti a maritarsi con le giumente delle Murge, vivaci, brillanti e carezzose giumente. Dall'unione nascono muli da lavoro di cui, è bene stabilirlo subito, non esistono uguali al mondo. Un mulo di razza martinese mangia due chili di biada al giorno e gli occorrono venti tire di paglia; in tutto una spesa di cento lire. Per queste cento lire lavora, senza sosta dodici ore, non protesta mai e la sua opera è paragonabile a quella di dieci uomini che zappino e di quindici che trainino o sopportino pesi. Questo mulo non s'ammala mai, non è soggetto a malattie ereditarie, è bravo, mansueto, non scalcia e come tutti i muli ha raggiunto la. perfetta tranquillità del cuore e dei sensi. Al tempo dell'occupazione Ho pregato qualcuno di tradurre in termini meccanici le virtù del mulo martinese. Non so quanto siano esatti i calcoli ma e quasi come aaoperare un'automobile di media cilindrata per otto ore, consumando meno di un litro di benzina. Voi capite, adesso, perchè da ogni parte del mondo — dall'America come dall'Australia, dalla Francia come dalla Scozia, dalla Turchia come dalla Svìzzera — si chiedano agli allevatori di Martina Franca gli asini capaci di generare questi mirabili muli. Gli asini di Martina, i « razzatori » si chiamano, son pochi; meno di trecento in tutto il territorio e così vengono ce- ■(■tlIIIIMIIlllIMIIllllIllllllllllllllllllIIIIIIllllllll duti agli stati esteri con avarizia, come brillanti o minerali d'uranio, in gruppetti di tre o cinque, o al massimo, dieci. Magnifico di mantello (folto, nero, ricco) allegro e deciso di figura, possente di schiena e garretti, quest'asino vive fino a venti anni una Vita mansueta, docile, amabile, legata da infrangibile fedeltà al padrone e all'allevatore. Lo lasciano da piccolo brado con le cavalline perchè si scordi di essere un asino e, più tardi possa avere i preziosi possenti muli. Casto di sua natura, lo convincono alle nozze volta per volta. GU mormorano lungamente all'orecchio un epitalamio in dialetto martinese ed egli a udire quelle sillabe, se ne inebria e le beve e drizza le orecchie. E' un poeta, insomma. Avvenne al tempo dell'occupazione tedesca che la Wermacht ordinò la requisizione dei migliori « razzatori » di Martina Franca e tra questi uno, celebre, di proprietà del conte Armenise. Lo chiamavano il figlio di Favonio, altro glorioso campione locale. « Notte di Luna », una bellissima tra le belle, era sua madre. Pensavano i tedeschi di ottenere, facilmente, dal possente figlio di Favonio quel che ottiene il fiore dall'ape. O che volesse mostrare i suoi sentimenti patriottici o che altro, lui riluttò, anzi alle seduzioni offerte da mani germaniche opponeva proteste di calci e di ragli, insolite dav- è , à e a i , a i i o - lllllllllllllIllllIIIIIIIIIIIIIIlIIlUItllllllllllllllllllllll IIIIIIIIIlllMIMIIIIIIIlllllllllililllllIIIIIIIItMIIIIIII vero. I tedeschi ad arrabbiar si a minacciare a blandire. «Restituitemelo e vedrete-», disse lo stalliere che l'aveva allevato. Lo restituirono e videro. Il secreto era tutto nell'epitalamio. E l'epitalamio questo: «Mena cardillo — fa nu bellu pweinno — presto fallo e fallo simpatico — fallo forte come la pelle del diavolo. Mena cardillo... >. In cui cardillo vuol dire cardellino, ma è un vezzeggiativo. L'asino non resìstette e subito i tedeschi cominciarono a tempestare per conoscere la diabolica cantilena. Il ciucciare gliela disse; ma immaginate voi tradotta e adattata in tedesco la canzoncina dell'asino di Martina Franca? In breve: il figlio di Favonio non funzionò più nè allora nè mai, in mano della Wermacht. Durante la ritirata lo portarono via e con lui parve sparito lo spirito e la forza gloriosa della razza asinina di Martina Franca. Invece tre mesi dopo, da solo, Favonio junior ritornò nelle staile del conte Armenise e tutto il paese gli si strinse intorno a carezzarlo. Adesso vive e produce cinquanta figli all'anno, in una Stalla di Fasano. Gli hanno messa al collo una ghirlanda di campanelli d'argento e nei giorni di festa gli legano due garofani alle orecchie. Sono andato a vederlo e l'ho salutato: « Mena Cardillo... ». Lui ha risposto con un raglio in do maggiore. Giovanni Artieri