"EI vosmarin del Papa"

"EI vosmarin del Papa" VISITA AL PAESE DI PIO X "EI vosmarin del Papa" Una povera casa di campagna - Riserbo dei parenti - Il fazzolettone, la tabacchiera, un temperino nero e consunto • "lo benedico la pace, non la guerra,, (Nostro servizio particolare) Riese (Treviso), settembre. Da quando l'« Osservatore » ha rotto il silenzio sull'andamento della causa di beatificazione di Pio X, i parenti del Pontefice, che vivono ancora numerosi nel paese natale, si sono fatti più riservati. « Non posso parlare — dice uno dei pronipoti — Sa, son cose delicate, non vorrei compromettere la causa ». Sembra ci sia ancora qualcosa da rivelare su questa figura di Papa così aperta e chiara in tutti i particolari della sua ascesa. « Non scriva il mio nome sul giornale », si raccomanda un altro dei pronipoti. E' un riserbo difficile da vincere: questi nipoti e tutto il paese seguono gli sviluppi della causa di beatificazione con la stessa ansietà come si trattasse non di un giudizio sulle « virtù eroiche », ma di reità o di innocenza. Eppure tutto è ormai palese, tutto è scritto: in libri, in giornali, in opuscoli, in riviste. Pio X è forse il Papa in cui meno degli altri si avverte il distacco dalla vita paesana. Da quando èra chierichetto nella chiesa parrocchiale, fino al trono pontificio, suoi paesani lo seguirono fiorno per porno. E' l'unico ontefice che abbia percorso puntualmente tutti i gradini della gerarchia ecclesiastica; da cappellano, ebbe la sua prima cura d'anime a Tombolo, un paese non lontano di qui, centro di commercio; il futuro Papa vi capitò ancor fresco di Seminario. Poi fu parroco a Salzano. Qui cominciano i primi ricordi di quel vecchietto che ora siede all'osteria con le carte in mano, vestito di nero, con il cappello calcato in testa, tra i suoi compaesani scamiciati intenti con lui alla partita. Il nipote di un santo non può vestire altrimenti. Angelo Parolin, figlio d'una sorella del Papa, ricorda con esattezza le visite dello zio « piovan » al paese natale, alla mamma, agli amici sacerdoti. Il ricordo più suggestivo è però quello che fu tramandato a lui per memoria indiretta. La mamma di Angelo Parolin raccontava ai figlioli che quando era scolaro, don Giuseppe doveva andare a piedi ogni mattino a scuola da Riese a Castelfranco, sette chilometri a piedi nudi per andare, altri sette per tornare. Una strada polverosa d'estate, fangosa d'inverno. La strada c^ ancora, tale e quale, e tutti gli scolari di Riese conoscono l'episodio del giovane Sarto che la percorreva a piedi scalzi per andare a studiare. Ora, avvicinandosi il giorno della beatificazione, la provincia di Treviso ha stabilito di asfaltarla. E' insieme un omaggio alla venerata memoria e una necessità pra- tica, perchè da molti anni ormai essa è percorsa da automobili, da lunghe file di pellegrini, da personalità che corrono a Riese sempre più numerose per visitare la casa natale del Papa Sarto. E' una casa di campagna, modesta e senza nulla che non sia assolutamente necessario alla vita di una famiglia di dieci persone (il padre cursore comunale, la mamma sarta casalinga, otto figlioli) ; in cucina splendono nella poca luce i rami che servirono a Margherita Sanson per far da mangiare alla famigliona. Di sopra, il letto dove dormì il Cardinale Sarto quando venne a visitare la mamma inferma. Ed è già un letto importante, si vede subito che non è nella tradizione della famiglia: ha i materassi colmi, la sovracoperta campagnola, ma già ricercata. E il letto di casa, quello do ve egli nacque e dove dormi fanciullo? La nipote del Papa, che custodisce la casa e fa da guida ai forestieri, spiega con rammarico le vicissitudini di quei letti di famiglia, i po veri letti di casa Sarto, che an darono venduti ed ora pare li abbia un maresciallo che però non abita a Riese, ma lontano, forse a Roma o a Napoli. La testimonianza più schietta della povertà di questa casa è nei comodini, che sono l'imasti nelle stanze: alti su gambe esilissime, sembrano restare in piedi solo per virtù dell'appoggio che offre il muro. Dietro la casa, attraversando il cortile, c'è il « museo » di Papa Sarto, dove sono raccolte le piccole cose che gli appartennero, con preferenza par gli oggetti che conservano un sapore paesano: il fazzolettone a quadrettoni, la tabacchiera che gli trovarono nella veste quando mori, con ancora qualche granello del tabacco che fiutava: il rasoio con cui si radeva ogni mattina, da solo, anche in Vaticano; un temperino nero e consunto, che sembra sequestrato a uno scolaro intento a intagliare il banco ed invece è proprio il temperino del Papa; e le bretelle, in cornice, con il biglietto di autenticazione: « Io, sorella di Papa Sarto, certifico che queste bretelle... ». C'è anche la sella che Pio X usò quando, Patriarca di Venezia, salì sul Monte Grappa a dorso d'una mula bianca per benedire — il 4 agosto 1901 — la celebre Madonnina. La fotografia di quel viaggio è conservata in moltissime case del Veneto. Papa Sarto mori allo scoppiare dell'altra guerra e subito sembrò ritornare nei luoghi che lo videro fanciullo e levarsi come un'om¬ bra protettrice sul confine dei monti. « Io benedico la pace, non la guerra», aveva esclamato congedando l'ambasciatore austriaco che gli chiedeva benedizione per le armi di Francesco Giuseppe. Queste parole, pronunciate sul finire della vita, furono il testamento di Pio X alle genti venete che temevano ogni giorno l'invasione austriaca: in quegli anni egli fu venerato per la prima volta come Santo nelle case su cui incombeva la minaccia. Finita la guerra, la casa natale di Riese vide folle sempre più grandi di pellegrini. Dopo la visita, staccavano furtivamente un ramoscello del rosmarino che si trovava nel cortile. Poi, di casa in casa, « el cosmarin del Papa » veniva ripiantato e dava altri rami, che a loro volta venivano staccati e trapiantati in altri orti. Nelle campagne attorno a Riese non c'è pianticella di rosmarino che non provenga da quella che mamma Sarto aveva nel cortile. La Begun, moglie dell'Aga Khan, danza con l'indiano Ata Afifi Bey a una serata di gala sulla Costa Azzurra

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