Si spegne come un cerino di Giovanni Artieri

Si spegne come un cerino SORRISO D'ADDIO ALL'AEROPORTO Si spegne come un cerino Nell' aria di Tempelhof v'è gente felice, quelli che partono, v'è gente triste, quelli che arrivano - Un'ombra vaga sulle anime, all'angolo degli occhi: è l'idea di trovarsi a Berlino, di non poter fuggire da Berlino... (Dal nostro inviato speciale) Berlino, settembre. L'amica S. m'accompagna all'aeroporto di Tempelhof. Dinnanzi alla cupa mole dell'ingresso osserva: < E' quasi la soglia di una prigione. Lei tra poco libero, io tra poco dietro le sbarre ». Entriamo nel bar. Bono locali sistemati come i salotti d'un appartamento borghese, d'un ricco borghese di Berlino: profonde poltrone, paralumi dorati, ceneriere di maiolica, bibelots, sigarette. La gente, attorno chiacchiera e mangia; allegra. Allegra: si parte sempre volentieri da Berlino. {Adesso vedrà — dice l'amica 3. — qualcosa di raro, qualcosa di impossibile negli altri aeroporti di questo mondo ». Le due file Ci avviamo al posto di incrocio, dove si controllano i biglietti, al sommo d'una scala, divisa in due corridoi da una corda., Altri passeggeri attendono, altri passeggeri arrivano e formiamo due file condotte, ognuna, militarmente, da una ragazza in uniforme azzurra. « Guardi » dice la signora S. — Guardo. Non so se sia suggestione, ma in quelli che vengono, nella colonna degli arrivati (signori anziani, mamme col bambino, ufficiali, balie, signorine) mi par di scorgere una unica monotona espressione: scuri volti, sguardi incerti, bocche stanche, fronti chine. E' un'ombra, forse, un velo che vaga sulle anime, all'angolo degli occhi: come chi abbia a ricacciare un pungente sgradevole assillo: « E' l'idea di trovarsi a Berlino », — dice senz'altro l'amica S. Poi, volgendomi quella sua triste, tranquilla faccia: < Naturalmente chi se ne va lascia trasparire l'idea di non trovarsi, fra poco, più a Berlino ». Tace. Una vile remota sicurezza mi suggerisce vuote parole: < Lei può immaginare come volentieri vorrei offrirle di venire con me, in Italia ». So ch'ella non può farlo. Abita nella zona sovietica; condannerebbe con la sua fuga i beni e i parenti al plumbeo destino degli ostaggi. « Gì azie — risponde l'amica 3. — a me basta di odorare l'aria di Tempelhof ». • L'altoparlante ordina di andare e così, scivoliamo in due correnti parallele — divi- I»!!!!'!.»!!!!!!!!! se da quel filo di corda — gente triste e gente felice. Ci mettiamo per gli ambulacri della stazione, verso il prato e le piste di partenza. E' un viaggio lungo; un quarto d'ora di passo svelto. Il corpo unico degli edifici di Tempelhof forma un emiciclo simile al colonnato del Bernini, sulla Piazza San Pietro a Roma. Nel suo interno si va come in un disegno di Piranesi, secondo sviluppi di complicate prospettive, per spazi metafisici, scale, cortili, fughe di ripiani, profondità rotte da gradinate a spirale, chiarità chirurgiche di cristalli e di acciai. In questa architettura dorme un silenzio senz'echi, condizionato dall'assenza di vòlte e dalle pareti di lana di vetro. Al prato s'arriva sbucando dalla infinita piattaforma coperta dalla gran tettoia. L'aeroplano è lì, piccolo trespolo a quattro motori, perduto come una mosca in chiesa, sotto la pensilina. Occorre attendere. La ragazza che ci comanda leva la mano e ordina I'« alt ». < Fra poco faranno l'appello dei viaggiatori », avverte dolcemente la signora 3., « fra poco dovremo lasciarci ». Distraggo lo sguardo, in giro. (Questo Tempelhof nelle intenzioni di Hitler che ne ordinò la costruzione poco prima della guerra, doveva diventare l'aeroporto dell'Europa. L'abbraccio grandioso della sua mole, l'intrico delle enormi piste, la dislocazione della piattaforma di arrivo e di partenza, tutto fu pensato su scala intercontinentale. E' invece, sempre un solo, un ' unico apparecchio a posarsi su quelle strisele di cemento, squallida staffetta tra la prigione berlinese e la zona < al di là »). Vorrei pregare l'amica 3. di andarsene, sopprimere la pausa incresciosa che ella riempie con la sua ostinata presenza, con la sua sedentaria malinconia. Afa — io penso — ella non resta qui per me; è per iresvirare l'aria di Tempelhoj», come ha detto. Così posso ancora svagare dietro immagini disordinate e vallidi vensierl. Quale ricordo, mi chiedo, porto via di quest'eultima» Berlino t Non so dirlo. Ieri sono andato a passeggiare ancora una volta sulla Kurfilrstendamm. L'afa colava sulla pelle come uno sciroppo, vi si mescolava la polvere dei cantieri aperti al Giardino Zoologico, al Tiergarten, sulla iCutserstrusse dove s'impastano e cuociono mattoni fatti con le macerie della città. In fondo alla dirittura della grande strada le torri mozze della Chiesa memoriale dell'Imperatore Guglielmo I e il corpo del monumento divorato e franto componevano un colossale profilo dì spaventapasseri, il tragico Spaventapasseri della Europa. La Kurfilrstendamm non ha perso del tutto la sua vecchia fisionomia. Con qualche dose di buona voiontd vi si rintraccia un filo del suo umore. Dividere la noia La cementite, il cartone impei meabile, l'intonaco mascherano le macerie, le radure, i cupi antri aperti nei fianchi degli edifici. I belletti della pubblicità luminosa, le tende dei caffè, le vetrinette cubiche lungo i marciapiedi, i cinematografi fanno il resto. Vi si trovano i segni del vizio, per cui andò famosa nel primo dopoguerra. Ma come squallidi e reticenti: in qualche modo l'assedio e la paura l'hanno sterilizzata; il vizio è anch'esso una specie di manifesta e distorta vitalità. Chi crede alle squallidi: suggestioni di quel « fcuhureit » che promette ugli avventori fantastiche « notti amburghesi* (Hamburger Nachtenlt La passeggiatrice che misura i marciapiedi all'angolo dell' Uhlandstrasse non cerca di rendere decente e dignitoso quel suo mestiere? Dice: « Vuole dividere la mia noia, Signore?» e chiama quell'altra più in là < Mein Kollege », la mia collega. Persa per sempre la Kurfilrstendamm della prima sconfitta. Le grasse cocottes caricaturate da George Grosz, nudrite di champagna, di fegato d'oca e di cocaina Merle, coperte di chinchilla e di smeraldi russi si possono vedere negli albi dell'artista venduti nelle aste pubbliche di pitture e cose d'arte. Anche il tedesco, il terribile capitalista tedesco di Grosz, dal collo taurino, le spalle possenti, il mangiatore di uova e carne di porco, è un <tipo » grafico. I oeWinesi sono magri; le nuche scarlatte dei generali e dei componenti la < herrschenden Klasse », la classe dominante, non si vedono più ai tavolini della Kurfilrstendamm. Si trovano nelle librerie. Da Gerd Rosen s'incontrano i disegni e i quadri espressionisti del gruppo del tBrilcke» e della < Secessione, si rivedono gli dèi dimenticati del movimento dadaista tedesco: Nolde, Kokoschka, Barlach, Paul Klee. Allora la Kurfilrstendamm pareva pregnasse la vendetta della Germania, una vendetta senz'armi consumala mediante gli stupefacenti, il Dadaismo, i drammi sessuali di Wedekind e la musica atonale di Schonberg. Nessuno pose mente a quei segni. Adesso la celebre strada vive la sua vita irreale, sospesa sul caos dell'Europa. Non vi si trovano clubs di avanguardia, nè festival di musiche strambe, nè kabarette di uomini vestiti da donna ma qualcosa di più llllIIIIIlllllllillillllllllllllllllllllllllllllllllllllil acuto e angosciante può vedere nelle mostre dei pittori contemporanei. Li chiamano < fantasten », ch'è qualcosa di diverso dagli ^astrattisti» ; come dire i < pittori dell'incubo ». E' un'arte di derivazione, vi si scorgono come fatue larve i ricordi di Picasso e di De Chirico, di Dali e di Mirò: il resto è àtono automatismo. Disperato Purgatorio Qual frutto, d'altronde, pud generare nella mente dei Geitlinger, degli Ehes, degli Hoffmann, Thiemann, Spangeberg Haerlin, Kuhn, Hillmann (cito i più rappresentativi) l'acre polvere delle rovine, la stretta della fame, lo spettro della schiavitù alle porte, oltre la Porta di Brandeburgof Son vaghe macchie di colore (i più per miseria dipingono all'acquarello) percorse da vermi d'inchiostro, combinazioni di piani e di residui di forme dissolte nella nauseata ubbriachezza di vanenti sogni; grovigli di uomini-animali dentro tacite prospettive dechirichiane, oppure paesaggi sottomarini popolati di pesci naufraghi, di relitti d'universi impudrldltl. Uno solo, Theodor Werner, dipinge arabeschi in cui le forme umane e terrestri si dissolvono in colori racchiusi entro grovigli di curve calligrafiche e ne risulta una policroma festosità di vetrata gotica. Ma Werner è l'unico pittore ricco della Germania, il solo che mangi regolarmente e possa comprare il biglietto dell'aeroplano per fuggire da Berlino, al mo¬ IIItlllllllllllIlllllllllllliMllllllllllilllIIIIIIIIIIIIIllli mento buono. La pittura degli altri è quella delle anime di un disperato Purgatorio, se nel Purgatorio le anime dipingessero i loro incubi e le loro paure. Hanno chiamato il mio nome. « Arrivederci », dico alla signora S., e so che probabilmente non la rivedrò più. < Arrivederci. Mi faccia il piacere di andar via subito, di non attendere la partenza dell'aeroplano ». < No, no, — ella risponde — non vorrei perdere queste ultime boccate dell'aria di Tempelhof». Così la guardo dal finestrino e lei, poverina, sorride. Se avete mai visto come, consumato fino in fondo, si spegne tra le dita un cerino potrete immaginare quel sorriso. Come un cerino. Così. Giovanni Artieri