Per non parlar di guerra di Paolo Monelli

Per non parlar di guerra - V I A Cir Cw I O I5f ISLANDA — Per non parlar di guerra In-quest'isola ancora in travaglio di assestamento, le forze del fuoco vulcanico e del ghiacciaio eterno si azzuffano senza sosta. Ne nascono terremoti ed eruzioni terribili ma anche fenomeni divertenti e amabili-Il bagno delle ragazze i e e e a o te e ri e r al o a e il a ri di m. e o. e di e o a a ira a nil n di e oaa (Dal nostro inviato speciale) Reykjavik, settembre. Vorrei che questo articolo nel quale si parla solo di fatti naturali giungesse ai miei lontani lettori come distrazione e sollievo dalle cronache di guerra, di subbugli, di imminenti catastrofi internazionali; come è sollievo per me darmi pensiero di cataclismi dovuti a vulcani e a terremoti e a forze primitive, di vicende di ghiacciai e di lave, di acque ardenti, di nebbie, di bufere; in un'isola nata da poco, quando già le roccie d'Europa erano antiche, a furia di strati di lava ammucchiati l'uno. sull'altro da stweessive eruzioni vulcaniche, e che è ancora in travaglio di assestamento; nella quale l'uomo riprende il suo posto di ospite non voluto, o sconosciuto, di una Natura indifferente, che nelle fatture negli ordini e nelle operazioni sue a tutt'altro intende che alla felicità o all'infelicità degli uomini — come scrive il Leopardi nel suo « Dialogo della Natura e di un Islandese ». (Nel quale l'islandese è introdotto come abitante di un'isola nella quale senza difficoltà alcuna si può recare ad effetto la ricerca della solitudine; e la vita primitiva che menavano ancora gli islandesi al tempo del Leopardi è esattissimamente descritta dall'eremita delle Marche, specie là dove parlando della lunghezza del verno e dell'intensità del freddo l'islandese del dialogo dice: <... e ii fuoco, presso al quale mi conveniva vassare una gran parte del tempo, m'inaridiva le carni e straziava gli occhi col fumo>. Infatti ancora un centinaio di anni fa vivevano in casupole mezzo interrate, fatte di tor¬ iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii ba e di terra, con rare finestre in alto sulle quali in luogo di vetri stendevano le membrane entro cui nascono i vitellini; con il focolare nel mezzo della stanza, senza altro sfogo per il fumo che un'apertura nel tetto da cui penetrava naturalmente la pioggia e la neve). Non che non suscitino anche qui apprensioni e timori le cronache degli avvenimenti del mondo; non che non ci siano anche qui partiti, e gente che vuole andar con l'America o con la Russia, e paura del comunismo, e della guerra, e di perdere l'indipendenza e la libertà; e di questo dovrò pure parlarvi in un prossimo articolo. Ma oggi per riposarci, i lettori ed io, di questo tambureggiamento di notizie cruente e drammatiche, lasciatemi raccontare la storia delle trote pescate già lesse, e del grande Geysir che, simile a noti scrittori contemporanei, si agita e si ribella al solo sentir parlare di sapone. Capricci del Geysir Il grande Geysir infatti fgeysir vuol dire in islandese l'arrabbiato, l'impetuoso ; questo attributo della pia potente polla d'acqua bollente dell'isola è diventato ormai il nome comune di tutte queste sorgenti, che gonfiano alla superficie del suolo, in buche circolari di vario diametro, un'acqua caldissima, densa di minerali, e ogni tanto eruttano un getto di liquido e di vapore di enorme violenza alto parecchie decine di metri) — il grande Geysir, dicevo, è capriccioso e raramente offre ai viaggiatori che vengono a vederselo di lontano lo spettacolo dell'eruzione. Allora il custode dell'alberghetto vicino getta nello mini iiiiiiiiimiiiiimiiimiii iiiiimm stagno ardente una sessantina di chili di sapone che i viaggiatori impazienti pagano 8 corone al chilo (qualcosa come 350 lire); e quasi sempre al sapone il geysir reagisce, e comincia a sputar vapore e acqua sibilando, finché l'esplosione raggiunge, se noti sempre i sessanta settanta metri di cui parlano le guide, un'altezza che sodisfa il turista e i fotografi. Ci si arriva dopo avere percorso centocinquanta chilometri di strada appena segnata fra lave o aquitrini, o lungo dense macchie di ginepri e di salici che nel linguaggio del paese si chiamano bosco anche se i cespugli non arrivano al ginocchio; per vuoti pianori ove per quarti d'ora non si vede una casa, non una palizzata, soli segni che ci è passato l'uomo i ponticelli sui torrenti di acqua grigia, e i cairns, pi7-amidi di sassi che servono a indicare il cammino quando la neve fa scomparire ogni traccia della strada. Si va verso tavoloni di montagne nere, simili spesso alle gare del deserto per la forma a trapezio, e fra l'una e l'altra balenano distese di ghiaccio, o cime aguzze, azzurre di neve, da cui fumano non si sa se vapori o nuvole, perchè i più di quei monti sono vulcani, spenti o attivi; il più attivo è lo Helela che si vede per un po' di tempo a destra della strada col suo becco caratteristico (hekla vuol dire uncino in questa lingua, e non mantello come dice l'Enciclopedia); remotissimo, ma riavvicinato dalla atmosfera tersa (anche Leopardi ne ricorda « i ruggiti e le minaccie >; se ne annoverano ventidue eruzioni di enorme potenza dal secolo XII al 1947; una volta lanciò pezzi di po- iiiiimiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiii n mice fino alle isole Fcerder, più di duecento miglia distanti. Questa solitudine nella quale la strada stessa costruita dall'uomo ed i cairns sembrano accidenti naturali della landa, ove il nero delle pietre e delle lave, molte ancora con il bruciaticcio dell'eruzione, è appena addolcito da licheni, da muschio, da erbe di palude, da cespugli di fogliette chiare come quelli del deserto marmarico, questo deserto non è malinconico, anzi dà esaltazione ed eccita la fantasia. Non importa che i segni del lavoro umano siano così scarsi, e solo ogni tanti chilometri si incontra un gruppo di casette bianche attorno ad un campanile (due o tre attaccate l'una all'altra e ciascuna con un alto tetto cuspidato), o una casa .isolata con attorno due .0 tre capanne e uno scampolo di prato e qualche bestia che pascola; qui è manifesta una vita assidua e attiva di elementi; quei ghiacciai sino in continua fatica, scivolano giù dai' monti, spingono al mare o nei laghi milioni di tonnellate di sassi e di legna fossili, e ne sgorgano fiumane avventurose che cambiano continuamente corso; quei vulcani, al contrario di quel dolce spagnolo che si chiama helado en soufflé, rimescolano continuamente lave a 850 gradi sotto il ghiaccio che li avvolge e ne colma il cratere; e ogni tanto si levano fumacchi dalla landa, di stagni che bollono, che elaborano minerali, e sporcano tutto intorno il terreno di detriti, gialli e verdi e rossi; anche il cielo pare in perpetua faccenda, accumula nubi e le disperde, copre e scopre il sole, fa piovere e spiovere, il paesaggio non fa che mutare colori e stati d'animo, ora fosco, ora brillante, ora lampi di luce, ora ombre trascorrenti, ora presentimento di temporale. La « cascata d'oro » La campagna ove è il gran Geysir è arida, con macchie di prato sudicio, con sassi colorati dei minerali che contengono, sparsa di fumarole, di soffioni come sui fianchi dell'Etna e nei Campi Flegrei, di monacelli che fumano, piccoli crateri colmi d'acqua ardente; ce n'è un centinaio qui attorno, il grande Geysir stesso è uno stagno che ha le dimensioni del Bulicame presso Viterbo, al sommo di un umile cono di lastre di silice per cui scendono rivoletti che traboccano dalla cima. Quando giunsi all'orlo dello stagno, e stavo intento al liuullìo ,1, iiutjtiuu verde e grigia, ecco che d'un tratto la vidi coprirsi di bolle, gonfiarsi, esplodere in uno zampillo; e «attento attento!> gridò il compagno, e mi trascinò giù di corsa per il conetto di lastre e solo alla base di esso ci arrestammo; e vedemmo balzar su con un sibilo un getto bianco d'acqua e di fumo, una specie di nuvola frettolosa che andava su e giù sventagliata dal vento e toccò per un momento l'altezza di una trentina di metri; durò cinque minuti quello zampillare, quel soffiare, quel sibilare, poi il getto ricadde, l'acqua dello, stagno tornò quieta, solo un borbottio di pentola che leva il bollore. Si complimentò meco il compagno di escursione, che avevo visto il Geysir in attività senza bisogno di sapone; anzi avvenne che giunti dopo di noi siti luogo alcuni stranieri importanti, l'uomo dell'albergo per rieccitare la fontana buttò nello stagno i rituali sessanta chili di sapone, che non ebbero effetto alcuno; e credo che per tutto quel giorno il Geysir sia rimasto inerte. C'erano anche alcuni turisti islandesi, venuti non tanto per l'eruzione quanto per il gusto di bagnarsi nella piscina di acqua calda naturale costruita presso l'albergo; e due 0 tre ragazzone figlie di ministri o d'altri pezzi arassi della repubblica, solirìr, fresche, abbondanti di cosce c di spalle, con maglie da bagno ad un pezzo assai più caste di quelle delle nostre ragazze, davano spettacolo di stile e di tuffi in quell'acqua den¬ sa e nauseabonda come un brodo. Lasciando il Geysir feci ancora una quarantina di chilometri verso l'interno per andare a vedere la cascata di Gullfoss («cascata d'oro>), che sarebbe il Niagara degli islandesi; una larga fiumana d'acque grigie che prima cade giù impetuosa per una serie di balzi e di rapide finché, già tempestosa e sconvolta per quelle cadute, precipita urlando in un abisso di cui non si vede il fondo, celato da un perpetuo salire di vapori. Si sa come incantano i sensi le grandi cascate d'acqua; questa pare più, avvincente di ogni altra, alla fine di un lunga andar per pietre, per tufi, per lave, in una solitaria campagna che confina con lontane ambe nere e con ghiacciai, dove sola voce, oltre quella del vento e delle acque, è il fischio di un malinconico uccelletto dal lungo becco, una specie di chiurlo che frulla basso e rapido accanto al viaggiatore, si ferma a guardarlo un poco, e riparte fischiando, come per canzonarlo. E' scritto in un libro Da questa parte la strada automobilistica è finita; di qui non c'è più possibilità di addentrarsi nell'isola se non a cavallo, per piste e sentieri appena accennati; di qui fino alle coste orientali e settentrionali dell'isola, trecento e quattrocento chilometri più lontano, è un pianoro desolato, un deserto coperto per centinaia di chilometri di lave, o di sabbia, o di ghiacciai (uno dei quali, il Vatna, occupa centocirtquanta chilometri per cento) da cui si elevano punte nere e montagne fino a duemila metri; e fra ghiacciaio e ghiacciaio si stendono campi sterminati di tufo nato dalle ceneri delle eruzioni. Il grande ghiacciaio Vatna confina con una regione che si chiama Laki, che l'anno 1783 si spaccò in una fessura lunga trentacinque chilometri, da cui dilagò un mare di lava rossa a 850 gradi; per mesi e mesi il suolo eruttò lave, per una quantità uguale al volume del massiccio del Monte Bianco; se ne avvelenò l'aria, andarono distrutti casolari e paesi lungo la costa meridionale, mori il venti per cento della popolazione, il settanta per cento del bestiame, le ceneri salirono a oscurare il cielo per dieci mesi, colorarono i tramonti di tutta Europa. Le forze del fuoco vulcanico e del ghiaccio eterno si azzuffano senza sosta in questa vastissima isola, grande più di quattro volte la Sicilia.; ne nascono terremoti, eruzioni, sconvolgimenti del suolo e del mare, terribili; ma anche fenomeni divertenti ed amabili. Spesso avviene che polle di acqua calda e sorgenti di acqua fredda (è l'acqua di fusione dei ghiacciai che filtrata traverso la lava riemerge alla superficie da profondissimi strati limpida e gelida) sono vicine, e vanno a mescolarsi nello stesso ruscello. Così presso Laugar c'è un rivo d'acqua chiara, trasparente, anche se lievemente fumosa, entro la quale si possono vedere schiere di piccole trote che guizzano e han l'aria di divertirsi un mondo. Ma chi provi a immergere la mano nel ruscello, deve ritirarla in fretta, se non vuole scottarsi. Il fatto è spiegato così: uno strato di acqua caldissima uscente da una vicina polla scorre sulla superficie di un rivo di acqua fredda; e le trote che si vedono vivono nello strato inferiore, di acqua fredda. Se una di quelle trote è pescata e portata alla superficie, traversando lo strato d'acqua calda arriva su che è già un po' cotta; se poi in quello strato è tenuta qualche minuto si allessa a puntino, diventando, come è naturale in questo caso, di un bellissimo colore turchino. (Se jjuesta storia non me la credete, spero che crederete al signor Helgi P. Briem che l'ha messa in un libro che mi hanno dato da leggere appena arrivato qui perchè mi facessi una prima idea del paese). Paolo Monelli

Persone citate: Laki, Leopardi

Luoghi citati: America, Cir Cw, Europa, Islanda, Marche, Reykjavik, Russia, Sicilia, Viterbo