Badoglio racconta come diramò l'ordine di arresto contro Muti

Badoglio racconta come diramò l'ordine di arresto contro Muti LA DRAMMATICA ESTATE ROMANA DEL '43 Badoglio racconta come diramò l'ordine di arresto contro Muti Un attacco all'automobile del Presidente del Consiglio progettato dai fascisti e dalle S.S. - "Se il re avesse abdicato la monarchia sarebbe stata salva» - Diecimila fortezze volanti pronte a bombardare l'Italia Roma, 5 settembre. Nel colmo della polemica suscitata da un assurdo caso giudiziario — la denuncia presentata dal direttore di un settimanale fascista contro Badoglio quale presunto mandante dell'uccisione di Ettore Muti — Badoglio ha preso inaspettatamente la parola per alcune dichiarazioni. «Ho saputo della denuncia dai giornali. La cosa non mi preoccupa affatto. Ho assoluta fiducia nell'equità della magistratura, alla quale evidentemente non m% sottrarrò (l'incolumità che mi sarebbe stata assicurata dal trattato di pace è una fandonia messa in giro dai fascisti). Potrei, a mia volta, avanzare querela per diffamazioni; non so se lo farò, perchè non ne vale la pena». Eccellenza, vi attaccheranno! La dichiarazione è stata fatta da Badoglio, che attualmente si trova a Outigliano, ospite del genero marchese Altoviti, ad un inviato dell'Elefante, che la pubblicherà nel suo prossimo numero. Il giornalista Italo De Feo ha colto l'occasione per farsi narrare alcuni particolari che servono a chiarire gli avvenimenti dell'estate 'AS durante i 45 giorni. « Una mattina — racconta Badoglio — venne da me il capo della polizia Carmine Benise. Era turbato. "Ho saputo - disse - che i tedeschi hanno deciso di far attaccare con bombe da sicari fascisti la macchina di V. E. quando esce dal Viminale. I fascisti e le S.S. sono già al loro posto lungo il tragitto. E' necessario che V. E. non si muova di qui. Ho fatto approntare una camera al piano superiore, poi vedremo come regolarci " ». Badoglio allora disse a SeMise; « Il capo del governo italiano non può nascondersi in questo edificio e neppure può scappare. Occorre invece affrontare decisamente i tedeschi e metterli di fronte alle loro responsabilità. Chiami Ouariglia ». Giunto Guariglia, il maresciallo gli disse: « Ti prego di far sapere subito a Von Rahn che andrò via a mezzogiorno preciso e percorrerò la solita strada. Occorrono dal Viminate a casa mia giusti 10 minuti d'automobile; hanno tempo sufficiente per attuare il loro disegno ». Un'ora dopo Von Rahn, ambasciatore tedesco, telefonò a Badoglio: « Sono desolato — mi disse — che V. E. sospetti che in questa disgraziata vicenda entrino dei militari germanici; noi rispettiamo V. E. come un vecchio soldato ». L'arresto del gerarca Anche ammettendo come fondata la smentita di ogni collusione tra tedeschi e fascisti (molti eventi, del resto, stanno a comprovare come i tedeschi avessero da tempo rinunciato a colpi di mano con la complicità dei fascisti, dei quali poco si fidavano) la stessa risposta di Von Rahn sembrava confermare che una certa complicità realmente ci fosse. Narra infatti Badoglio, secondo quanto riferisce l'invia- to dell'Elefante: «Fu allora che, per impedire ai fascisti di fare spropositi, autorizzai Senise ad arrestare alcuni gerarchi più turbolenti, tra i quali Muti. Costui era venuto da me, come gli altri, ad offrirmi i suoi servizi, ma compresi subito che non me ne potevo fidare. Era stato uno degli ispiratori della campagna di diffamazione inscenata contro di me nel '40, al tempo della Grecia, e lo sapevo coinvolto in affari di speculazione non molto chiari. Viveva allora a Fregene. con una ballerina polacca o comunque straniera, che era notoriamente una spia delle S.S. Non so come andarono le cose perchè, naturalmente, una volta impartito l'ordine di arresto, l'esecuzione spettava ad altri. Ricordo soltanto che verso la fine di agosto mi dissero che, mentre % carabinieri stavano traducendolo a Roma, i paracadutisti tedeschi accampati nella, pineta di Fregene avevano tentato di liberarlo. Né nacque una sparatoria, nel corso della quale Muti fu colpito, alcuni dissero da un mitra italiano, altri da un mitra tedesco. Il biglietto che reca la mia firma a Senise non ha a che vedere con Muti se non per l'ultima parte. Allora ero preoccupato per cose più importanti ed il nome ai Muti serviva soltanto per ricordo a Senise ». Le cose più importanti erano — com'è facile capire — oltre all'andamento disastroso della guerra, la situazione interna generale, le trattative con gli alleati. «I tedeschi — ricorda Badoglio — non tralasciavano nulla pur di crearmi fastidi. Giunsero persino ad appoggiare, se non ad organizzare, lo sciopero generale del SI agosto nel corso del quale si sarebbe richiesta la pace. Nessuno la voleva più di me, ma compresi che questa manifestazione avrebbe dato ai tedeschi il pretesto per intervenire. Mandai allora a chiamare il povero Bruno Buozzi. «Buozzi — gli dissi — lei è un galantuomo, mi aiuti. Cosa è questa faccenda dello sciopero generale f Ho tutto il mondo sulle spalle, se ci si mettono anche gli operai italiani, come faccio a resistere f ». Buozzi mi assicurò che sarebbe intervenuto, e di fatti dello sciopero nessuno nrirlh pJ»> ?.. Nell'articolo pubblicato dall'Elefante di molti altri particolari si dà conto ampiamente, che qui occorre viceversa compendiare. Vi è riferito, per esempio, come la decisione di far partire da Roma la famiglia reale e il governo fu presa da Badoglio la mattina del 9 settembre nel giro di tre soli minuti, quando egli seppe che si combatteva a Porta San Paolo. Dormiva in una stanza del Comando Bupremo e il figlio Mario andò a svegliarlo con Ambrosio, Roatta, Carboni e Sorice: « Lasciatemi tre minuti da solo » disse Badoglio, ricevuta che ebbe la notizia. Il progetto di Eisenhower H resto è noto, come del pari conosciuta è la circostanza che Eisenhower, dopo la firma del lungo armistizio di Malta, rivelò a. Badoglio i par ticolari détta tremenda azione di bombardamento indiscriminato che era nei progetti degli alleati qualora l'Italia non avesse deposto le armi. Di Roma si sarebbe salvata solo la Città del Vaticano, che gli aviatori avevano determinato con un cerchietto rosso sulle proprie carte topografiche Tutta l'Italia era stata poi suddivisa in scacchiera per so* ne estese circa ZOO chilometri per 200. La prima zona andava da Napoli a Roma: su ciascuna di queste zone per quindici giorni consecutivi avrebbero agito in successive ondate diecimila fortezze volanti: ne erano state concentrate cinquemila nelle basi strategiche e ciascun apparecchio avrebbe compiuto due incursioni della al giorno. Al termine tremenda operazione éfacile immaginare che nem- meno un solo edificio sarebbe rimasto in piedi. Evocando questo incubo Badoglio ha dichiarato all'inviato dell'Elefante: « Quando ricordo le parole di Eisenhower sento indignazione e disgusto e pena per quegli uomint che, continuando la guerra a fianco dei tedeschi, dimostrarono di preferire la fazione alla patria. La verità è che le nostre città, la stessa Roma, sono state salvate da una accorta azione diplomatica. E' stato duro per me, che ho visto Vittorio Veneto, firmare l'armistizio, ma è stato necessario ». Badoglio ha detto ancora di avere fatto un tentativo per persuadere Vittorio Emanuele all' abdicazione a favore del principe di Napoli: «I (intatti che avevo preso con » rappresentanti ai tutti i partiti mi facevano certo che, nel caso di una abdicazione a favore del piccolo Vittorio Emanuele, la questione istituzionale non sarebbe stata affacciata ». « Io resto per salvare la monarchia », mi disse Vittorio Emanuele. «E invece Vostra Maestà la perde », replicai. « Afa fu impossibile persuadere il re ». I rapporti con Togliatti L'inviato dell'Elefante a questo punto ha fatto osservare al maresciallo che anche To gliatti si è recentemente dichiarato persuaso che una tempestiva abdicazione di Vit torio Emanuele avrebbe potuto preservare la monarchia: Badoglio non ha obiettato nulla, limitandosi ad osservare: « Togliatti mi dette a Salerno una collaborazione fattiva e leale. Non mi creò mai imbarazzi. V'era tra noi anche una certa simpatia personale ». Le reazione del settimanale fascista alle dichiarazioni del maresciallo non si è fatta aspettare. Procuratasi in an ticipo una copia dell'Elefante, che non è ancora in vendita, l'Asso di Bastoni si è affret tato difatti ad elaborare un lungo articolo che apparirà nel numero di domani. La parte polemica è ridotta ad una smentita che nella pineta di Fregene si trovassero paracadutisti tedeschi, ad una lunga serie di ingiurie e ad una perentoria affermazione: < Le menzogne si accumulano alle menzogne, mascherate da un tono di smemorateeza che appare ributtante e mostruoso ad ogni persona onesta ». 71 settimanale dà poi conto dei risultati dell'inchiesta che va conducendo da qualche tempo e pubblica una lunga deposizione della contessa Ma ria Bani, figlia del generale che abitava in un villino nei pressi del luogo dell'uccisione. Nella deposizione tuttavia si trova detto sostanzialmente solo che il generale fece un rapporto su quanto gli aveva riferito il carabiniere Frau che faceva parte del gruppo: la contessa comunque non assistè al racconto di Frau e non sa dire a chi sia stato consegnato il rapporto del generale. Il settimanale pubblica inoltre una lunghissima lettera di Valerio Pignatelli, nella quale si narra come Muti avesse ri fiutato di adempiere ad un incarico che Badoglio gli avrebbe affidato: quello, cioè, di convincere le camictk nere della divisione corazzata «Mr> a togliersi dalle uniformi la sigla distintiva mussoliniana. Fra i due uomini sarebbe perciò sorta una acuta tensione: « Ettore Muti mi fece intendere — racconta Pignatelli — di avere la sensazione di essere pedinato ed aggiunse: « Temo che vi sia qualcuno che mi voglia sfottere ». v. g.