Una visita al Manzoni

Una visita al Manzoni Una visita al Manzoni H Le biblioteche delie vecchie Aase di campagna, chiuse e adjidormentate tutto l'anno e riaSperte solo durante la villeggiaftura dei proprietari, riservano «qualche volte gradite sorprese. fin una Strenna veneziana per il'anno 1872, con la copertina blu (rabescata d'oro e ornata d'una /Veduta dell'ospedale di Venezia S del rio dei Mendicanti, trovo 'il resoconto d'una visita a Brusuglio. E' d'una scrittrice non (dimenticata del tutto: Luigia !,Codemo Gerstenbrand. L'ora del ; tempo vi è segnata come in una ■ meridiana un poco sbiadita, ed [è un'ora storica: n agosto 1870. ; Siamo in piena guerra franco- ■ prussiana. Il telegrafo annunzia di giorno in giorno i rovesci ^militari francesi, e in quella coniversazione a Brusuglio non può !non sentirsene un'eco. Il Man'zoni, discorrendo con la sua visitatrice, riconosce che la Fran; eia è indebolita a paragone dell'Italia in pieno sviluppo, ma di; chiara che « l'indebolimento assoluto della Francia sarebbe per noi un danno, una sventura» Era un'opinione evidentemente fondata su ragioni di equilibrio europeo, ma in cui potevano ; anche i ricordi del 1859, della Lombardia liberata, e forse più ancora quelli dei soggiorni giovanili del Manzoni a Parigi, così proficui al suo svolgimento intellettuale e morale. Il vecchio ottantacinquenne non poteva di menticare che la Francia era stata per la sua intelligenza, anzi per la sua anima, quasi una seconda patria, com'egli stesso aveva pubblicamente dichiarato cinquant'anni prima. Ma nei colloqui con la Codemo la politica è toccata appena, e la storia vi fa capolino quasi come un elemento paesistico. Il Manzoni mostra alla visitatrice il panorama che si scopre da Brusuglio, e dopo averle indicato il Resegone non più separabile dalla favola dei Promessi Sposi, le addita il castello di Mombello, dove il generale Bonaparte, arbitro ormai dei destini d'Italia, ricevette gl'invitati veneziani, « che non contavano più niente ». A proposito di quei poveri diavoli, la Codemo, veneziana e imparentata con patrizi veneti, fa osservazioni giuste, ma alquanto comuni, sull'infiacchimento di quell'aristocrazia che s'era trovata indifesa all'urto della nuova Francia. E il Manzoni chiosa, osservando a sua volta «che una repubblica aristocratica non si poteva più sostenere al sorgere d'un governo popolare e rivoluzionario. Bisognava che finisse ». La nota più energica si ha quando la Codemo accenna con rammarico al regresso del sentimento religioso in Italia; e il Manzoni a rincalzo: e'7,' vero — esclamò con austera vivacità, — hanno un no superbo, ma non hanno argomenti! ». Commenta la scrittrice: «Vorrei poter rendere il modo con cui proferì quelle parole, l'intonazione veramente superba con cui ha detto superbo quel no! Come al chiaro suono di quella voce, a quell'accento così vibra to, e in un così penetrante, mi parve rileggere tutto quanto il filosofo aveva scritto su questo alto proposito: vorrei esprimere come ne fu la sintesi viva ed eloquente, - che mi balenò nell'anima, e con una splendida percezione mi avvertiva : ■ Sei davanti a Manzoni! ». Il tono di quell'esclamazione non potrebbe infatti esser più manzoniano. Ma non solo per questo noi accettiamo senza sospetto la testimonianza della Codemo. Tut to nelle sue pagine spira amabile schiettezza. E in molte sue osservazioni c'è un signorile buon gusto che va bene d'ac cordo con quello del Manzoni. « Dalla parete laterale dello studio dov'eravamo allora, si scorgeva un pergolato regolare, oblungo, nella stessa direzione e continuante, direi quasi, colle sue belle pareti verdi, l'ala della casa. — Oh! che bel parco! — esclamai. E lui: — Se osassi pregarla di fare un giro... ». 11 nobile vecchio domanda alla sua ospite il permesso di mettere in capo un panama ed esce con lei all'aperto. « ... Scesi due scalini, fummo npl narrn. OH dico parco per dargli un nome. Però non è che un bel tappeto verde, circondato da alberi magnifici, di portamento maestoso e ricchissimi di fronda. Il tappeto devia un po' a destra, e sale con tenuissimo declivio. A veder quella simpatica chiusa, tanto di mio genio, non mi trattenni dall'uscire con una sfuriata contro quei borghesi, pizzicagnoli, banchieri stracarichi, che in un giardino mettono di tutto. Chioschi, gabbie, baroccate d'ogni genere, piantagioni di scope, un pettegolezzo di mille fioretti, e ciò anco davanti a bei paesaggi grandiosi, là dove non occorrerebbero che praterie, gruppi di alberi, ondulazioni di terreno, tanto di secondare il bello che ci hanno attorno, e ch'essi, Dio gliel perdoni, rovinano... ». La Codemo, insomma, ha ancora il gusto dei bei parchi settecenteschi, e il bric-à-brac che prevalse nell'Ottocento anche in fatto di giardinaggio non può che infastidirla. Don Alessandro è evidentemente d'accordo con lei, ma si contenta di chiosare con la sua maliziosa pacatezza: « E' una consolazione per quello che manca ». A questo punto s'apre una breve parentesi linguaiola che segna anch'essa l'ora del tempo sul quadrante della meridiana. La Codemo sa bene che l'unità della nostra lingua è da molti »nni un'idea fissa del suo interlocutore e cerca esitante la parola che designi il prato d'un parco. Prato? zolla? gazon? pelouse? « Non c'è che tappeto », risponde il Manzoni. E la conversazione prosegue con la pas¬ sldb seggiata, agevole e briosa. Degli alti alberi che incontrano sul loro cammino Don Alessandro dice che sono altrettante fedi di battesimo, perchè li ha piantati lui. La Codemo, sempre compitissima anche lei, chiede il permesso d'osservare che se qualche cosa manca a tanta bellezza di paesaggio, è l'acqua, « che ad un giardino è come gli specchi in una camera, e al romanzo la pittura d'una donna soave ». Grazie alla prima similitudine, perdoniamo alla scrittrice la seconda alquanto oleografica e che, comunque, sa troppo di complimento al poeta di Lucia. Ma questi rida alla conversazione il tono pacatamente brioso dicendo d'aver battezzato « ippopotamo » una mostruosa catalpa sotto la cui ombra conduce la sua ospite. Il discorso ritorna sopra Venezia, e il Manzoni, che fu sempre unitario, come si sa, a differenza del suo amico Tommaseo sempre federalista, non può non vedere nella caduta della repubblica di San Marco un passo, benché doloroso, all'unificazione nazionale. « Senza il servaggio di Venezia — dichiara — non ci sarebbe unità italiana ». Manzonianissimo è anche un accenno al potere temporale dei papi, da lui avversato fin dai tempi dell'Adelchi, e proprio a parole di Adelchi fanno pensare quelle che la Codemo ci riporta: «La Chiesa non ha che da rientrare in se stessa ». Ma quale forza di convinzione in queste altre ch'egli proferisce fermandosi in mezzo al parco! « Negli eventi della vita pubblica o domestica, ogni cosa che non è bene, la Chiesa lo vieta: ogni cosa ch'è buona, essa la suggerisce. E se quei tali hanno coscienza... se l'hanno... ». Don Alessandro fa gli onori di casa fino all'ultimo e accompagna fino alla vettura la signora. Il cocchiere, però, s'è addor mentato a cassetta. Lombardo e veneziano s'intrecciano in una breve scena comica. « Eh! carrosse!... carrossé! » grida Don Alessandro al dormiente. E la Codemo: « Oh! i xe duri da capir! ». Don Alessandro, sem pre imparziale, fa un accenno alla svelta intelligenza dei gondolieri veneziani che è alquanto a scàpito dei conterranei di Renzo e Lucia. E dire che quel cocchiere era a suo modo un manzoniano! Forse non sapeva neppure che il Manzoni fosse al mondo, ma vedeva la prò pria figliola legger sempre i Promessi Sposi, e ora ne aveva visto l'autore in carne ed ossa e l'aveva perfin sentito rivol gergli la parola. La Codemo lo sentì poi borbottare più volte: « Sunt propi cuntent! ». Quella contentezza, se l'avesse saputo, avrebbe fatto contento anche Don Alessandro. Ed io perciò dedico la riesumazione di queste vecchie pagine al mio amico Angelandrea Zottoli, autore di quel bel libro che è Umili e potenti nella poetica del Manzoni. Pietro Paolo Trompeo iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiP