Rivedendo la Biennale

Rivedendo la Biennale Rivedendo la Biennale Venezia, agosto. Con l'apertura del Festival cinematografico è cominc'ito il secondo atto, più mondilo e popolare insieme, dell'estate veneziana. La Biennale si ritrae discreta in secondo piano; ed è forse il momento propizio, tornando ai Giardini, fatti più freschi nella declinante stagione e meno affollati, di ricapitolare le impressioni suscitate dalla congerie un po' confusa e congesta di tante opere viste, e tirar fuori i punti salienti di una esposizione così fatta e varia e discorde: che s'estende a mezzo secolo di pittura e scultura, e spinge anche più indietro le sue propaggini, fino a Favretto, Medardo Rosso, Seurat, e fino a Constable. Polemiche e detrattori non sono mancati: era inevitabile. Ma io vorrei che il visitatore, il quale ha percorso tutti i padiglioni della Biennale, passasse poi, senza intervallo, a visitare qualcuno dei musei d'arte moderna in Italia; e non dico i minori, ma quelli « nazionali », di Venezia stessa, ad esempio, o di Roma. E' capitato a me, sen za che lo facessi di proposito: e al confronto tutta la ricchezza e la vitalità della Biennale, e il suo eccezionale interesse culturale, pur fra tante scorie balza evidente. Dove, in Italia — ed anche fuori d'Italia —, è dato vedere in un tratto solo, insie me riunite, una simile accolta d'opere? La mostra di Constable e di Seurat, la mostra dei c Fauves », dei Cubisti e Futuristi, le mostre personali di Medardo Rosso, Bonard, Utrillo, Ensor, Matisse, Carrà, ecc. ecc., tant'altre ancora. E veramente, riaprendosi dopo la sospensione della guerra, la Biennale — queste due Biennali del '48 e '50 — sono andate assumendo un aspetto che le imparenta per certi lati ai mu sei: un museo più animato ed attuale, mobile e rinnovantesi. Accanto alle opere del giorno, inedite, inviate dai singoli artisti, il comitato ordinatore ha organizzato in proporzioni sempre maggiori — ed ha ottenuto che altrettanto facessero anche gli organizzatori dei padiglioni stranieri — mostre personali e retrospettive, col dispiegato in tento di aiutare a veder chìa-1 ro nei moventi e nei precedenti più vivi e significanti dell'arte contemporanea. La Biennale del '48 aveva esordito rifacendosi all'impressionismo; questa in corso punta specialmente sui movimenti che al principio del secolo operarono con maggior violenza lo stacco dall'impressionismo, in polemica contro tutta l'arte dell'800, dan do l'avvio a quelle espressioni che rimangono tuttora le più ostiche al gusto del pubblico: che a Venezia, al suo primo in gresso nel padiglione principale, è accolto dalle mostre dei «1 Fauves », dei Cubisti, dei Futuristi. L'arte astratta di oggi nasce qui; e a completare il quadro dei precorrimenti dell'astrattismo, converrà, saltando il resto, andar subito di seguito alla ricerca di Kandinsky e degli altri pittori del « Blaue Reiter » al padiglione germanico e all'apposito padiglione oltre il canale. Klee, il maggiore artista, è nel gruppo, quest'anno, un po' sacrificato; ma ha già avuto nel '48 una bella « personale », che è opportuno richiamare qui, — ed aggiungervi ancora le opere di Magnclli, esposte alla sala XLVIII. Par quasi che la Biennale, dando agli astrattisti di oggi una così vasta e illustre ascendenza, abbia voluto farli rientrare in un processo -profondamente radicato, normale, nella civiltà figurativa moderna, non già così abnorme, come appare tutto ra al volgare. L'effetto ottenuto è stato opposto: trovandosi dinanzi una simile massa d'arte astratta (e occorre tener conto di tutta la produzione d'oggi, che occupa una serie di altre sale), anche la mira alla scandalizzata rea zione del pubblico s'è ingigan tita. c l'irritazione fatta mag giore. Ma, alla fin fine, programmi e polemiche, per chi ami vera mente l'arte in qualunque forma si manifesti, non son quel che più importa. Come le mode, passano e perdono presto il loro mordente. E sotto la stessa etichetta, qual divario di timbro e di valore nei singoli artisti! Qui comincia veramente l'interesse e la finezza della ricerca e della partecipazione; < questa Biennale ne dà largo campo. Picasso, Braque, Léger, Juan Gris: son tutti e quattro cubi sti; di tutti e quattro sono esposte a Venezia opere degli stessi anni, fra il 1907-15. Picasso porta sempre nelle sue composizio ni un piglio grande e un giun co pungente d'ironia e caratterizzazione (si veda il ritratto di W. Udhe); Braque rivela nelle sue quello spirito di finezza e di geometria ch'è di tradizione tipicamente francése (l'uno < l'altro erano assai meglio rap presentati alla scorsa Biennale); in Léger la parte più viva ancor oggi appare quel suo senso articolato della meccanica ma delle mani di Juan Gris il cubismo si fa minuteria di rifa gli e combinazione a freddo senz'alcuna vera sensibilità pittorica. Stessa differenza tra i Futuri sti: i quadri di Carrà si segnalano subito come i più sostanziosi di colore, superiori anche a molta produzione cubista de gli stessi anni; in quelli di Boccioni straripa un romanticismo umanitario che inturgida la com posizione a ondate, e non vin ce ostinate persistenze di stile liberty e tonalità fondamenta! mente divisioniste. Russolo è il più confuso e vacuo, e Balla il più vicino all'odierno astratti¬ smvlecrestmailefumsetol'stmmi nrcefissbdncpmna—untnggmtdddgd'sbcNvndBpLarouststqfbmtugmtsnvfcbpcmrrmte 1 l e e a e e à a e a a e e l l i i e smo; mentre Severini — e lo si.avede bene anche alla persona le — fin da allora stende i suoi colori a zone piatte, nitide, chiare e pezzate, come in una bella stoffa di « haute couture ». Come scelta e ricchezza, la mostra dei « Fauves » vince le altre due; e rende viva rimaglile di un momento di slancio ed accensione coloristica, che fu assai felice anche per figure minori. Ma fin da allora Matisse primeggia: lo si sente subito al vigor degli accordi e dell'impostazione. Matisse, a cui è stato assegnato il massimo premio della Biennale, vi è veramente ben rappresentato, sia tra i « fauves », che alla personale nel padiglione francese; una parabola d'evoluzione amplissima che muove dall'impressionismo, e dalla frattura « fauve » giunge fino alla maniera semplificata e sintetica degli ultimi anni, riassunta nell'ampio giro di un arabesco e in pochi, intensi accordi di colori fondamentali. Accanto a lui, Utrillo e Bonnard son partiti anch'essi da un comune momento di tardo impressionismo, e non se ne sono mai completamente staccati; se ne son fatti bensì un linguaggio assai personale, volgendolo l'uno — Utrillo — all'espressione di un mondo confinato e melanconico, una vita alla deriva, che trova i suoi motivi d'elezione negli angoli più frusti di Parigi, case e piazze lentamente degradate dalle esistenze grame e misere che vi si svolgono dentro, vecchie case di campagna decadenti in progressivo abbandono: tutto ciò espresso con delicata poesia. Il periodo migliore di Utrillo risale a prima dell'altra guerra, e fin verso il '20, quando la sua gamma si svolgeva in prevalenza su toni bianchi e grigi e pochi altri tocchi più colorati, ma in sordina Non giova alla sua arte la tavolozza più variopinta e la pennellata più staccata e e cruda delle opere recenti. Tutt'altrò temperamento Bonnard, più vivace e gioioso, pieno di spirito e di curiosità La sua pittura è un continuo arricchimento del tessuto coloristico; egli concentra uno stra ordinario brulicar di colore in un motivo estremamente circo scritto, di taglio del tutto particolaristico e decentrato: d'una sala da pranzo l'angolo di un tavolo, e questo ancor ridotto quasi soltanto ad un cesto di frutta; d'un paesaggio un lem bo di tetto in un intrico di rami; d'un giardino un picchiettio di tocchi coloratissimi; e di un ritratto un atteggiamento, un gesto che dice tutto l'uomo, co me un motto di spirito basta talvolta a definire una persona Ci fu un momento verso 1 1890-95, in cui Bonnard ed En sor fanno risuonare note simili nella loro pittura, con una lieve precedenza di Ensor. II confronto fra i due suggerisce anche altre considerazioni. Indubbiamente una forte tempra di pittore è Ensor, d'un'arcata anche superiore a Bonnard; ma mentre quest'ultimo ha una chiara coscienza critica che lo sorregge e l'induce ad un raffinamento incessante della propria pittura, la pittura di Ensor è torbida, continuamente insidiata dall'intrusione d'una volontà eccessiva, da fantasie macabre e grottesche,- calcate e enfatiche, che soffocano quella verace vena di sensibilità e delicatezza affiorante invece in tante opere meno" ambiziose, come la squi sita piccola natura morta con pesche, d'una raffinata eleganza quasi settecentesca, o l'evanescente Faro d'Ostenda, in toni lievissimi bianchi e grigi E questo punto, un filo che uni sca le innumeri mostre panico lari entro la Gran Mostra generale della Biennale, non è più possibile seguire: la gran disu guaglianza di valori e d'espres sioni, l'affollamento di opere im pone una rude fatica di cerni ta al visitatore. Conviene affret tarsi; ma del vecchio Favretto. appartato in una saletta laterale, occorrerà pur dire che un quadro almeno è un piccolo capolavoro: il Ritratto d'una pa rente, e parecchi altri son buoni pezzi di pittura; ma pare una pittura trovata per felicità d'in contro; e l'opera complessiva si disgrega in una facilità tropp») scorrevole. E poi ancora tanti italiani giovani e anziani: Carrà, Tosi. Semeghini... E Rousseau; e messicani, rivelazione della Bien naie, accolti con tanto favore dal Cdtontddsrasptnmedgmlztctsdsepipubblico (a Tamayo dedica uri' articolo il secondo numero di Commentari); e gli americani degli Stati Uniti, non altrettanto favorevolmente accolti. Giornate occorrono per vederli tutti; ma è bello concludere coi due culmini — a me parsi — della Biennale: Seurat e Constable. Nella piccola sala dove sono raccolti i disegni di Seurat si assiste veramente a quel processo squisito di astrazione ch'è proprio d'ogni alta forma d'arte; non già un'astrazione ottenuta semplificando artificiosamente i termini della visione eliminando ogni rapporto col dato sensibile fisico, bensì spogliando questo di tutto ciò ch'è materiale, occasionale, particolaristico, per farne una parvenza incantata. E dinanzi ai palazzi di Constable l'animo si apre sereno a contemplare ed ammirare — con templare soltanto senza più discutere — i grandi cieli, i verdi stillanti freschezza, le distese lontane e tranquille in cui egli ha trasfuso il suo senso di poesia. Anna Maria Brizio iiiiimnniiiiim uiimiiiiimuimiiimiiiiiii gmtcglicnc L'attore portoghese Antonio Vilar con la moglie al Lido iiiimiiiiiiiHiiiimiimiiinuu^

Luoghi citati: Italia, Parigi, Roma, Stati Uniti, Venezia