La VOCE dell'India

La VOCE dell'India La VOCE dell'India L'India fu uno dei 43 Stati che approvarono subito la decisione del Consiglio di Sicurezza dell'UNO di intervenire con la forza a protezione della Corea meridionale. Con questo però non intese di modificare la propria politica di neutralità nei confronti degli Stati comunistici dell'Asia. Perchè questo atteggiamento da Giano bifronte da parte dell'India? La politica seguita dall'India sembra a noi « occidentali» piena di contraddizioni. Se ha approvato l'operato dell'UNO, come mai si è rifiutata di inviare in Corea anche una sola unità militare delle molte a sua disposizione? Come non prende occasione del momento storico straordinario e non compie quell'atto che l'accomunerebbe immediatamente ad una parte delle forze in conflitto? E' questo uno « straniamento » dettato da ragioni di pura politica, o si deve invece a particolari problemi interni ed esterni che in questo momento la travagliano e le impediscono ogni trolontà di azione a favore di una delle parti in lotta? Se si osserva la speciale situazione economica in cui si trovano oggi alcuni Stati asiatici, l'India compresa, bisogna ammettere però che la politica indiana non è piena di contraddizioni. La India non ha alcuna velleità di mettersi a capo di un movimento « indipendentistico », anche se vi sono alcuni Stati asiatici a tendenze appunto « indipendentistiche » che guarderebbero con simpatia ad una « crociata » iniziata da uno Stato tanto importante. Ma per fare questa « crociata » di Stati asiatici nè filooccidentali nè filorussi, nè comunistici nè anticomunistici, occorrerebbero ingentiseime risorse e ricchezze economiche che l'India non possiede. Le contraddizioni anzidette scompaiono invece quando si tenga presente che la politica indiana è basata sulla piena comprensione delle nuove forze politiche ed economiche in atto. V'è attualmente in vari Stati asiatici tutto un insieme di movimenti sociali che sono ostili al comunismo interno ma non agli Stati comunistici esterni, e sono pure ostili all'imperialismo « bianco » degli Stati occidentali ma non sono affatto contrari a legarsi, su condizioni di parità economica, agli Stati « bianchi » remoti e vicini per trarne gli aiuti economici, in capitali e conoscenze tecniche, necessari alle trasformazioni agricole e industriali. Le dispute diplomatiche odierne di Lake Success, per quanto lontane dalle ragioni economiche degli attuali contrasti euroamerico-asiatici, non possono nascondere interamente il fatto che la povertà economica, il bassissimo tenore di vita delle popolazioni e il misero standard di progresso reclamano imperiosamente una soluzione. Sono questi i motivi più possenti che regolano oggi la coscienza morale e la condotta politica delle popolazioni asiatiche, indirizzandole verso i fini pratici che noi « occidentali » chiamiamo erroneamente « contraddizioni », mentre essi sono invece il motivo primo dei contrasti sanguinosi o latenti che ieri avevano il nome della Cina comunistica, oggi hanno quello di Corea e domani potrebbero chiamarsi Indocina, Birmania e forse Filippine e India. Per uscire dal vago delle affermazioni generali, che potrebbero anche parere a taluno vuote costruzioni dell' immaginazione, la voce dell'India porta una chiara luce in questa indagine. La India non può nemmeno pensare attualmente di fare una decisa politica anticomunistica, perchè le condizioni di un incipiente comunismo essa le ha in casa Per una parte notevole della popolazione indiana, non esiste un atteggiamento an ticomunistico, cioè un atteggiamento in prò' della sconfinata libertà individuale di pensare e operare economicamente. La mancanza di cibo e di vesti è oggi reputata molto più decisiva del credo stesso delle libertà democratiche. Si tratta per quelle popolazioni di limitare la proprietà coltivatrice, dando ad ogni famiglia quei 5 o 6 ettari di terra su cui vivere; si tratta di sot: trarlo ai prestiti usurari delle banche estere; si tratta ancora di introdurre le coltivazioni meccanizzate e di impedire che i forestieri acquistino e creino cartelli • consorzi monopolistici delle terre migliori. Si tratta infine di accentrare in pochi enti pubblici « nazionali » le vendite dei prodotti fondamentali dell'esportazione e di riscattare i trasporti fluviali, ferroviari e navali dalle mani del capitale « occidentale ». Una guerra, o una decisa presa di posizione internazionale in favore di una delle due parti oggi in conflitto, non avvicinerebbe la soluzione di questi problemi, ma la complicherebbe tremendamente. Non sarebbe il piccone demolitore dei cosiddetti privilegi del capitale straniero o delle caste agricole e industriali dominanti all'interno, ma sarebbe soltanto un provvedimento arginatore e ostile verso quel processo evolutivo, lento ma continuamente operante, che invece i governanti responsabili di vari Stati asiatici, l'India in primo luogo, vogliono promuovere con la loro politica di pace e di collaborazione internazionale. Il solo modo per realizzare cotesto processo evolutivo è di fare una politica economica molto attiva: fare al più presto ciò che il comunismo tenterebbe, vale a dire la riforma agraria coordinata nazionalmente, in modo da dare lavoro anche alle città e ai quartieri industriali. Ma consiste anche nel non fare ciò che il comunismo trionfatore su bito farebbe per ragioni militari, ossia una politica estera nettamente « antioccidentale ». Che oggi, a soli tre anni dalla conseguita in dipendenza, l'India sia per fettamènte consapevole del l'utilità di conservare i mi' gliori rapporti con il mondo « occidentale » è provato da una grande operazione finanziaria che essa ha attualmente in corso di ese cuzione. Essa sta procederi do alla demonetizzazione di tutte le sue rupie di argento per saldare un ingente debito verso l'America del Nord. In questo senso l'India non fa una politica di « contraddizioni ». Ma sta fronteggiando una gravissima serie di problemi interni con grande dignità e con effettiva volontà di superarli. E in questo senso può anche pensarsi che il suo esempio costituisca un paradigma per altri Stati asiatici animati dalla stessa speranza di pace e di civiltà, ottenute anzitutto fortificando la propria economia nazionale « interna ». Giovanni Demaria

Persone citate: Giovanni Demaria