Alla foce d'Arno

Alla foce d'Arno Alla foce d'Arno (Dal nostro inviato speciale) pSe dessi la "Va 3iregrimém Tbranze. la scogliera polem""del dCinque Terre, il Golfo ^^Spezia, la spiaggia di Lunigiana e di Versilia e del Gombo e del Tombolo, dalla Punta del Mesco al faro di Livorno, con Tino e Tinello e Punta Bianca, collo splendente Canale di Portovencre, colla viva foce sassosa della Magra e le sonnolenti, arenose, di Serchio e d'Arno, e con tante altre minori, che conobbi tutte, al pari di ogni lido e d'ogni scoglio e d'ogni cala di questa costa, mi farebbero raccontare a non più finire. Non dimenticherei nemmeno la bottega, nota un tempo su quella costa ad ogni marino, del Fezzano, nel Golfo, per allestimento e attrezzature di barche e piccoli velieri, nella quale andavamo a rifornirci per la nostra barca, i miei fratelli ed io. Avverto intanto un fatto. Allora, era molto meno agevole di adesso andare da un punto all'altro della costa priva di strade litoranee e con vasti tratti spopolati; ma la popolazione marinara dei < navicelli », dedita alla navigazione costiera dei marmi e dei vini, come conosceva, per esempio, la bottega del Fezzano, sapeva se c'era una barca in vendita così sulle marine dell'Avcnza e di Massa e di Viareggio, come, da Genova a Livorno, in ogni porto e porticciolo. E fu così che noi, al Forte de' Marmi, luogo allora romito, seppimo. che c'era da comprare una ottima barca a Quinto al Mare, presso Genova. Dirò soltanto che si chiamava « Amor fraterno », perchè se l'erano fatta costruire, tutta d'ottimo pino di monte con costole salde e lievi di legno d'ulivo, quattro amici in società, per pesca e diporto: un pescatore, un calzolaio e altri due artigiani di Quinto. Che fossero destinati a leticare, era stato implicito e segnato dal nome,, col quale avevano inteso di mettere le mani avanti e di prevenire le discordie, tosto prodottesi, al punto che avevan deciso di mettere in vendita la barca nuovissima ancora e fresca di costruzione. Ho detto che queste faccende si ri sapevano su tutta la Riviera di Levante e sulle spiaggie della gran rada falcata, fino a Livorno. Se avessi tempo di filosofare, direi che quella gente, avendo scarsità di divertimenti, non aveva persa l'arte di divertirsi della propria vita. Fatto sta che quella società fraterna e la sua pronta fine, ci era stata raccontata con allegre risa, mentre garantiva il buono stato e il buon prezzo dell'occasione. La barca,' di classico modello ligure, d'elegante prora falcata, d'agile chiglia, di ottima foggia remiera e veliera, tanto lieve sull'acqua quanto solida di struttura, era davvero eccellente. La ribattezzammo x Anna », dal nome di nostra madre, forse per ricom pensare lei delle ansie che le procuravano i giorni e le notti che passavamo in mare, su quello scafo, che noi consideravamo con tanto fiero orgoglio navigatorio, e che al suo cuore di madre sembrava tanto esile e fragile. Tanto per dire, a contrasto di quella ch'è oggi la celebrata e mondanissima spiaggia del Forte, che le prime volte in cui ci andavamo noi, tutta l'attrezzatura balneare si riduceva, oltre il paese di navicellai e di rnàrmorini e di caricatori del pontile, alla casa dove abitò Boecklin pittore, che non mi piace, alla Villa Versiliana, dove poi stette D'Annunzio colla Carlotti, a qualche villa sparsa e alle cinque o sei casette terrene della Signora Virginia del Caffè Colonna, madre d'altrettante figliuole, tutte una più bella dell'altra. Difendevano il paese dall'invasione mondana, la rada aperta, dal mare, e, da terra, le più perverse strade, la principale ed unica fra le quali, da Querceta al Forte, se è v'ero che l'aprì Michelangelo per carreggiare i marmi della « sepoltura di Giulio » da Seravezza al mare, teneva ancora intatta la gloria delle buche e dei solchi ché~vi avevano scavati quei carichi gloriosi. D'altronde, chi di quel Forte dei tempi miei fosse curioso, potrebbe trovarne un fedele ragguaglio paesistico e popolesco e linguistico in un libro che non sta a me di lodare, intitolato «Il fiore della Mirabilis»: fiore sparito dall'arenile sarchiato e asfaltato e deturpato dalle co modità balneari. Ma il racconto del mio itine rario costiero diventerebbe lungo, anzi enorme, se, oltre alle rimembranze mie, discorressi di Pisa e di Livorno. Dirò solo che mi era stato riferito che fra i danni subiti da Pisa, di San Piero a Grado non restava più pietra su pietra. E rovine, in que sta iattura d'Italia, se ne incon trano troppe senza andarle i cercare; ma talvolta notizie di quel genere hanno pur questo di buono, che non sono vere, oc" esagerano. Frattanto, mi contentavo di ri trovare i magnifici platani gran ducali sull'argine pescoso del l'Arno, per Marina di Pisa, quan do fu come ritrovar salvo un amico: grande, sul piano delle antiche paludi e del golfo pisano interrato, rivedo San Piero, orientato, singolare per bellezza severa e per quella sua struttura di due absidi, con l'ingresso sul fianco. C'è, nella guerra, una specie di qnpPnbcirdzlprstdmnslCtsrgORsnsssidttdgActdtnsififtmtsbefucptccgPftsiI pedanteria, che ha privato del Ti "T"'6 13faCen d Sa'tare ^ n°n SCrVÌSse ^7^^ * tedeschi, ma quella pedanteria, non meno dannosa della furia bellica, è propria di tutti gli Stati Maggiori. Per fortuna, non era il campanile la parte più preziosa della basilica antichissima, che segna, col ciborio sotto l'abside occiicntale, il gradino dello scalo romano su cui Pietro, sbarcando, mise piede, secondo la tradizione, per la prima volta sul suolo d'Italia, prima di proseguire poi fino ad Ostia per mare. E sarebbe un punto della storia costiera d'Italia molto curioso a studiarsi, com'è per me molto fascinoso a fantasticarci. Si sa die quella tradizione chiamò, nel medioevo antico, gran devozione di pellegrinaggi a San Piero Grado sul piano assolato d'estate, d'inverno nebbioso, fra l'Amo e la pineta di Tombolo. Come nacque e fiorì e si spense tradizione e devozione? Il vescovo di Pisa e il Comune marinaro furono forse troppo orgogliosi di quella precedenza su Ostia, così da dare ombra a Roma, che sulla venuta dell'Apostolo pone i fondamenti del trono e della cattedra dei successori di Pietro? La delicatezza di simili questioni di precedenza, se non di preminenza, non fu ignota, anzi fu propria ai secoli della fede più rigogliosa, appunto perchè era rigogliosa. E la tradizione di San Piero a Grado fu un elemento di quella grandezza pisana, che, debellata Amalfi, se n'assunse e allargò il compito di difendere e riscattare il Tirreno dai saraceni, col dominio e la guardia di largo tratto di Mediterraneo; e governò Corsica e Sardegna; conquistò in ponente le Baleari contro i mussulmani di Spagna, e trafficò e dominò in levante; e diffuse quel lume di civiltà e d'arte, di cui pietre e marmi esprimono l'altezza e la luce spirituale, in Pisa e dappertutto dove si riconosce lo stile pisano. L'Arno verde e brunito, abbrividente sotto la forza serena e soleggiarne di un maestrale fresco, s'allargava rigoglioso da una parte; dall'altra dormiva, come incantata dal gran sole pomeridiano, la campagna siccitosa. Ci fui, un'altra volta, a cercar gli indizi e le vestigia della catena di torri e di posti di guardia e di segnale, con'cui Pisa riceveva, mediante fuochi e fumate da guardia a guardia, notizia di ogni vela che imboccas se il Canale di Piombino, fin dall'isola del Giglio. E ora una melanconia arcana mi fa immaginare quelle fumate di paglia diurne, quelle fiamme notturne di torcie resinose, spente da tanto tempo, mentre San Piero a Grado, silenzioso anch'esso e abbandonato da tanto tempo, ha scampata la sorte che non ha risparmiati, nella città straziata dalla guerra, tanti monumenti di quella grandezza pisana che tramontò alla Meloria, ma allo spirito parla ancor viva e immortale, colla nobiltà e l'altezza del genio, non solo coi monumenti dell'arte e coi documenti della storia, non solo colle antiche e sempre vive tradizioni di studio e di dottrina della nobile città, ma coi segni patetici e dolenti della cieca furia guerresca, che ha imperversato sulla sua gentilezza. Riccardo Bacchetti

Persone citate: Boecklin, Carlotti, D'annunzio, Punta Bianca, Tinello