A cento chilometri dalla fine i nostri non ne potevano più di Vittorio Varale

A cento chilometri dalla fine i nostri non ne potevano più PERCHE' GLI IT AMAMI g|»gjj STATI SCONFITTI A HOOBSLEDE A cento chilometri dalla fine i nostri non ne potevano più Digiuni, con le reni spezzate dal pavé, ubriacati dai continui acceleramenti dell'andatura, gli azzurri erano già battuti prima che la gara entrasse nella fase decisiva (Dal nostro inviato spedale) Moorslede, 21 agosto. — Quando vi passerò vicino e mi vedrete soffiare il naso — aveva detto Binda ai professionisti prima della partenza — vuol dire che è arrivato il momento d\ passare all'offensiva. Attaccale, attaccate senz'altro. La tromba del giudizio... Al sabato, il coMmissario tecnico dell'U.VJ, e allenatore della squadra italiana aveva ricevuto daTl'U.CJ. la carica di direttore di corsa. Avrebbe avuto una automobile tutta per lui; era la sola vettura che potesse superare i corridori, e seguire il primo gruppo metro per metro. Appena cominciato il secondo giro del grande circuito, Binda ai affiancò al gruppo — che contava una trentina di uomini e seguitava a inseguire la coppia Rolland-Schaer — e Ai soffiò a lungo il naso. Più di un « azzurro » lo scorse. Poco dopo Bevilacqua investiva Kirchen, stupidamente cadutogli davanti; fece un pauroso capitombolo e dovette ritirarsi. Così la squadra perdeva uno dsi suoi uomini migliori. Di lì a poco si salì al Monte Kosso; ma nessun attacco italiano si verificò -:u quella rampa, breve ma erta, adatta per sferrarvi battaglia. Allora Binda si riportò un'altra volta di fianco a» corridori: e si soffiò così rumorosamente il naso che neanche la tromba il giorno del giudizio universale. Bartali se ne accorse, Leoni pure, così Martini, Conte, Salimbeni, ma neppure stavolta essi passarono all'attacco. Soltanto i primi due furono visti, poco dopo, buttarsi disperatamente alla caccia di qualche avversa rio intenzionato di andare per conto propìio a guadagnare i due fuggitivi; ma di offensiva vera e propria, concertata fra i cinque azzurri e diretta .da narrali che, secondo le istruzioni date da Binda, doveva essere il cervello della squadra, di offensiva italiana non fu vista neanche l'ombra. Erano siati coperti all'incirca 170 chilometri, ancora un centinaio rimanevano da compiere, e i nostri corridori non ne potevano più, erano talmente stanchi e spossati che era un miracolo se riuscivano a mantenersi nel gruppo. Al mattino, prima della parten- za, avevano mangiato poco e male. Gli avevano portato una minestra piuttosto magra e bistecche così dure da non poter essere mangiate interamente. Al rifornimento al centesimo chilometro avevano sì afferrato le capaci bisacce piene di ogni benaidio, ma la corsa era proseguita a ritmo così violento, senza un momento di calma, che gli era mancato il tempo di mangiare. Altro che levare le mani dal manùbrio, i-ialzarsi e sbucciare banane e uova, riempirsi ben bene come si usa nelle nostre corse, magari perdere nella bisogna un centinaio di metri, e poi con quattro pedalate riprendere il proprio posto nel gruppo! Ieri si doveva badare a non perdere contatto con il corridore che si aveva davanti, col vento contro e sul « pavé ■>, quello è un lusso che nessuno poteva permettersi,-e gl'italiani meno di tutti. Binda avrebbe voluto che essi passassero all'attacco, provocassero una decisione, facessero diventare la corsa durissima, faticosa, estenuante fin che si era sul grande circuito prima di rientrare a Moorslede a compiervi gli ulti o e r i i mi sette giri del piccolo. In tal modo il gruppo si sarebbe ridotto di assai. Vi sarebbero rimasti soltanto i « resistentissimi », con esclusione dei velocisti, che avrebbero potuto rappresentare un pericolo per Bartali. Questi, sempre nelle intenzioni di Binda, avrebbe dovuto far parte del ristretto nucleo dei primi; e in volata avrebbe avuto le sue brave probabilità di vittoria. Chi ha torto? Binda propone, ma gli altri dispongono: tant'è vero che già a quel punto la corsa era tale e quale la desiderava il commissario tecnico degli azzurri, ma senza che questi avessero fatto altro che rispondere all'offensiva degli altri, badando piuttosto a difendersi che ad attaccare! Si erano difesi attivamente, è vero, con costanza e generosità, respingendo fino a quel momento tutti gli attacchi; nelle condizioni in cui si trovavano era un miracolo se avevano resistito fino all'ingresso nel piccolo circuito. Erano digiuni; con le-reni spezzate dal « pavé », ubriacati — oso dire — dot continui improvvisi acceleramenti dell'andatura. Si trovavano in un ambiente profondamente diverso da quello delle corse italiane e dello stesso Tour. Il sistema di « corsa alla francese » che ha suggerito a persone di nostra conoscenza mucchi di sciocchezze sedicenti spiritose, a Moorslede s'è preso m pieno la sua rivincita. Abbiavi sentito dire che fu un errore per i nostri allenarsi troppo a lungo sul « pavé » i (/torni prima della corsa; che quell'infame lastricato a piccoli cubi di pietra che indolenzisce i muscoli delle braccia, del collo, delle spalle e col continuo tremolìo interessa anche il funzionamento di organi interni sé non ci si è abituati; che non ci si doveva andare, insomma, ma limitarsi a farne la conoscenza soltanto il giorno della corsa, come fecero Kubler, Bobet, Idée e altri, arrivati soltanto alla vigilia. Chi ha torto T Binda oppure i suoi critici t Abbiam sentito muovere altri rilievi al direttore e selezionatore degli azzurri. Uno è questo: che egli si incaponisce a considerare gli uomini posti ai suoi ordini come una squadra a ruoli obbligati. Uno o due capi (Bartali e, forse, Bevilacqua) e tutti gli altri funzionanti come domestici a favore del primo. L'errore è stato, si dice, di non avere portato a Moorslede sei uomini indipendenti l'uno dall'altro e tutti lasciati liberi di fare la propria corsa. Si può obiettare: — Di qrazia, dove sono questi uomini t ?itali sono i loro nomi? Volee dircele uno, che non sia quello dì Coppi, che non sia quello di Magni, assenti per le note ragioni t Che Binda abbia il « pallino » dei capisquadra e dei gregari docilmente e totalmente a sua disposizione, è una sua vecchia idea, appli cata e ben riuscita nei Tour del 1948 e del 19+9; egli si è a'tenuto a questa concezione di corsa anche per Moorslede, ma seppure avesse agito all'opposto, abolendo i gregari e mettendo tutti sullo stesso piano, quale risultato diverso avrebbe ottenuto t Due considerazioni Bi è visto che gli azzurri, tanto il capitano che il suo luogotenente e la truppa, non ce la fecero a resistere alla corsa movimentata e violenta impressa dai belgi (partiti senza ordini gerarchici): al 200° chilometro di botto Martini, Salimbeni e Conte dovettero dichiararsi vinti, e lasciarsi distaccare; e al ZIO" chilometro (dopo il primo giro del piccolo circuito) l'ultimo dei ripetuti attacchi sferrati dall'indemoniato Schotte, fece piegare le ginocchia anche a Bartali e a Leoni. O con le briglie o senza briglie gli italiani erano stati sconfitti, e senza scusanti di sorta. Quali sono le cause che hanno condotto a questa Caporetto del ciclismo italiano già si è detto; ad esse se ne- possono aggiungere altre. A parte il fatto che non s'è potuto disporre di Coppi, il quale, per l'elevatezza della sua classe e in forza dei suoi precedenti, si doveva ritenere capace di rintuzzare l'ultimo attacco di SgnrscdvdiisiiiMiiiiiniiiiiiiiiiiuiiiiiiiiiiiiiiiiiii'iiiiiiiiiiiii Schotte e poi di battere il belga in volata, a parte ciò vi sono due altri fatti da considerare: 1) che all'infuori dello stesso Coppi e di Magni (vincitore quest'ultimo di due Giri delle Fiandre su continui « pavé > e contro tutti i belgi, non dimentichiamolo), il ciclismo italiano non dispone di uomini in grado di competere con probabilità di successo contro oli specialisti della « corsa aìla francese » su queste strade; 2) che a Moorslede hanno avuto il sopravvento i reduci dal Tour su quelli che non vi avevano partecipato o non lo avevano portato a termine. E3 il terzo anno che ciò avviene: prima con Schotte, poi con Van Steenbergen, ieri nuovamente con Schotte. Ormai è chiaro che i cinquemila chilometri del Giro di Francia rappresentano la preparazione ideale per gli aspiranti ai campionati del mondo. Nella forma raggiunta nel Tour, il corridore si trova pronto ad affrontare ogni corsa per faticosa o violenta che sia. Questa mancava agli azzurri di Binda. Vittorio Varale

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