Gli uomini del disastro nella stalla di Hitler

Gli uomini del disastro nella stalla di Hitler Gli uomini del disastro nella stalla di Hitler Il Fuhrer amava le sue mucche, ne aspirava il caldo odore, sognando chissà quali atrocità - Ci passarono, in quel sito, Mussolini, Lavai, Antonescu, Ciano, Goering, Goebbels, Ribbentrop, premurosi e ossequenti - Ed ora par che salga da quella storia immane, grottesca e tragica, una nota sola, un solo mugghio, profondo e triste, di armenti (Dal nostro inviato speciale) Berchtesgaden, luglio. Mi è accaduto questi giorni di scoprire il viso di Chamberlain. di Mussolini, di Lavai, di Antonescu, di Re Boris, di Galeazzo Ciano e altri; e poi di tutti i Goering, Goebbels, Ribbentrop, Bormann, Hermann, eccetera, in una stalla ragionale tedesca, spaziosa e moderna. A Berchtesgaden. Quelle certe tabelle Il fatto è che io viaggiavo sulla strada nazionale austriaca che da Innsbruck va a Linz. Viaggiavo quel che si dice pacificamente fra campi di grano, di patate, di meli, centellinando con occhio compiaciuto l'amorevole paesaggio. Era quel paesaggio della bassa Austria occidentale che già si intride di vaghi elementi germanici. Il Tiralo veniva via via stemperandosi nella Baviera; paesi montagne e vallate già perdevano il sapore rustico dell'Alpe tirolese, e si colorivano d'una patina più decisamente teutonica, pregna d'una massiccia eleganza araldica. Il fiume lungo ìa cui vallata correva la strada, i riquadri variamente colorati dei diversi coltivi, Za centina delle montagne all'orizzonte, e gli stessi alberi, e gli stessi contadini, sembravano come inseriti nella cornice d'una immane insegna baronàie, sembravano far parte delle decorazioni d'un gigantesco stemma nobiliare teutonico. A KufStein cominciarori ■> o venirmi incontro quelle certe tabelle indicative — qualcosa come lapidi di poco prezzo — le quali stanno a testimoniare la grave malattia postbellica dell'Europa centrale, tabelle in lingua tedesca e in lingua inglese; e dicevano: « Attenzione! Ora voi state per uscire dall'Austria, zona d'occupazione americana; e state per entrare in Germania, zona d'occupazione americana*. Si, a. chi da Imisbruck, per Kufstein e Salisburgo, debba recarsi a Unz, conviene entrare in Germania. C'è un saliente di terra tedesca che s'affonda nelle carni dell'Austria come una larga lama di coltello. Chi non voglia perdere tempo in lunghe diversioni non ha ohe a traversarla entrando in Germania per ventitrenta chilometri e poi riuscendone nel giro di poche óre. Al contrario avviene quasi sempre che il viaggiatore straniero dentro quella appendice germanica ci si trattenga assai più a lungo; e all'uscita dalla frontiera si trovi poi nei guai con la polizia tedesca dovendo per di ■più pagare una multa di venti scellini ai Zollbeamten austriaci. Perchè a trattenere il viaggiatore in quella fettina di Germania c'è qualcosa: c'è Berchtesgaden, la ex-residenza di Hitler. Io viaggiavo dunque lemme lemme dentro un simpatico sole bavarese, quando un improvviso segnale stradale mi disse: <A quattro' chilometri, Berchtesgaden >. Potevo tirar diritto t Girai decisamente il volante della macchina e raggiunsi appunto Berchtesgaden; quindi, lasciatomelo' alle spalle, mi misi per la rapida salita che conduce alla zona' hitleriana. Arrivato a una sorta di'sella dalla quale si diramavano alcune grigie strade che continuavano a salire per loro conto, domandai di Hitler, della casa di Hitler, del ( Nido dell'Aquila » eccetera. Lo domandai all'unica persona che si muoveva lassù, dentro un vento largo e freddo. Quella persona mi disse che colà si trovava il Kulist all — la va celie ria — di Hitler, e che it Berghof — cioè la residenza hitleriana vera e propria, — era più su. Decisi di dare'' un'occhiata alla vaccheria. Varcai una porta di legno rosso, mi trovai dentro una sorta di gigantesco, massiccio capannone organizzato in compartimenti vari per il bestiame. Vacche fulve, ornate di belle macule bianche, ruminavano li dentro con ottusa pazienza, ignare di masticare un fieno nutrita di storia. Passeggiava a tèsta bassa Sopra la lettiera di ognuna di quelle signore vacche pendeva una lavagneita nera, e vi si leggeva il nome dell'animale, la data di nascita, eccetera. Si trattava di nomi piuttosto solidi, teutonici; per esempio Bertha, in ricordo del cannone che sparava su Parigi da cento chilometri nel '17; e Burgl, in omaggio al sostantivo Burg ch'é il tipico castello teutonico fortificato; come se da noi, in Italia, le vacche si chiamassero <Quattrocentoventi>, ( .Mortaio », ( Fortezza », e simili. Non mi meravigliai. Che cosa potevano essere mai le vacche di Hitler se non un misto di latte e di armi, di pace dei campi e di furia della guerra, di muggiti da rus virgiliana e di fragori da bombardamento d'artiglieria t Il sentimentalismo tipico del mondo tedesco e il militarismo del Deutschland ùber alles ai sposavano con romantica barbarie attorno a quelle bestie manse, oppresse da una perenne latente maternità. Mentre volgevo in mente questo genere di pensieri, comparve un uomo dagli occhi glauchi, e sorreggeva un grosso Milchelmer di zinco, un secchio da mungitura. Vestiva una uni/orme rispettosa delle norme dell'igiene zootecnica: una coppoletta di tela a righine bianche s azzurre sul capo, — qualcosa come quelle certe cuffie che sogliono usare gli infermieri dei manicomi, — un ampio grembiale della stessa stoffa, stivali di gomma ai piedi. Parlammo delle vacche, 1 $ Hitler, dei tempi d'oro del nazismo. L'uomo dalla cuffia mi disse che eru stalliere delle vacche hitleriane dal 1937; che per via della sua carica era stato costretto a iscriversi al partito nel 1940; che la vaccheria era molto cara al Fuhrer e non passava giorno che il Filhrer non scendesse dal Berghof a fare una visitino alle vacche; che il Fuhrer passeggiava alcuni minuti fra i vari comparti, a testa bassa, aspirando profondamente l'odore caldo che vaporava dalle lettiere e soffermandosi tratto tratto a contemplare fissamente il moto pendolare delle lunghe code il cui fiocco batteva i fianchi grassi e caldi. Mi disse che Hitler domandava sempre qualcosa che riguardasse questa o quella bestia — il latte, i vitelli, le biade, — e che poi se ne andava, solo, cupo, mostrando di non avere ascoltato una sola parola delle risposte degli stallieri. Così mi disse. Latte e sangue Mi disse che una volta il numero delle vacche toccava il centinaio, e ora s'era ridotto a quaranta, beninteso non più le medesime nonostante qualche nome — Bertha, Burgl eccetera — fosse rimasto. Mi disse che anch'essi, gli stallieri, ai tempi di Hitler erano più numerosi: quaranta, ed ora erano solo dodici, dei quali due soli avevano conosciuto Adolfo. (Disse così: Adolf, semplicemente). Adolfo, — mi disse — conduceva sempre i suoi ospiti a visitare il Kuhstall, Io vaccheria. < Io ho visto molti grandi uomini fra le gambe delle vacche, dentro questa stalla, — affermò con calma. — Chamberlain, Mussolini, Lavai, Antonescu, Re Boris di Bulgaria, Galeazzo Ciano, per esempio ». La 'più parte di questi signori domandava premurosamente notizie sull'allevamento, mostrando non avere la più pallida idea di che cosa in realtà fosse una vacca. Solo Mussolini parlava delle vacche, in tedesco, con perfetta cognizione; e Hitler lo ascoltava con assente gentilezza. Alla vista delle vacche, Goering scoppiava spesso in pesanti risate; Goebbels aveva Varia di essere intimorito; Ribbentrop non guardava vacche di sorta, i suoi occhi essendo perennemente incollati al viso del Filhrer. Mentre lo stalliere di Hitler veniva raccontando questi meticolosi particolari, io osservavo le gambe delle vacche, e fra quelle gambe mi pareva quasi di scorgere la faccia obesa di Goering, quella magra e scura di Goebbels la scintillante uniforme del generale Antonescu, la scriminatura prussiana di Ribbentrop, i gradi di « Caporale d'onore della Milizia » di Mussolini, la maschera fatua di Galeazzo Ciano soffusa d'una vaga ombra d'ironia. E il Re dei Bulgari era lì, si anche lui, ucciso dal Russo; e c'era perfino la magra, dinoccolata figura di Chamberlain, con quel sito triste ombrello. Ce n'era di gente fra le gambe di quelle vacche! Pagine di storia si muovevano su quelle lettiere umide di latte e di letame; e mettevano un certo brivido al cuore. E lo stalliere mi diceva: c Li faceva venire tutti qui, a visitare le vacche, chi sa mai perchè ». E io mi domandavo: < Voleva forse addolcire in una atmosfera di pace campagnola la durezza dei suoi colloqui che preludevano alla carneficina del mondo t Era soli una astuzia di marca grossolana t 0 più semplicemente la pazzia del suo spirita sconvolto da sogni inumani creava un punto di tangenza fra il secchio del latte e l'alta diplomazia, fra la mansuetudine della fattoria e l'arte della guerra, fra l'inerme natura e la sua rozza fredda ferocia t ». Non trovavo risposta. Lo stalliere mi spiegava che le vacche ora appartenevano allo Stato; e che la vaccheria era divenuta qualcosa come una scuola agraria. Quelle vucche sovrapposte ai fantasmi di tanti potenta¬ ti ridotti in polvere fina dalla macina degli eventi non riuscii a togliermele di mente neanche al Berghof, quando fui salito a quella sorta di Acropoli neogotica, — cupa e diruta come un vecchio seminario luterano in abbandono, — che è la ex-residenza dell'uomo più fatale della Germania moderna. Si scopriva di lassù un panorama mastodonticamente dolce e pesante. Cime di monti e fondi di valle, boschi d'abeti e corsi di ruscelli si dispiegavano in un ordine sistematico e colossale che rivelava un compiaciuto gusto della retorica perfino da parte della stessa natura. Da quella ch'era stata la più presuntuosa e arrogante finestra del mondo, dai resti voglio dire della vetrata del salone personale del Fuhrer, larga trenta metri e alta sei, vedevo accavallarsi con ritmo eroico una cerchia di maestose montagne fra glorie di tempestose nubi, spade di raggi di sole e pigri fumiganti filari di nebbie. Pensai un attimo a Sigfrido. Ma, viaggiando poi il mio sguardo sulle macerie che tutf attorno mostravano la dissoluzione e la ruma d'un mondo altrettanto teatrale che insensato, il panorama di colpo si immiseriva. Nella storia, si inserivano di nuovo le vacche. Dalla casa di Bormann, distrutta; dalla casa di Goering, distrutta; dalle caserme delle SS, distrutte; dai profondi bunker martellati dall'esplosivo; dallo stesso « Nido d'Aquila », alto sulla montagna, dove Hitler saliva a disputare solo a solo con gli dei o con i diavoli del pangermanesimo, mi pareva udire nascere una sola voce, una sola nota: un mugghio lento profondo e triste d'armenti. E via! Una cosa è il latte delle mucche, altra il sangue degli uomini/ Virgilio Ulti •■■TllllllltltllllIlllIllllilllllllltllllIlIIIIIIIII)IIIl