Poeti di Trieste

Poeti di Trieste Poeti di Trieste ' Scomparsi da tempo Svevo e Cantoni e poi il singolarissimo Barni (per non risalire a Slataper e a Carlo Stuparich, nel cucire dell'altra guerra), e da un anno 0 poco più Silvio e Delia Benco, trasmigrato a Venezia Quarantotti Gambini, sono rimasti in città Saba, Giotti e Giani Stuparich a rappresentare cosi degnamente la letteratura triestina, o, per meglio dire, la letteratura italiana a Trieste: ma a questi dai capelli bianchi dobbiamo ora accostare due nuovi, Anita Pittori e Luciano Budigna. Cosi Trieste, impoverita lentamente nella sua vita di traffici e commerci fra il mare e il retroterra, fiorisce ancora di lettere e d'arti, come auspicava, senza prevedere lo scompenso, a metà dell'altro secolo, quel vivace antenato che fu Giovanni Guglielmo Sartorio: «sorgerà anche per Trieste il giorno in cui la scienza e le. belle arti vi prenderanno stanza, incivilendo e nobilitando il commercio e-l'industria, che le caste elevate non sembrano oggidì'valutare bastantemente». Ci fu un tempo in cui la qualità di triestino parve significare un che di remoto dalla vita nazionale, un limite di provincia, sia pure di una provincia ch'era aperta a tutta la rosa dei venti. Poi, il. pubblico italiano accolse anche Saba e gli altri: in Saba riconobbe anzi uno dei suoi poeti maggiori, e oggi s'è abituato a collocarlo fra le altre due corone nazionali, Ungaretti e Montale La vita poetica di Saba ha raggiunto ora i cinquantanni: il suo Canzoniere s'apre col 1900. Ed è una poesia avvivata, di prova in prova, con ammirevole coerenza, senza deviazioni sperimenta' li, (i suoi ultimi desideri sono ancora i primi desideri) alla classica sufficienza, all'espressione essenziale, limpidissima, alla purezza di ogni sentimento, sia la fanciullezza o la vita profondata dell'uomo, il ricordo, la mestizia, l'amore che visita inappagato, il dolore che si accende intenso. Una vita piena, una poesia piena, e ormai perfetta. « Ho in cuore d'una vita il canto, dove il sangue fu sangue, il pianto [pianto ». Sempre più pallido e sofferente, solitario e amaro, la berretta in capo, il bastoncello in mano, sta ancora Saba- nella sua via San Nicolò, nel*«piccolo — d'antichi libri rari negozietto». Ma anche gli altri amici triestini vivon tutti con'eguale semplicità, e nessuno, sia lecito dirlo, campa dèi suo lavóro di letterato: Stuparich è alla Sovrintendenza dei monumenti, Giotti, impiegato al Civico Ospedale, conta i bambini: che.-vi nascono, Ja Pittoni compone bei tessuti coloriti e fantasiosi, e il più giovane di rutti, Budigna, è segretario del Circolo della cultura e delle arti, un'organizzazione ben resistente annidata nel nobile ridotto del gran : Teatro.... WT* "~ ,;. 1 Qualche vòlta;, la sera, alcuni di essi salgono alla terrazza di Rossini e Bergagna, pittori, la più singolare coppia di amici che si possa immaginare. Rossini, dopo l'altra guerra, sperduto con la madre profuga nelle colline piemontesi e poi venuto a Torino e immalinconitosi di non capire quel chiuso linguaggio, si prese una pazza nostalgia di Trieste e tornò in patria.- Incontrava gli amici, li abbracciava, ma quelli, col pudore, triestino, si ritraevano. Finalmente trovò un Piccolino suo pari, compagno di scuola, che stette all'abbraccio; decisero allora di vivere insieme, spartendo la pittura, la povertà e la serena ammirazione di Trieste. Su in alto, nella parte vecchia, vicini a San Giusto, in un terrazzino bene irnpergolato di verde, e fiori in recipienti di latta, vivono da quanto? da trent'anni? Un'amicizia perfetta, ' una fraternità di conventuali.-La mattina, un cagnolino fa la spola dall'uno all'altro: hai dato il buongiorno a Rossini? corri a salutare Bergagna! Lassù, qualche sera, capitano dunque gli amici letterati. Lassù, col mare lontano, è una Trieste senza sospetti, senza ritegni, la viva e antica Trieste. Trieste l'inquieta! Trieste la scontrosa! ha cantato Saba, Per quel rametto di pazzia, quella fronda romantica che svetta, dicono, in ogni vero cuore triestino? Certo il buonumore, il morbm, se n'è andato, come i rumori che calano di colpo, dopo vespro; ma ve n'è, oggi, di ragioni, più che dieci anni fa, al tempo che Joyce domandava alla signora Livia Svevo: «E andove ze andado finir el morbin famoso dei terriestini? ». Ora contro questa inquietudine, per calmarla dandole una via, qualcuno ha pensato di reagire, come l'Anita Pittoni che s'è messa a curare una minuscola attività editoriale, la quale sta tutta dentro un cassetto, manoscritti e carta intestata: le edizioni dejlo Zibaldone. Si sente che c'è die tro anche Stuparich, cioè tre cose: il suo gusto di scrittore (alcuni dei suoi più raffinati racconti sono comparsi in questi giorni in un'edizione di Garzanti // giudizio di Paride), l'affezione del triestino (egli promette a Zibaldone la ristampa di due rari, eccellenti scritti di vecchi conterranei) e la continuità spi rituale dell'amico (per Mondadori sta apprestando tutto Slataper). Zibaldone ha cominciato con le Memorie di G. G. Sartorio, dissepolte appunto da Stuparich: un libro all'antica, scritto per «figli, parenti ed amici» e non tanto per dire «guardate come ho vissuto la mia vita » ma per cavarne un senso morale un ammaestramento al ben vivere operoso e quadrato, pratico mà col sogno delle cose elevate, delle aspirazioni più nobili, r una franchezza, una calma religiosa nell'anima, che segna appagando, i limiti all'umano. Quel Sartorio era uh avventurose, e savio uomo europeo: faceva 1 psarocaHdnvools più arrischiati traffici, fra Trieste e Odessa, tra Malta e Londra, a Vienna o a Marsiglia (c'è odore di mane nel suo libro), ma se oggi aveva gli occhi per i carichi e i conti, domani li aveva per assistere all'ultimo .trionfo di Haydn a Vienna, all'esecuzione del suo Oratorio della Creazione diretta da Beethoven, o per vedere Madama Staèl a Genova o l'apollineo Byron a Venezia, o Cesare Cantù o Francesco dell'Ongaro, il Vieusseux o Kossuth, Rossini o Mettermeli, Madama Murat o il re di Sassonia, Napoleone e Bernadotte col pennacchio tricolore sul cappello in piazza della Borsa a Trieste nel 1797, un grande banchetto dei mercatanti grossisti della Grocer's Hall a Londra, o il colpo di Stato del 2 dicembre 1851 a Parigi. In seguito, con quei- graziosi tipi dello Zibaldone, sono* usciti Assedio, poesie di Budigna, difficile lotta di una personalità per vincere (e vince qualche volta; per es., in Fenice) l'assurda e mo- notona oscurità, l'occulto strazio dello spirito e del linguaggio poe- lco moderno; e poi Le stagioni della Pittoni,. originale libretto. Che^cos'è Li* stagioni} Non le stagioni della natura, ma della vita, e non di una particolare vi- niiiiiìiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiii immnniii: smaltati 1 colori, il suo rimare co* sorvegliato, la sua acutezza moderna, sono esperienze scava te non già nel terriccio volgare de,"a poesia vernacola, ma nella più nòbue argilla della tradizione letteraria italiana, Franco Antonicelli ta o della vita in genere, ma di una vita colta nella sua tenera e continua vibrazione d'amore; e questo amore non è neppur esso qualcosa di vero e preciso (benché non manchino, in questo soliloquio, mormorio dell'anima, gli appoggi realistici), ma piuttosto il desiderio di un sognato amore, che rende le stagioni dell'intima vita cosi incantate e vaganti, e come inscritte fra i righi di una melodia. Si tratta di una scrittura personalissima, che scivola con leggerezza fra i pericoli del falso letterario. Infine, verranno anche le « poesie nove» di Virgilio Giotti. Vorrei che il lettore di lingua italiana sapesse che questo poeta, il poeta di Caprizzi, canzonete e storie, e di. Colori e del Velier e del Paradiso, ha dato una voce anche lui, pura e inalterata, alla patria di un Di Giacomo e di un Tessa; il suono pungente, malinconico e virile del suo canto triestino, la nettezza delle sue immagini, come di vento che- fa umilimi immillili iiiimmmm