La luna e i falò

La luna e i falò La luna e i falò Uno sgarbo, certo involontario, de.1 nostro Monelli, alla letteratura di Cesare Pavese, ha coinciso con la pubblicazione de La luna e i falò (ed. Einaudi) dove l'arte dello scrittore, già egregia ne La bella estate, sempre più vigorosamente si afferma. All'origine del dispetto di Monelli, che del resto si estende a Moravia e ad Hemingway, sta la rivendicazione di uno stile popolaresco e istintivo, contro la moda psicologica e la ' composizione di stampo americano, che falserebbero i caratteri, e appesantirebbero il racconto. Concordo con lui che le fiorentine sono d'excellents morteaux come diceva quel francese, è se evito di entrare nel merito del romanzo di Flora Volpini, contesto invece che La romana di Moravia e le ragazze torinesi di Pavese, specie ne La bella estate, non siano vere e rappresentative. E l'occasione intanto mi sospinge a vedere, per le altre regioni, se stiamo cosi bene in tipi letterari. Per La venexiana, ahimè nulla di fresco che eguagli la salace commedia cinquecentesca edita dal Lovarini; per le milanesi, il caro e buon Linati di Cantalupa, trovò degli accenti persuasivi; per le bolognesi, il primo e miglior Bacchelli del Diavolo al Pontelungo, preparò la_ nicchia; per le napoletane, Gino Doria, in un racconto malnoto quanto delizioso, Un brav'uomo, nel '41 disegnò profili più sobri e curiosi di quelli recentissimi di Marotta; per le siciliane, ricorreremo all'Elsa Morante di Menzogna e sortilegio e, donna Flora a parte, non sacrificherei, per le toscane, Le sorelle Materassi, le figure e figurine di Palazzeschi, e tanto meno La Velia di Cicogna ni. In un certo imbarazzo, mi mettono le liguri, che i Trucioli di Camillo Sbarbaro le maltrattano, le triestine salmastre di Quarantotti Gambini e di Stuparich; nè mi persuadono le donne di Bonaventura Tecchi e di Marino Moretti per la costa adriatica al pari della Signora Ava di Jovine, delle lucane, del Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi, e delle calabresi di Alvaro. Sarebbe curioso, perfezionando e sviluppando ciò che si è fatto poi fascicolo edito dalla Radio e intitolato Donne italiane, preparare un'antologia delle più belle pagine, o almeno delle più singolari e caratteristiche, riguardanti le donne delle principali regioni, viste dagli scrittori che le conoscono. E magari risalire anche un po' ai classici, perdono-, rar la tradizione, e insaporir le prose dei contemporanei. Intanto, per gli artifizi stilistici di Pavese, il nostro Monelli sbaglia il tiro. ■ Giacché proprio la prima pagina de. La luna e i falò, ha due o tre vocaboli,, e giri di frase, prettamente e gustosamente piemontesi. Purtroppo, noi siamo, una razza che non si propone ad esempio, non canta inni, nè fa propaganda a sè medesima, e certe cose preferisce dirle in un dialetto che madrelingua, fedele a una mentalità fra. epicurea e stoica, che tien nascosti molti sentimenti. Se un libro come Tempi beati di Arrigo Frusta fosse uscito a Firenze, se i poeti del gruppo de Ji Brande si stampassero a Roma chissà che chiasso! E cosi, Pavese va avanti, un romanzo dopo l'altro, con la sua tenacia subalpina, e lo battezzano heming wayano, o ermetico, o avanguardista, tutte classificazioni da ripudiare. Perchè la sua ispirazione, anche quando in gioventù traduceva americani, e ne risentiva a tratti l'influsso, era, ed è rimasta sempre paesana. Quando gli dicevamo: — Sinclair Lewis, Dos Passos... — pigliava cappello, «e rispondeva: — Giovanni Verga! —. Qui, ne La luna e i falò, ritroviamo il tono e l'ambiente del medico poeta Edoardo Ignazio Calvo, e del Calandra dipintor di giacobini. Che i « giacobini » si siano chiamati nel *43-'45 partigiani, è un semplice cambio di vocabolario: luoghi, gli uomini, i casi, son quelli stessi e la loro raffigurazione altrettanto incisiva. Al. posto di Pavese, forse trattenuto dal timore di qualche reminiscenza da romanzo d'appendice, avrei intitolato II bastardo, il racconto ch'egli ci dà ora, e che scava a fondo anime e paesaggi E' proprio la storia di un bastardo, di un trovatello preso da una famiglia di poveri contadini per lucrar il sussidio di cinque lire mensili, e disporre di due braccia di più. Sopravvissuto agli stenti, è andato all'estero, poi è tornato provvisto di quattrini, con affari a Genova, ma il bisogno di radicarsi, di riambien tarsi, lo riconduce nelle terre del Belbo e di Candii. Grado grado, i ricordi della sua infanzia miserabile, lo riprendono: un amico gli è rimasto, falegname. E con lui, ripercorre le tappe del cammino. Garzone di fattoria, era partito dopo il servizio militare, per cercar fortuna ol tremare, mentre certi compagni « sovversivi » cadevano in gabbia: Solo, aveva conosciuto le peregrinazioni e la dura sorte dell'emigrante, e poi la nostalgia lo aveva afferrato alla gola incontrando uno dei suoi paesi, che gli riportava il senso della vita, la pienezza di passioni, i colori e gli odori di un mondo perduto. Bambola insipida, per esempio, quella ragazza americana, dal « ventre biondo nutrito di latte e di sugo d'arancia ». con cui viveva e che aspettava la celebrità cinematografica, al confronto di Santa, di sua sorella Silvia, e d: tante altre, per le quali l'amore era tutto! Sino a lasciarci, la prima, la pelle, per una « ripulitura » andata a male; e la seconda, a cader fucilata come spia, e morta faceva ancora gola. ' . • . . Ma non soltanto desideri mu tili, e amori, e amorazzi, ci som. ne La luna e i falò. C'è la mi¬ spflpipmidfgclscdvitcrndbgcvmlpnacsnpcuqnemlLrMzedtgslmrbmmqrmzgsndd seria e la brutalità dei contadini poveri e affamati, che picchiano familiari e bestie sino a storpiarle, la tragedia del fittavolo che per la disperazione s'impicca e incendia, della vecchia di campagna lasciata agonizzare, della moglie o dell'amante sformate, inferocite e ridotte ad animali da soma, dei bambini che si difendono col coltello dalle cinghiate paterne. E Pavese ha già còlto il rivolgimento.che segue le guerre civili, il risucchio in senso conservatore, il troppo facile e interessato oblio che tende a metter sullo stesso piano il vinto e il vincitore, la vittima e il vendicatore. I cadaveri che la terra rende, son buoni per specularci su, e per le zuffe elettorali. Nulla,_ o ben poco, cambiano gli anni e le guerre, il corso delle stagioni. Forse perchè il bastardo e il suo amico raccolgono il piccolo storpio Cinto, la commiserazione per l'infelice, vuol dire auspicio di un mondo migliore? I falò che si accendori la notte di San Giovanni e preparan la pioggia; la luna giovane che favorisce certe opere agricole, sono un simbolo?'Che cosa nàscerà dal rogo dove la salma di Santa è bruciata? Se non erro, Pavese, che nel Compagno, e in qualche altro racconto - sembrava sperare negli uomini, _ ridiventa pessimista: questo libro duro, scarno, cronaca di delusioni, di miserie, ecatombe d'impossibili amori, manca di quelle scene spettacolose e idilliache che ornavano La bella estate, procede come un racconto alla Mérimée od alla Maupassant, sino all'epilogo, sen za fronzoli, nè indulgenze. Passate pure in rivista vecchi e nuovi scrittori, riaprite e godete La fiorentina o II bell'Antonio, difficilmente però eguagliente l'originalità di Pavese, la serietà profonda del suo lavoro, l'impegno con cui affronta una materia ingrata. Della sua forza, ripeto, oggi non vedo che Alberto Moravia, nei raccónti romani che va pubblicando, e non ancora ha riunito, e che per molti aspetti sono paragonàbili a quelli del nostro. Senonchè Moravia ha una vena satirica e comica, a temperar la sua amarezza, e Pavese è naturalmente tragico, salvo a consolarsi col paesaggio. Qui, ahimè, sotto la luna, non rimangon che le tracce dei letti dei falò, dove all'odor dei sarmenti si mescola forse ancora quello della carne arsa. Arrigo Cajumi I1IIIIIIMIIIIII1IIII1I1HIII1II1II1IIII1II IIIIIIlll A Parigi al è svolta una pittoresca cerimonia; due sindaci della città e quattro ballerine hanno tagliato un nastro simbolico teso nella via, annunciando l'Inizio della settimana dell'oc Opera » al Palais-Royal: la folla partecipa festosa

Luoghi citati: Cantalupa, Eboli, Firenze, Genova, Parigi, Roma