Il problema della vita

Il problema della vita PROSE Iti R03IAXXO Il problema della vita « Penso spesso che sarebbe meglio non tentare nemmeno di risolvere il problema della vita. Vivere è già abbastanza' duro senza complicare il pro-| blema pensandoci». Q.i»=tn«fJferma Aldous Huxley delle novelle contenute in Lim >stoaf-!in una 1bo (Longanesi, 1950); lo scriveva però nel 1920 e, a giudicare dalla sua opera successiva, al problema della vita ci ha poi pensato su, e parecchio, e si è sforzato in più di una 1 pagina di « conciliare l'inconciliabile ». Ma in questo suo vecchio, sebbene non decrepito, volumetto, si trovano un po' tutti gli ingredienti, più o meno piccanti e che lo Huxley saprà in seguito manipolare assai meglio, di un umorismo ormai alquanto sorpassato, in una visione della vita piuttosto malinconica anche se superficiale. Huxley rimane qui fedele al suo titolo: le anime che ci presenta — perchè sono vicende di anime quelle che ci racconta e anime abbastanza spettrali, i cui corpi appaiono penosamente indefiniti anche quando pretende di descriverli sono incapaci di una decisione. Soffrono un po' della malattia dell'epoca In cui furono concepite, sospese cosi fra morte e vita, delle quali paiono avere altrettanta ignoranza che paura. Rimangono quindi in una luce crepusco lare, quasi un preludio ' di astrattismo: e sebbene la grazia arguta dello scrittore riesca ad infondere una parvenza di movimento ai suoi simbolici manichini, che gesticolano con eleganza e buona grazia appesi ai fili del burattinaio, non si esce dall'astrazione. E questo limbo cosi cerebrale si ricollega in un curioso modo sottile a certe recentissime astrazioni ed utopie, dove io Huxley affronta magari tutto quanto il problema della vita, senza peraltro risolverlo, neppure con quel tanto di approssimazione che è possibile al cervello umano. E questo suo carattere quasi di lontana pre¬ messa allo Huxley di oggi può aggiungere un singolare inte resse al piacevole volumetto, . * * Una realta violenta, invece, e disperata, una volontà tesa e disperata, dl affr°ntarlo in pieno, 11 problema della vita, sono la so- stanza del forte, anche se diseguale, romanzo di Robert Lowry, Mi troverai nel fuoco (Mondadori, 1950). Il Lowry è un giovane scrittore americano, che ha fatto la guerra, in Italia, ed è tornato in patria, nella sua intatta Cincinnati, Ohio — carico di una amara esperienza e insieme, parrebbe, di una collera sorda contro quei suoi concittadini che quella esperienza hanno evitato e che non riescono neppure lontanamente a comprenderla. Tale, almeno, è l'atteggiamento del suo protagonista, un mutilato, che torna a casa molto tempo dopo gli altri reduci, a luminarie e fanfare spente, per ricercarvi qualcosa che non esiste più: la sua adolescenza, forse, il suo volto di ragazzo, prima di quei cinque orribili anni perduti, oppure soltanto un po' di tenerezza, una accoglienza affettuosa. Ma egli viene dalla violenza, e non può attendersi altro che violenza. Anzi, fa da catalizzatore delle passioni altrui, e intorno alla sua magra figura zoppicante e disperata si intrecciano i drammi singoli degli altri tre personaggi, la ragazzina ammalata di bovxrismo, la zitella intsllettuale dalla femminilità repressa e mai sbocciata, l'adolescente negro, ribelle alle umiliazioni che una società ingiusta gli infligge. Denso e serrato il racconto: tutto si svolge in una sola settimana. L'ambiente è una cittadina di provincia; e si ha l'impressione di trovarsidentro allo svolgimento deltema proposto da una lapide della Antologia di Spoon River, con un approfondimento della pena, una amarezza più cruda, un fallimento più irrimediabile. Il reduce non sa liberarsi dall'odore del sangue, dal senso della sua propria morte; e alla fine, fugge per sempre dalla piccola città della sua adolescenza, dove non ha ritrovato il suo io lontano, perduto in qualche posto ignoto nel vasto mondo della violenza, dal quale era nato il suo nuovo io, fatto di inquietudine e di rimorso. * * Uscendo dal- grigio limbo di Huxley e dal rogo fiammeggiante di Lowry, triste mondo di ieri e ancor più triste mondo di oggi, si prova un vero refrigerio a indugiare nel placido stile e nelle lunghe cadenze del candido romanzo di Constance Holme, La mia tromba giaceva nella polvere (Bompiani, 1950). Il titolo non deve spaventare: non si tratta qui nè di guerre nè di eserciti, ma della semplice vicenda di una povera vecchia domestica, a cui la sorte crudele, con un tiro maligno, vieta di poter godere il premio di una lunga vita di duro lavoro, e cioè l'uso di una comoda casetta concessale per il riposo della sua estrema vecchiaia. E' un altro coeur simple, molto inglese, si capisce, e temprato da un ideale altissimo del dovere, quello per cui appunto rinunzia alla felicità sognata da molti anni, quasi da tutta la vita. E forse, in queste senso, la vecchia fantesca è tuttavia un po' una eroina alla Nelson, e non disdice il titolo guerriero all'umile trama del finissimo raccontq. Nel quale ritroviamo le ben note caratteristiche dell'umorismo e di un certo lntimium-. direi, tipico della letteratura femminile inglese, dalla Austen e dalla Gaskell fino alla stessa Woolf: una singolare acutezza ne! cogliere il particolare, nel ldisegn|re minutamente gl'i in1 terni, nel fermare le espressioni più fuggevoli e pur rivelatrici del vero carattere di quelle bizzarre creature che popolano, con innegabile grazia, i libri delle scrittrici inglesi. a> gr.

Luoghi citati: Cincinnati, Italia, Ohio