MIRAGGI emigratori di Luciano Magrini

MIRAGGI emigratori MIRAGGI emigratori Fallite le previsioni sigillate in quel singolare piano quadriennale di profezie prudenziali e probabili pubblicato nel marzo dello scorso anno dalla Direzione generale dell'emigrazione, un nuovo miraggio è apparso confusamente sulle sabbie della nostra politica emigratoria. Autorevoli personalità dopo averci parlato di politica triangolare dell'emigrazione (manodopera italiana, capitale americano e area depressa di questo o quel continente) collegandola all'ancora imprecisato IV punto di Truman, e dopo aver fissato su un lato del triangolo l'apporto della nostra manodopera hanno invaso anche il lato riservato dapprima alla generosità degli americani assumendone, anche per dare l'esempio, il peso di una parte cospicua senza domandarsi se diventando noi fornitori di manodopera e di capitale non sarebbe stato assai più opportuno che ci accingessimo ad occupare anche il terzo lato del triangolo diventando fornitori di aree depresse, che tante ne abbiamo nell'Italia insulare e meridionale. Si è parlato di nuova politica emigratoria, di emigrazione capitalizzata, di grande svolta. Si è giunti a scrivere che « l'emigrazione congiunta a investimenti di capitali si presenta come la equivalente delle fanterie motorizzate » e che « l'accoppiamento emigrazione-investimenti costituisce una duplice linea d'attacco della nostra politica estera». Nulla di nuovo sotto il sole emigratorio. Questi vistosi discorsi pubblicitari di emigrazione capitalizzata, presentati come una preziosa invenzione delle ultime settimane, altro non sono che la superficiale ripetizione di vecchi progetti di colonizzazione, studiati fin'nei più minuti particolari, ma non mài giunti a concrete soluzioni, nel tempo in cui l'Italia non aveva tante rovine e tante miserie da sanare e i progetti di colonizzazioni estere offrivano maggiori prospettive di successo. Negli archivi óteirex-Cbmmissariato dell'emigrazione vi è una "copiosa raccolta di studi, di progetti, di tentativi di colonizzazioni: dal progetto di Ernesto Nathan del 1905 alla società colonizzatrice italo-argentina patrocinata nel 1921 dal maresciallo Caviglia. Per vent'anni si sono susseguiti progetti di colonizzazione riassunti oggi, con terminologia nuova, nel binomio « emigrazione - investimenti»: progetti per tutti gli Stati sud-americani, per il Messico, per il Canada, per gli Stati Uniti, per l'Africa e per l'Australia. Ma tanta fatica riuscì vana perchè mancarono capitali per il finanziamento di iniziative che per loro natura non potevano assicurare un certo reddito, o vennero meno da parte di Stati e privati esteri le previste condizioni di sfruttamento. Si ritorna forse, con minor preparazione, a quella febbre dell'* oro verde », manifestatasi pri ma e dopo la guerra del 1914-1918, nella quale dan zarono confusamente nobili illusioni e torbide speculazioni confluite allo stesso insuccesso? Nell'odierno, in: certo clima politico degli Stati sud-americani, con le autarchie, gli arbitrii, gli orgogli nazionalisti di Stati più o meno totalitari, chi garantirà l'emigrante colonizzatore? E quale efficacia potranno avere gli eventuali accordi emigratori, ai quali del resto gli Stati americani si mostrano restii, se l'unico accordo concluso in questi ultimi tre anni, quello italoargentino, non è stato nelle sue clausole ancora adempiuto dal generale Peron? E non converrà riprendere nei riguardi dell'emigrazio ne la vecchia, meritoria po litica del Commissariato i per ciò che riguarda jl binomio « colonizzazione-investimenti » pensare un po più alle aree depresse casalinghe? Molto si è parlato e molto si parla di favolose possibilità africane: ha cominciato il segretario generale del ministero degli esteri Vit torio Zoppi ad affermare la necessità della collaborazione internazionale triangolare per « la messa in comune di tutte le risorse europee in uomini, terre, capitali per assicurare alla civiltà europea, bianca, cristiana il con trollo dell'Africa, come già è avvenuto per le due Ame riche ». Che cosa si propone il segretario generale di palazzo Chigi? Assoggettare forse con una nuova forma di imperialismo economico arabi e negri alle cristiane razze bianche? E come si conciliano queste intenzioni col recentissimo discorso dei Presidente De Gasperi ai soldati partenti per la bo- malia? Nè riusciamo a vedere la Somalia trasformata, secondo l'immagine dell'on. Sforza, «in un'isola protesa verso il medio oriente » o in quel grande cantiere descrittoci dal sottosegretario Brusasca, destinato a « qualificare il popolo italiano » perchè tutti gli italiani che andranno in Somalia potranno diventare dei « lavoratori qualificati per il reclutamento degli altri territori africani e di quelli ! affini dell'America, dell'Asia e dell'Australia ». Quali sono le odierne possibilità di emigrazione in Africa? H 31 marzo dello scorso anno la Direzione generale dell'emigrazione nella sua ponderosa opera di profezie statistiche, assegnava all'Africa una cifra unica di 3000 emigranti prudenziali e 2000 probabili per ciascuno dei quattro anni dal 1949 al 1952 e ci diceva che le regioni suscettibili, per condizioni ambientali ed economiche, di una larga emigrazione bianca, Africa . settentrionale francese e Unione Sud-africana, erano del tutto o quasi chiuse alla manodopera italiana, e per quanto riguardava i territori coloniali dell'Africa tropicale occorrevano larghi investimenti di capitali e modificati orientamenti delle potenze colonizzatrici. Per quanto sappiamo, da allora nulla è intervenuto a dare qualche nuova, sia pur nebulosa definizione alle ondeggianti speranze africane. Recentemente il ministro Sforza, rispondendo ad un'interpellanza del sen. Sacchi, ha dichiarato che il governo francese non consente che nelle sue colonie africane la manodopera straniera superi il 15 per cento del totale degli operai francesi metropolitani. L'Egitto, prescrivendo che in ogni azienda il 75 per cento degli impiegati e il 95 per cento degli operai debba essere costituito da personale indigeno, non solo ha chiuso le porte all'immigrazione ma ha messo sul lastrico parecchie migliaia di immigrati. Per ciò che riguarda il Congo belga, poche settimane addietro il ministro delle colonie Vigny dichiarava ad una delegazione italiana: «Non vi è alcuna possibilità di immigrazione nella nostra colonia. Per la manodopera non qualificata bastano gli indigeni, per la manodopera qualificata bastiamo noi ». Nei giorni scorsi, in un articolo pubblicato sul Popolo di Roma, il nuovo sottosegretario agli esteri, on. Dominedò, ha scritto che per gli sviluppi della nuova politica emigratoria « occorrerà fede e fantasia ». Forse voleva dire « danaro e fantasia ». Ma ormai da troppo tempo si tende ad eludere i problemi immediati dell'emigrazione sostituendovi immaginose soluzioni a lunga scadenza. Basta con le fantasie. Urgono modeste ma concrete realizzazioni. Luciano Magrini (iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiimiiiiiiiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiin

Persone citate: Brusasca, Caviglia, De Gasperi, Dominedò, Ernesto Nathan, Peron, Sacchi