OPPIO

OPPIO OPPIO Quattro anni fa, in uno. scritto notevole, Augusto Detoeuf distingueva Le due iacee della libertà. Egli dimostrava^ in maniera probante, come questo termine di libertà, che a noi appar chiaro, nasconda invece, per l'uomo ricco e per quello povero, concetti assolutamente diversi; quegli che non ha da preoccuparsi dell'immediato domani, annette l'importanza che tutti sanno alla libertà di pensare, di discutere, di esprimersi; ma per l'altro l'essenziale è assicurarsi il pane, senza cadere per questo in dominio altrui. Alla luce di così approfondita analisi si comprende come vi siano oggi tante persone alle quali la libertà del primo tipo non interessa affatto. Le condizioni moderne della produzione hanno attirato nel secondo gruppo una folla che in altrj, tempi non vi sarebbe forse entrata. Poiché, nell'età delle macchine e degli scioperi, l'individuo si sente incapace di trarsi dagli impicci da sè, eccolo che si rivqlge. allo §tato, e la sua sollecitudine per la libertà va diminuendo proporzionalmente: senza rendersene conto, egli diventa un proletario. Non v'è alcun dubbio che al tempo stesso l'individuo pretenda di riserbarsi il massimo di libertà possibile: ma gli sarà poi concesso di essere contemporaneamente il cane e il lupo della favola? Non appena la collettività incomincia a donare qualcosa ai singoli, trova pur anco qualcosa da tenere sotto controllo; ed è tutta un'armatura che si forma, e serra il beneficato. Lo rinserra; ma, dobbiamo ammetterlo, sostenendolo tuttavia. A questo sostegno egli si abitua; se gli venisse a mancare ne avvertirebbe subito l'assenza. Insensibilmente l'individuo ha perso la consuetudine e quasi il gusto della libertà. Si pensa a quei condannati che, la sera della liberazione, ritornano a dormire in prigione. E Julés Renard scrisse nel suo Journal: c L'uccello non sente nulla quando gli tagliano le ali, ma non può più volare! ». Nella Weltwoche del io gen naio scorso apparve un articolo molto significativo sotto questo aspetto, intitolato: «La libertà mi fa paura! ». L'autore, ex-colonnello sovietico, vi raccontava la storia di certo Anatol Barzof, che, fuggito dalla Russia a rischio della vita per raggiun gere gli Stati Uniti, era rientrato poi nell'U.R.S.S. di sua spontanea volontà: la libertà, come la si pratica nel Nuovo Mondo, gli era parsa in qualche modo insopportabile, avendogliene il regime^ marxista tolta del tutto l'abitu3irie. * * Che cosa prova, dunque, secondo l'articolista^ questo cittadino dei Soviet, trasportato senza transizione in un paese di libere imprese e di democrazia tradizionale? Innanzi tutto si imbatte in un impegno al quale non era stato preparato, quello di trovarsi un impiego a sua scelta. In Russia, lo Stato, nei suoi uffici di collocamento, ve ne fornisce automaticamente: non è detto che sia l'impiego che vi auguravate, nè nel luogo che preferite; può anche avvenire che con altri lavoratori siate imbarcati, d'autorità, per una lontana destinazione. Ma non c'è da scegliere; e, in seguito, vi ritroverete sempre in una trafila. . Il fatto d'esser preso cosi per mano vi dà quella specie di sollievo, ben noto ai militari ed a chi vive in convento. La magnifica indipendenza dell'Americano, fiero di guadagnarsi la vita nella dignità di un lavoro equamente retribuito, è riuscita, a questo atrofizzato, una sostanza troppo forte. Ma non è tutto. A Brooklyn, Barzof trova impiego in una casa d'abiti fatti, ma; salvo che nelVatelier, lo si lascia poi libero di organizzarsi la vita come gli pare e piace. E neppure gli dicono, come avveniva nel sub paese d'origine, ciò ch'egli deve pensare di questo e di quello: nessun codice gli è imposto, di condotta d'opinione di fede. Insomma, egli è libero, e non sa che farsi della sua libertà. Di più, essa gli pesa. Va al Consolato russo e chiede il rimpatrio. Perchè? Perchè la vita, in uno Stato ove gli toccava prender da solo le sue decisioni, ove nulla mai gli era ordinato come in caserma, la vita gli era divenuta ormai un fardello troppo greve. Non si trattava di «livello» di vita: quello che aveva trovato agli Stati Uniti era infinitamente migliore; e non era neppure questione di lavoro: in Russia aveva fatto lavori ben più faticosi. Ma il regime sovietico non l'aveva predisposto al clima della libertà, lo aveva reso refrattario alla libertà; l'uomo libero deve avere bensì l'energia del corpoma anche quella della volontà, Anche in politica, questo cittadino plasmato dalla « democrazia popolare », non si trova va, negli Stati Uniti, meno disorientato. Al di là del sipario dferro gli avevano insegnato che lo Stato non può sbagliare; eglè impregnato di questa convinzione sino alle più basse profondità del suo subcosciente. In America molti partiti gli si offrono, e, tra loro, ancora e sempre tocca a lui decidere. Il partito unico esigeva ben minore sforzo intellettuale! Non è più semplice rimettersi a Stalin, aPolitburo, a quelle autorità inattaccabili e infallibili, la cui saggezza e moralità non potrebbero essere messe in dubbio un solo Istante? * * La morale della strana storiètacbsegfisdpdaddrn—casflcctp è doppia. E innanzi tutto si tratta di questo: che la libertà è cosa di valore, e che perciò dobbiamo pagarcela con qualche sforzo. L'aver perso la capacità, e lo stesso desiderio, di raggiungerla, non è come avere atrofizzato in noi qualcosa della nostra umanità? L'altro. aspetto della cosa, e più grave, è che per pigrizia spirituale si può perdere insensibilmente l'abitudine alla vita libera. L'uomo povero del XIX secolo era lo schiavo di una vita mal ordinata, ma il rentier sociale del XX — ed ora non penso soltanto all'U.R.S.S. — lo diventa in un sistema che con l'anestesia della sicurezza apporta più di un germe d'asfissia. Carlo Marx, in una formula famosa, disse che la religione è l'oppio del popolo. Il sistema che distrugge nei suoi beneficiari'persino il gusto della libertà, non è forse un oppio anche più nocivo? André Siegfried

Persone citate: André Siegfried, Carlo Marx, Renard, Stalin

Luoghi citati: America, Brooklyn, Russia, Stati Uniti, U.r.s.s.