Rottura con Lidia

Rottura con Lidia Rottura con Lidia _ La storia cominciò cosi. Una «ignora Lina Cristofori maritata Piva, che proveniva dalla borghesia lombarda intellettuale e galante, ed era tenera amica di Enrico .Panzacchi e di altri, mandò nel luglio 1871, a Giosuè Carducci, un sonetto e il proprio ritratto. Il poeta si disse (lettera del 14 settembre 1874): «Non lasciamoci sfuggir l'occasione, vediamo di raccogliere un , bacio da quesi. labbra che modulano così ardentemente i mici versi: l'abbracciamento di una donna di spirito che v'intende e • vi ammira deve essere qualche cosa di singolarmente voluttuoso: _ io non l'ho mai provato: vediamo di averlo, L'ammirazione di una donna è già amore. Tentiamo ». E riuscì. Senònchè, quella che per Carducci doveva essere nulla più di un'avventura, « fu amor da vero, e poi passione. E la gelosia cominciò ben presto, e crebbe a ogni momento », si estese al passato, al presente, e anche al futuro della donna. Ben sei volumi, dal settimo al dodicesimo (ch'esce adesso presso l'ed. Zanichelli, a cura di Manara Valgimigli) dell'epistolario, ne son pieni. Nel maggio 1879, la corrispondenza si interrompe. La relazione era durata otto anni. Il protagonista di questo adul terio provinciale essendo un letterato, possiamo a distanza d tempo, scrivere il romanzo dal vero. Il marito della signora Lina (in poesia, ribattezzata Li dia), era un valoroso ufficiale che aveva combattuto con Garibaldi, e, quando avviene il di' stacco, ha raggiunto il grado di generale. AU' epilogo, dunque Lidia è < generalessa ». Ma al principio, e ancor alla fine, Carducci ha una moglie, l'Elvira, figlia di un sarto militare che aveva ospitato e aiutato il giovin professore quando faceva la fame a Firenze. E', evidentemente, un'onesta, gretta, incolta don na di casa, incapace di progredire intellettualmente sulla scia del marito. Gli ha dato un figlio e due bimbe: il ragazzo, Dante, muore presto, le fanciulle saranno, crescendo, l'ultima consolazione del vecchip poeta, ma durante la passione per la Lina, scrivono ancor salina con una elle, e giocano col gatto. L'Elvira capisce che Giosuè ha dei grilli pel capo, e fa delle scap_ patelle: scene, ripicchi, mutismi, e col carattere cupo e rissoso del marito, la vita domestica diventa subito un inferno. Si ven ' dica tenendolo a stecchetto < facendolo spendere più di quel che guadagna, e debiti, debitucci, conti, tormentano per molti anni un uomo che deve vivere cofi lo stipendio da professore, e gli scarsi proventi di lavori edi'oriali e giornalistici. Fra Giosuè e Lidia, quest'ultima gli . - presta denari, anche . piccole somme. Ogni convegno d'amore suscita un problema finanziario Manca talvolta il soldo per la mendicante; non ci sono le venti lire per saldare l'albergo o pagare il viaggio, e Lidia le anticipa. Questa versione bolognese di Madame Bovary racchiude mol ti particolari comici. Il colonnello (poi generale) Piva, Vuomo legale come i due amanti lo ( qualificano, è rispettato — a parole — dal Carducci, che sembra aver provato rimorso d'ingannare, lui democratico di sinistra, uno dei Mille. Ma il mondo è perverso, e ogni tanto qualcuno dà del coen a Dome nico Piva: inde irae. A Civita vecchia, dove Giosuè è andato a trovar la Lina, una megera fa il segno delle corna al poeta, che ci ripensa su. e scòpre che l'amica deve aver avuto, a Roma, un ritorno di fiamma col Panzacchi : quest'episodio del l'estate 1874 è un chiodo fisso e arroventato, ricompare ad ogni scenata di gelosia. Il pettegolu me degli amici ribolle, e nel tentativo di ricondurlo in famiglia dicendogli male della donna, persino U Chiarini le tocca Qualche ganimede — di cui due senatori, il Bonghi e il conte Filippo Linati — si strofina alla signora; altri tentano di ricattarla, e Giosuè, l'amante, deve fare — imbarazzatissimo — la parte del marito. Moglie di ufficiale. Lidia, che a Milano era venuta su spregiudicatamente, deve seguire il colonnello nei trasferimenti, e peregrina da Verona a Rovigo, da Civitavecchia a Chieti, con relazioni di società, e nuovi spasimanti, i quali destati sospetti nel poeta. Gl'incontri fra gli adulteri sono fra due treni, a Modena, Padova, Parma, Monza' ecc., dove possono andare in incognito, fra un viaggio scolastico e l'altro, a distanza anche di parecchi mesi. Le beghe e le ire dei due amanti, scoprono molti altarini: leggiamo di malattie vergognose di Ruggero Bonghi, sbalordiamo agli epiteti che designano la moglie del Panzacchi: Carducci, quando perdeva le Staffe, comportavasi da toscanaccio plebeo.' La Lina era fatta apposta per torturarlo: « Troppi intrighi, troppi segreti, troppi sottintesi », per un uomo il cui cuore « ama e arde sempre» e il cui «cervello è gelido, e diffida e ride sempre». Se fossero stati marito e moglie, sarebbero finiti certo in Corte d'Assise (lettera 17 agosto 1876): «tu ami solamente con l'immaginazione». E mentre nel Carducci c'è il pia cere di chi, finalmente, ha tro vato una donna capace d'intenderlo, con cui può parlar di versi e prose, nella signora c'è la vanità di chi ha catturato e tiene a guinzaglio il leone maremmano. Dei due l'indiscreta è lei, e il prudente è lui. La brutalità di certi sfoghi (nel senso di ingiurie; pel resto, i testi a stampa parlano di baci, di braccia che avvincono, nulla di pruriginoso) si accompagna con tene rezze inconsuete. Carducci, che non ha mai potuto soffrire Stei dhal, cita persino una frase di StmedteamvelecoziteeravEconoprinhanaAqucaCpenaitateindctumptre mnndncavmccebndpstrtccdgfittmCdto«cdpncitotprlr«(cpcsfIz , o l i e , i a i e e a o i o l o o a a, e l e ni el na e e a Stendhal delicatamente ' sentimentale (X, p. 76), si confessa ed umilia: « io ti amo, e ho in te l'unica donna che mi abbia amato come amante », ciò ch'è vero. A 'complicar l'idillio, oltre le questioni familiari, c'era la condizione sociale. « Io sono anzitutto un filologo, un insegnante, uno scrittore di critica e di erudizione; poeta, nelle ore di avanzo, nei ritagli, per isvago». E poiché Carducci, sul serio, coscienziosamente, lavorava giorno e notte, legato alla servitù professorale, nasceva il conflitto inevitabile e acuto fra chi non ha tempo per l'amore, e la donna là quale ad altro non pensa. A parte gli umori, la scarsità di quattrini, la situazione domestica, le mille noie quotidiane. Carducci non può dedicare alla passione che qualche raro weekend, un giorno o due strappato ai viaggi, alle ispezioni, alla vita scolastica. Anche la frequente corrispondenza gli è di peso, in lotta con le bozze, i compiti da rivedere, le relazioni, le ricerche d'archivio, le assidue letture, la politica. Si capisce come, aiutata dalla distanza. Lidia pensasse ad altri, si svagasse, intrigasse, fomentando così gelosie e furori: «Ti prego di lasciarmi in pace. Scrivimi, se vuoi, ma non "di tenerezze. E' inutile, io non ho veruna fiducia, nè credenza in te..! ». Eppure, dal principio alla fi ne, dopo dieci lettere d'ingiurie di recriminazioni, Carducci cede alla pantera, alla canaglia, a questa donna che (con la Vivami) sarà la sua sola avventura mondana, l'immagine di una società così diversa da quella in cui egli, scontroso e povero, si era formato. I frammenti autobiografici, preziosissimi, conte nuti nei volumi dal.io" al li dell'epistolario, ci mostrano ap punto le tare di famiglia (tre suicidi, un padre che beveva troppo e ch'egli imitò). E' l'operaio delle lettere a cui capita tra le mani una gentildonna, an che un po' spuria e sciupata, che ha frequentato il salotto della contessa Maffei e corteggiato Giovanni Verga. Alla gran fiammata poetica, subentra l'abitudine; poi l'irritazione, il tentativo di svincolarsi, le delusioni man mano che passano gli anni, Carducci scopre l'aridità profon da della sua esistenza, la monotonia del lavoro, l'inutilità di ogni cosa, diventa filosofo: «Non ho vita di famiglia per che l'Elvira è troppo differente da me e non ha mai saputo prendermi per il mio verso: non ho amici, non posso chiacchierare nè conversare con gli indifferenti, tutto mi annoia, tutto mi apparisce vile, volgare o falso. Faccio sgarbi e commetto inciviltà con tutti» (XI, p. 37)., La sola religione che gli resta,.quand'anche Lidia, si è dileguata, è « la grande arte pura » la poesia divina ammirata « sino all'entusiasmo lagrimoso » (XII, p. 184). Giacchè, caduta con suo tripudio la Destra dal potere, schifando egli i « cafoni cavouriani », la Sinistra, a cui spiritualmente appartiene, gli offre lo spettacolo di «una trista Italia (dove) infuria una procella rea di commedianti ladri e ruffiani, che fa pensare con desiderio soave alla ghigliottina permanente per salutare disposizione del Comitato di sicurezza pubblica» (XI; p. 31). Di espressioni di questa fatta ce n'è quante ne volete, ribadite in prosa e in versi. Anche in' letteratura, trionfa Stecchetti, ch'egli in parte apprezza e loda, specie la prefazione alla Nova polemica; però rappresenta la scuola della « porcheria », in una « Europa marcia » e putrefatta. Nulla di nuovo sotto il sole. Ma torniamo a Lidia, per la quale Carducci fa arrivare in extremis da Parigi proprio Madame Bovary. Generalessa a Chieti, « avvezza alle tradizioni dei moderati e dei consorti », l'ultima lettera a lei indirizzata che figura nell'epistolario è del novembre 1878, e riguarda l'appoggio da lei chiesto al poeta. ddcglz(rBtmqd1tdspdtprcscpr1ctptrHIIIIIIIIIIflIIMIIIIIIMIMMlItllMIIItlHMIIIIIIIIIM divenuto proprio allora scudiero della regina Margherita, per cambiar guarnigione. Schermaglie: niente che lasci preveder la rottura definitiva, e il silenzio. Il lettor curioso però scopre (XII, p. 193) questa noticina nei regesti : « A Domenico Piva, da Bologna, 1879 — è un frammento di lettera, assai più ampiamente distesa, l'autografo della quale non ci è pervenuto ». Che diceva Carducci al marito? Non 10 sappiamo. Nello stesso 1879, tre lettere senza indicazione di destinatario, scritte in terza persona ma dirette, da quel che appare in nota, proprio a Lidia, dichiarano tuttavia : « Non intendendoci più fra ' noi, io approvo quello che la Signora ha risoluto... di non noiarci punto, con lettere oramai inutili o dispiacenti. » - « Una delle cose che più mi han fatto male da parte di quella Signora, è l'avere ella obliato qualche volta che 11 mio segreto era mio ». I testi son qui, e aspettiamo che si faccia la luce. Per intanto, riaprite, dopo questa vile prosa, le Odi barbare, e ricercatevi Lidia dimenticando, se vi riesce, Lina Piva. Arrigo Cajumi iniiiiiiHiinMiiiriiiiiiiMMiiiifMiiiiMMiiimiiiii