I napoletani non ridono più di Giovanni Artieri

I napoletani non ridono più MORTO, CON SCIOSCIAMMOCCA, IL TEMPO FELICE I napoletani non ridono più Era, don Edoardo Scarpetta, l'attore della lira-oro, e donna Rosa rivaleggiava per bellezza e gioielli con la Regina Margherita - Oggi, a ripensarci, meglio si avverte l'onda amara, la tristezza della nostra età (Dal nostrq inviato speciale) Napoli, febbraio. / napoletani non sorridono nè ridono più. Banno persino disimparato quel loro antico motto: «non te ne 'ncarrlcà» (non dorè peso ai fastidi della vita) nel quale concentravano una parte della loro filosofia. Come, del resto, potrebbero ridere o sorridere delle loro presenti condizioni? Dal tempo dei tempi l'economia politica del napoletano consisteva nella ricerca e nel travamento di « diciannove soldi per fare la lira». Specchio della borghesia Voleva dire che dal tempo dei tempi l'indigente a Napoli possedeva almeno un soldo, cinque centesimi. Proporzionalmente alla moneta inflazionata, adesso, quel soldo il napoletano disoccupato, smarrito, disfatto non lo possiede più. Perciò ha smesso di ridere. Con questo facile determinismo economico vorrei «piegare tra l'altro anche il tramonto delle grandi dinastie «Hill'' •"I"IIIIIII!!I'!I'1!IV— Un cappello di paglia di Firenze, modello di Simone Mirman, presentato dall'attrice Inglese Christine Norden IIIMIIIIIUIIIMiminilllMllmiMlllliMlllllliilllIMMIIIIIIMIIIIIIIIIIIIMIIIIMIIIIIIMIUMIIMM ) comiohe napoletane. Gli ultimi rappresentanti dell'arte del ridere sono emigrati da tempo: i De Filippo, Tota, Taranto. La tradizione d'un teatro stabile in cui quelle numerose e fiorenti famiglie di attori perpetuavano il genio gaio, satirico, filosofico del Pulcinella e poi del don Felice andò in fumo con l'incendio del teatro Nuovo. Edoardo Scarpetta era ancora vivo, sebbene già da molti anni fuori del palcoscenico; quando morì e Felice Sciosciammocca cessò di esistere anche di riflesso, a Napoli, nel senso antico, non si rise più. Subentrò il tetro, pensoso umorismo di Eduardo de Filippo e, anche, la deformazione mimica angosciosa e grottesca di Totò. Era, già teatro di un'altra epoca, di un'epoca infelice tra la dittatura e la sconfitta; ma anche di dopo, di oggi. Nè è lecito supporre che tutti i napoletani di oggi ricordino nel loro quotidiano assillo di vivere, l'epoca buov i • t • 111M11 ( 11111111111 ( M111 li 111 • 111 f i r i ' ' : ! : • : lii'in na della risata; l'epoca in cui un comico di singolare potenza, Edoardo Scarpetta, per non si sa quale misterioso istinto e intuito d'arte creava accanto al Petito e sull'istesso palcoscenico del teatro « San Carlino » un tipo di napolitano più attuale e vero rispetto al Pulcinella servo filosofo in una società feudale di baroni, principi, mare/tesi in giamberghe di seta, pantaloni al finocchio e tricorno: un mondo nel quale non era ancora comparsa la borghesia, economa, letterata e ambiziosa. A Napoli, dopo il 1860 questa borghesia che aveva già fatte le barricate nel maggio del '48 e dato mano a Garibaldi nella conquista del Mezzogiorno, venne impersonata da Edoardo Scarpetta che Vittorio Emanuele II andava ad applaudire da un palchetto del « San Carlino » tuonando di tra gli immensi mustacchi e il pizzo nero, clamorose risate. Quando il Pulcinella Antonio Petito morì sul palcoscenico durante una rappresentazione, don Felice Sciosciammocca restò padrone del campo a incarnare il mito allegro di un Mezzogiorno che sperava di costruire la propria fortuna in seno all'Italia unita. La borghesia napoletana andava a divertirsi ma anche un poco a specchiarsi nelle oommedie in cui Sciosciammocca, povero, affamato, disoccupato, pieno di guai al primo atto finisce col trovare — furbo e fortunato — agi e felicità al terzo. La ricchezza di Scarpetta cresceva contemporaneamente al diminuire del disavanzo nel bilancio dello Stato. Don Felice Sciosciammocca fu l'attore della lira-oro e la sua gloria culminò al tempo della conversione della rendita. Donna Rosa Scarpetta si poteva permettere di rivaleggiare per bellezza e gioielli con la stessa Regina Margherita; gli incassi di una sola commedia — c Na Santarella », era il titolo — consentivano a don Eduardo di costruire una grossa villa in stile medioevale sulla collina del Vomero alla quale appose il motto: «Qui rido io». I napoletani erano felici che egli ridesse poiché ogni sera potevano ridere anch'essi; cosi gli dettero danari per levare anche un grande palazzo sulla via dei Mille, nella zona aristocratica della città, quasi a completare la evoluzione borghese di Felice Sciosciammocca. Il museo della risata In questa casa dal grande atrio di piperno, Scarpetta dispose le statue di gesso di se stesso nelle sue maggiori interpretazioni. Scelse l'appartamento dell'ultimo piano e gli altri destinò ai figli e alla figlia Maria. Nelle stanze raccoglieva cosi i cimeli della sua vita fen¬ ce; ritiratosi dal palcoscenico li ordinò a poco a poco in un museo della risata. Copri le pareti dello studio con quattro fotografie al naturale di Felice Sciosciammocca nei momenti più comici delle oommedie famose : « Miseria e Nobiltà », € Viaggio di nozze », « Vi che m'ha fatto fraterne» e *'0 turco napolitano»; attorno dispose i ritratti rarissimi dei suoi compagni del < San Carlino » : Antonio Petito, Pasquale de Angelis, Pasquale Altavilla, Raffaele di Napoli capostipiti di intere generazioni di attori; creò l'archivio dei manifesti} dei « borderò », dei copioni che gli erano serviti a crearsi fama e ricchezza, raccolse pure le fotografie dei suoi film, poiché la casa Sonzogno gli affidò l'esecuzione per lo schermo di tre o quattro commedie sue, e — come sacre reliquie — la lettera di Giovanni Bovio per la scelta della commedia « Miseria e Nobiltà » alla Mostra d'arte drammatica di Torino, nel 1898 (« l'arte vostra — gli dice il {filosofo — aggiunge un filo alla trama della vita»); l'altra di Benedetto Croce a proposito di polemiche sul teatro, in cui si sostiene la inesistenza di < teatri » ma l'esistenza di « attori » attorno ai quali i teatri si formano; quella di Ferdinando Martini che afferma : € Il primo atto di « Miseria e Nobiltà » potrebbe firmarlo Molière ». Tra queste memorie si scoprono testimonianze di altri affetti di don Eduardo e primo fra tutti quello per la figlia Maria: fotografie, ingenue strofe per i compleanni di lei, due lunghi epitalami per le sue nozze con Mario Mangini. Tanto amore, la figlia ripagò teneramente ed anche con un libro che esce in questi giorni, cfelice Sciosciammocca, mio padre » (ed . Morano, Napoli). Lo trovo in bozze sulla vecchia scrivania dell'attore, lasciato a mezzo della revisione da Maria che riposando di quel lavoro si mise a suonare sul violino un'aria della c Thais » di Massenet e in questo dolce abbandono musicale mori, all'improvviso. Il coscrìtto e la Silver Star Anche quei fogli scompaginati mi pare debbano trovare posto tra i cimeli scarpettiani. Contengono episodi, aneddoti, vecchie polemiche, tratti biografici risolti dalla cara buona Maria, con mano lieve. Affacciato sul vecchio feltro del tavolo, incrostato di inchiostri secohi, inchiostri traboccati dal calamaio comico di don Edoardo, leggo qualche annotazione: € Avevo imparato a considerare la risata come qualche cosa di sacro»; più oltre: « Diceva che in teatro bisogna far ridere il pubblico con le cose serie ». Felice Sciosciammocca rideva, infatti, raramente; il volto di don Edoardo Scarpetta, asciugato e inciso nelle guancie da due solchi, quasi due rughe fissate nella cartapesta di una maschera antica, si prestava a questa pensosa e ridicola serietà. Durante l'invasione alleata la casa di Scarpetta venne requisita, come tutte le case signorili di Napoli. Lentamente decadendo le fortune e le illusioni di quella borghesia che Scarpetta aveva impersonata, anche la sua fortuna decadeva e lui da prima, poi i figli avevano venduta la villa « La Santarolla» e tutti gli appartamenti del palazzo. Restava la casa, il museo di Sciosciammocca. Al primo en- trar vi gli ufficiali destinati ad abitarla sostarono dinanzi alle grandi fotografie dello studio. Qualche attimo dopo uscirono a ridere pazzamente. Non conoscevano il nome di Scarpetta, nè avevano mai sentito parlare del teatro napoletano: nessun attore comico riusci a far ridere, come Scarpetta al di là della morte. Dopo poco quelle immagini di Sciosciammocca, dal muro, passarono nella vita dei quattro ufficiali stranieri. Una rappresenta Scarpetta nell'uniforme di soldato coscritto: la vecchia uniformo col fracchino di panno blu lungo fino ai piedi, le \ ghette bianche aUe> u bu. ddCdgsLsctrgtsltMzcfggdlvsnfdcstina a due punte. In questo costume Sciosciammocca usciva in scena nel II atto del « Viaggio di nozze » e gli americani pensarono di reclutare nel loro reparto anche quell'ineffabile fantasma. Cosi sul vetro della, fotografia si vedono i gradi e i • numeri di quell'arruolamento e sul petto di Felice Sciosciammocca i nastrini della < Silver star ». E' forse un effetto di contrasto o una mia immaginazione ma a me è parso di cogliere proprio qui, nella casa del grande comico, il fondo dello scoramento, dell'inconfessata tristezza di Napoli; quasi una svolta decisiva della sua intima decadenza. Il museo della risata, questa casa dove Felice Bciosciammocca visse, mi pare pur esso raggiunto dall'onda amara dei tempi cosi da indurmi nel bislacco pensiero che se egli, don Eduardo, ritornasse in vita non Felice ma Infelice Sciosciammocca finirebbe col farsi chiamare. E sarebbe ancor poco per il dramma in cui — borghesia e non borghesia — vive questa città. Giovanni Artieri iiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiMiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiti