Suocera e cognate accusano l'imputata si difende con calma di Ercole Moggi

Suocera e cognate accusano l'imputata si difende con calma IL J»Jg Q CESSO D JES Xm Im p ARSENICO Suocera e cognate accusano l'imputata si difende con calma Il tragico calfè e latte - Una polverina bianca in fondo alla tazza - Quello che dice il medico condotto (Dal nostro inviato speciale) Genova, 3 febbraio. Questo è il processo dell'anidride arseniosa e delle ombre: in sostanza è un processo indiziario. La difesa, rappresentata dagli avvocati Baratta e Micheli del Foro di La Spezia, non è ricorsa, come solitamente avviene in questi dibattiti di veneficio, all'ausilio di consulenti o periti tecnici. Si è affidata semplicemente alle risultanze della perizia giudiziaria, ordinata a suo tempo dal magistrato a tecnici di sua scelta. Tale perizia, del resto impugnata dal Procuratore Generale nel suo ricorso alla Cassazione, sarà il nocciolo del dibattito, perchè tutto il resto pare si fonda su malevolezze di congiunti e pettegolezzi di paesani. L'imputata, Maria Costa, è una donnina che oggi ha 26 anni, ma quando ne aveva 22, nel pieno della sua giovinezza, vivace, dinamica e anche non priva di intelligenza, deve avere avvinto il marito, di 12 anni più anziano di lei, una buona pasta d'uomo, lavoratore e di semplici costumi; La Costa veste con una certa ricercatezza e indossa una pelliccia di agnellone, che contrasta con i trasandati vestiti montanari della suocera e delle nuore, chiamate a deporre contro di lei. L'imputata narra di avere conosciuto il Giuseppe Schia In una agreste festa da ballo. Dissensi, essa aggiunge a richiesta del Presidente, non ne ebbi se non insignificanti. I dissensi non furono tra me e lui, ma tra me la suocera e le mie due cognate, presso le quali ero andata a coabitare, e dalle quali ero trattata come una intrusa. Circa l'episodio del tragico caffè e latte, l'imputata ripete ciò che disse al primo processo, cioè essa preparò il caffè e latte per lei, per il marito e per le cognate, mettendovi lo succherò necessario, quello zucchero che ai supporrà poi fosse arsenico, perchè le cognate affermarono che in casa non c'era più zucchero, essendo esaurita la razione della tessera. Ma l'imputata spiega che sua madre le aveva regalato due ettogrammi di zucchero per suo uso personale. E' naturale che quella mattina dovendo preparare il caffè nell'assenza di una delle cognate, che si era recata al mercato di Pòntremoli, essa si servisse di quello zucchero suo. A domanda del Presidente, specifica che non usò latte di mucca, perchè in quel giorni la bestia non ne dava, ma latte in polvere, di cui era provvista la stessa famiglia del marito. Ragioni di interesse Presidente — Come spiegate la malattia del marito? — Ma io non so spiegarla; come potrei saperlo se neanche il medico potè diagnosticarla? Se si dà retta alle chiacchiere del paese che accusano me, allora io potrei domandare: Perchè le mie cognate non facevano che raccomandarmi di non fare figli ? Che interesse esse avevano? L'imputata con ciò allude ai tesi interessi di famiglia, cosi preponderanti tra rurali. In caso di morte, com'è noto, alla moglie senza figli non va che la legittima, il resto va ai congiunti diretti. Il Presidente chiede all'imputata: Volevate bene a vostro marito? — Bene che cosa vuol dire — nota l'aw. Micheli — bisogna distinguere tra passione e affetto. L'imputata sostanzialmente risponde che sposò suo marito anche lusingata dall'interesse, mbatpefdplanctscfmofcppc«E1liacdmdzpntprdsntvClglFmrmm«llvmpdcsreilqsCaeciiiniiiiiniiiniiiiiiiiiiiiiuiiiiiiiiiiiiiniiiiimiiii e ? ? i i n a e e e e o , ma che in fondo gli voleva bene. Presidente — Vostro marito aveva per pigliare il caffè una tazza fissa? — Sì, perchè era la più capace. Viene chiamata come teste e parte lesa la madre del defunto, Gattini Teresa. E' una donna insignificante, vestita poveramente da montanara, la quale racconta che la nuora non voleva mai suo figlio vicino. «Mio figlio era sano, tanto che non chiamò mai in vita sua il medico. La prima volta che lo chiamammo in famiglia fu nella circostanza della sua morte». La teste racconta che otto giorni prima di questo fatto la nuora le aveva raccontato ohe a Borgotaro, suo paese, aveva incontrato un suo precedente fidanzato. Io le chiesi, aggiunge la teste: « Perchè non l'hai sposato ? >. Ed essa mi rispose: « Perchè 10 ritenevo che lui non mi volesse più». Era stato infatti internato in Germania e non aveva più dato notizie di sè. La suocera racconta ancora che la Costa avrebbe domandato all'antico fidanzato: « Se mio marito morisse, mi prenderesti ancora? ». E il fidanzato avrebbe risposto: «Ti prenderei, specialmente se tu non avessi figli ». La suocera avrebbe osservato alla donna: « Ma tu come potevi supporre che tuo marito dovesse morire prima di te? ». La nuora avrebbe risposto stringendosi nelle spalle: « Ma non si sa mai! ». L'imputata nega recisamente questa circostanza, ma la veccma conferma, e allora la Costa esclama: « Ma mi volete fare morire proprio in galera? ». Altrettanto severa è stata la deposizione della cognata Francesca. Condusse nei tre mesi del matrimonio — essa racconta — vita leggera, amante del ballo, e aie mie rimostranze un giorno rispose: « Se non mi lasciate fare quello che voglio ne farò una delle mie ». L'imputata ribatte: — E' vero che mi ha fatto delle rimostranze, ma non ho mai pronunciato una simile frase. Anche /altra sorella, Maddalena, che succede nell'emiciclo, ha tic posto in senso quasi eguale e chiarisce una curiosa circostanza che era emersa già durante le prime indagini. Venne nascosto nel letamaio della casa un certo quantitativo di tritolo. In paese si vociferò persino che la Costa volesse far ealtare in aria il marito, ma la teste etessa afferma che quel tritolo l'aveva portato colà un certo Catini, che se ne serviva per sradicare facilmente gli alberi. La teste continua la sua deposizione affermando che quando il dottore visitò 11 fratello dichiarò: « Questo un caso di male caduco (epilessia). La teste aggiunse che il fratello aveva dolori ùl ventre. Presidente — Ma parlava? — No, non parlava più. Presidente — E allora come potete dire che avesse male di ventre ? — Lo supposi io. Un particolare era rimasto finora senza spiegazione. Essa racconta che appena entrò in casa e vide che la cognata aveva preparato le tre tazze col caffè e latte, senz* fare parola travasò il contenuto della tazza destinata al fratello in un'altra tazza. E' in questo travaso che avrebbe notato un fondo di polvere biancastra che la difesa opina fesse zucchero, oppure la stessa polvere di latte non ancora diluita. Poiché la teste aggiunge di avere visto sul tavolo un pacchetto di una certa polvere (che l'imputata afferma fosse 11 pacchetto iiiniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniin dospe dello zucchero), il Presidente ordina al cancelliere di mostrare un campione di anidride arseniosa alla teste. Poi però le raccomanda di non toccarla con le mani. (Ilarità). La teste osserva il campione ed esclama: «Era così bianca e cosi fine ». Aggiunge che travasò la tazza del fratello perchè più grande delle altre e le serviva per fare in essa delle frittelle. Presidente — La lavaste prima ? — No. « Se posso lo ammazzo » L'aw. Micheli a questo punto commenta: — In conclusione, in quella tazza svuotata del contenuto di latte, e diciamo anche di arsenico, che poi avrebbe bevuto il povero Schia, la sorella senza lavarla fece le frittelle che la famiglia mangiò impunemente. fi dott. Giumelli Armando è chiamato anche lui a testi moni are. E' li medico condotto che visitò il povero Schia e ritenne che in principio si trattasse di un accesso epilettico. Perciò ordinò l'immediato trasporto del malato all'ospedale. Invece questi morì in casa sua poco prima del trasporto. Altra teste, certa Necchi Italia, racconta che una sua amica, tale Morelli, le narrò una confidenza della Costa; questa avrebbe detto che se non avesse potuto adattarsi a vivere col marito avrebbe trovato il modo di disfarsene. Ma l'imputata ribatte: — O la teste o la Morelli non hanno capito niente. La Morelli mi disse: Il tuo fidanzato è brutto, e io allora aggiunsi: Ciò non vuol dire, io sposandolo mi sistemo, mi faccio una famiglia e gli vorrò bene. Un altro teste, certo Necchi Ernesto, udito in fine di udlenza, narra una grave circostanza, alla quale però non dava molto credito. Una volta incontrò la Costa mentire costei si avviava a un ballo, e questa gli disse: — Se posso, mio marito lo ammazzo. Ciò avveniva un mese dopo il matrimonio e il Presidente stupito domanda al teste: — Ma come ve lo ha detto la donna? Il teste risponde: — A tambur battente, senza che del marito si fosse nemmeno parlato. L'imputata insorge: — Ma sarei stata una pazza?! Non solo non ho pronunciato simili parole, ma non ho nemmeno incontrato il Necchi per la strada. n Presidente si affretta a congedare questo teste e a rinviare l'udienza a domattina. Ercole Moggi

Luoghi citati: Genova, Germania, La Spezia