Figure di avventurieri di questo nostro tempo di Domenico Bartoli

Figure di avventurieri di questo nostro tempo Figure di avventurieri di questo nostro tempo Il capitano Westerling è uno dei migliori, spara e combatte nelle boscaglie di Giava; altri si nascondono nelle pieghe della società, conservando un istinto di rivolta minaccioso e segreto (Dal nostro corrispondente) Parigi, febbraio. Il capitano Westerling, disertore dell'esercito olandese, potrebb'essere l'ultimo avventuriero del dopoguerra. Il suo nome affiora ogni tanto nelle cronache ma forse il pubblico, distratto da avvenimenti tanto più grandi, non ha potuto seguire le curiose vicende di quel coraggioso guerrigliero. Lo chiamano il c Turco », perchè è nato a Istambul dti padre olandese e professa la religione islamica. Ha combattuto in Olanda, come agente di collegamento fra i partigiani e il servizio informazioni inglese; ha combattuto in Indonesia con l'esercito regolare. E adesso, ch«) l'Olanda lascia Uberi gli arcipelaghi delle Indie orientali continua a combattere per conto proprio, al comando di una « legione celeste », formata da indigeni dell'Indonesia che appartenevano un tempo alle forze armate regolari. Westerling è un uomo crudele: quando era ancora ufficiale dell'esercito olandese, provocò le proteste clamorose dei suoi oolleghi e dei funzionari civili per i metodi barbari che impiegava nella repressione della guerriglia indonesiana. Tuta e maschera nera Era capace di legare ad un albero la . moglie di un ribelle e di lasciarla cosi finché l'insorto non si presentasse per farsi fucilare. Alle volte faceva colpi di mano notturni, da solo, contro gli accampamenti degli avversari dove penetrava armatissimo, con una maschera sul volto e indosso un'attillata tuta nera. Ora è tornato alla sua vocazione naturale, che non è quella di condurre la repressione ma di fare la guerriglia. Durerà poco come durano sempre poco queste imprese disperate; ma darà fastidio. Lasciamo il capitano Westerling alla giungla di Giava, guardiamoci intorno sul nostro continente. Gli avventvrieri del dopoguerra scompaiono. Ma cosa intendiamo per avventuriero? Un uomo generalmente coraggioso, senza scrupoli, che non rispetta le convenzioni e le leggi della società e vive di espedienti arrischiati finendo spesso per cadere nel delitto. Uomini simili ce ne saranno ancora, naturalmente. Scompare, invece, una particolare categoria di avventurieri che si era avvantaggiata del disordine e della confusione, che vantava titoli patriottici qualche volta veri, qualche volta falsi, quasi sempre esagerati. La guerra, la resistenza, la vacanza della legge favorivano lo sviluppo della tendenza alla ribellione che è sempre viva in fondo ad ogni uomo. Il gusto del rischio e del colpo di mano, la ostilità al potere costituito e alla polizia erano allora virtù indispensabili. Col tempo i protagonisti di quegli avvenimenti hanno finito per adattarsi alla vita normale; ma alcuni, per invincibile inclinazione all'avventura e per amore del denaro, hanno mantenuto un atteggiamento di rivolta contro la società. E' una rivolta strettamente individuale, che non ha niente in comune con i propositi rivoluzionari, con le ideologie politiche. Sono questi gli avventurieri del dopoguerra. La società, non potendo .riassorbirli nell'ambito detta vita regolare, li colpisce ed elimina uno dopo l'altro. Il capitano Westerling è uno dei migliori, se si deve giudicare da quel poco che si sa di lui. Non intriga, non co¬ pre di medaglie un'attività criminosa: spara e combatte fra la boscaglia e la città, continua a fare il partigiano. Ma altri avventurieri preferivano nascondersi nelle pieghe della vita normale; si mostravano ubbidienti alle leggi e alle convenzioni, conservando dentro di sè un istinto di rivolta tanto più pericoloso quanto più coperto e segreto. La vita francese offre tre esempi ugualmente caratteristici: quelli del deputato conte de Récy, di Roger Peyré e del colonnello Watson. Il caso De Recy Il deputato de Récy, ufficiale di cavalleria, mutilato di un braccio, eroe della campagna del '40 e della guerra di liberazione, è in carcere ad Arras da tre mesi e più. I suoi alibi cadono a uno a uno; la sua partecipazione al furto e allo spaccio dei buoni del tesoro di Arras è oramai sicura. Roger Peyré, il più fortunato, il meno brutale dei tre, è in Brasile: il mediocre affarista e corruttore, che venne bollato da Bidault nel discorso sullo scandalo dei generali, si fa fotografare a Rio de Janeiro, in un lussuoso appartamento, vestito di bianco. Il colonnello Watson è forse il meno conosciuto dei tre, sebbene sia coinvolto in un caso giudiziario ancora più rumoroso: la rapina contro la moglie dell'Ago Khan. Watson ha una sessantina d'anni; è di origine scozzese ma ha preso la cittadinanza francese. Cattolico praticante, ha fama di uomo caritatevole, pronto a soccorrere i poveri. La sua vita è molto avventurosa, il suo medagliere è zeppo di decorazioni militari francesi, inglesi e americane. Ha partecipato alle due guerre mondiali, alla campagna di Siria, alla resistenza, alla spedizione in Indocina. E' stato ferito in oombattimento a un rene e alla testa, alle gambe e ad una mano: cammina con fatica, appoggiandosi al bastone e la polizia gli risparmia l'impaccio umiliante delle manette. Si racconta che in Siria, dopo un pasto sotto una tenda araba, il colonnello Lawrence oercasse di ucciderlo, offrendogli un sigaro avvelenato. Si racconta, anche, con maggiore fondamento, che ebbe una parte di grande importanza nello sbarco alleato in Africa del Nord e poi nello sbarco in Provenza, dove, da solo, avrebbe oòstretto alla resa un forte tedesco. E' naturale che a un uomo simile la vita sembrasse oramai piatta e mediocre: € Bisogna fare U cameriere del vagone ristorante o il gang¬ ster, per vivere*, diceva. Cosi decise di fare, se non proprio il gangster, almeno l'informatore dei gangsters: una sua amica era domestica 0 segretaria (la stampa ha dato tutte e due le versioni) nella casa dell'Aga Khan, ed egli poteva conoscere tutti gli spostamenti del principe indiano e della moglie. I gioielli, dice la polizia, furono presi dai banditi per una precisa segnalazione di Watson. Roger Peyré è un eroe del doppio gioco; Watson e Récy sono due coraggiosi soldati: pure, nelle loro diverse vicende troviamo un filo unico, quasi un'ispirazione comune. Tutti e tre si danno alla corruzione o al delitto principalmente per avidità di denaro. Tutti e tre sperano di coprire dietro allo schermo dei loro meriti patriottici le azioni criminose. Il ricordo dell'attività clandestina, l'abitudine ai metodi dello spionaggio, il piacere del rischio agiscono sui tre avventurieri e li spingono alla rovina. Negare, negare sempre Accusati, si difendono con ostinazione, continuano fino all' estremo il loro gioco. Récy non esita a salire sulla tribuna della assemblea nazionale per proclamarsi innocente di fronte a una Camera silenziosa e sprezzante. Schiacciato dalle accuse dei complici, invoca per smentirli il proprio passato: € Bisogna credere a un pregiudicato o a un ufficiale come me? ». Caduto uno dei suoi alibi, ne inventa un altro; caduto anche questo ne presenta un terzo. Negare, negare sempre: il metodo degli avventurieri davanti ai giudici e alla polizia è unico. Così Watson pretende di aver fornito ai banditi, senza badare, le notizie sul viaggio e t gioielli dell'Aga Khan. Incredibile imprudenza, che un così esperto agente di controspionaggio avrebbe comunicato alla polizia, appena conosciuta la rapina, se fosse stato in buona fede. E Peyré non si fa intervistare a Rio per dire: «Sono pronto a tornare in Francia: non c'è niente contro di me »? Sono difese disperate, estreme agitazioni prima della fine. Gli avventurieri del dopoguerra scompaiono nel clamore degli scandali e nel silenzio delle carceri. I loro alibi non stanno in piedi, nessuno crede più alle loro affermazioni. Per correre l'avventura bisogna oramai inventare altre storie, nuovi intrighi. Ma c'è già, certamente, chi pensa a riprendere l'eredità dei Watson, dei Peyré e dei Récy. Domenico Bartoli