I responsabili del massacro nella morsa delle accuse

I responsabili del massacro nella morsa delle accuse l'eccidio della osoppo I responsabili del massacro nella morsa delle accuse Brescia, 16 gennaio. Stamattina il presidente, comm. Marzari, ha iniziato l'udienza muovendo singolarmente agli imputati, in gabbia alcune contestazioni in base alle dichiarazioni fornite a suo tempo dal prevenuti ora latitanti. La più significativa di queste contestazioni il presidente l'ha rivolta a Ostello Modesti rileggendogli la deposizione sottoscritta dal partigiano Aldo Plaino, anche lui latitante. Il Modesti è scattato a negare ciò che il Plaino depose e cioè che alla vigilia della strage, rivolto al Toffanin, egli avrebbe detto: « Bisogna agire con forza contro quelli del presidio di Porzus. Vai e fai bene ». Il presidente legge anche la deposizione fatta in istruttoria da un altro latitante, Marcello Del Torre, il quale asserisce che a dare l'ordine di catturare quelli di Porzus fu il Toffanin. A quest'ordine nessuno poteva rifiutarsi se non a rischio gravissimo; il Toffanin invitò tutti quanti a prestare attenzione al segnale che egli avrebbe dato e che doveva és-sere interpretato come l'inizio delle operazioni di disarmo degli osovani tzgssbriitpi 111M11 11M11 r 11 r I < 111111111M111111 ! 1 t ! 11111M H1 Il presidente chiede ora a tutti gli imputati se la spedizione di Porzus era stata organizzata con un piano preciso e se i prevenuti ne fossero stati messi a conoscenza e da chi. A turno gli uomini in gabbia si sono alzati per ripetere il solito ritornello: «Non so niente ». Ha quindi inizi» la ripresa delle deposizioni delle parti lese. La prima è la mamma del partigiano dottor Franco Celledonì, una signora anziana di media statura, in gramaglie, dal viso affilato e scarno. La donna racconta come il figlio fu fatto prigioniero dai partigiani del Toffanin mentre si recava in montagna a raggiungere quelli di Porzus per sostituire il medico del gruppo e prendere in cura gli ammalati. Fu condotto quindi a Spessa con gli altri osovani catturati e, in seguito, eliminato con loro. La signora narra anche che un giorno, suo cognato venne a sapere dà un infermiere dei garibaldini, che il figlio era stato fucilato. «Forse — dice la donna — trattasi di quell'infermiere che ora è in gabbia, ma che io non potrei riconoscere ». Questa 11 f 111 ! i 11M M1111 r 111 11 i IM M111 ! M1 < 1111111111M1 o a a o a o e i o a a e n i t l e a e . a a è n i e e frase è riferita senza dubbio al Rossitti. Alla signora succede un altro di lei figlio, fratello di Franco, don Vincenzo Celledoni, un giovane sacerdote che racconta come venne a cono scenza della raccapricciante fine del congiunto. Don Vin cenzo mostra alla Corte un paio di occhiali ai quali inanca una lente e l'altra è totalmente infranta. « Fu questo, egli dice, l'elemento che mi portò a intensificare le indagini che io da tempo, girando le montagne friulane, andavo conducendo. Finché, il 2 giugno 1945, in un campo vicino a Spessa, riuscii a scoprire la salma di mio fratello sepolta sotto le vigne ». Il sacerdote riferisce poi che in un colloquio col garibaldino Italo Zaina — lati tante anche lui — venne a conoscenza dei nomi di battaglia o dei segni fisici che contraddistinguevano i responsabili dell'ordine di fucilazione. Si tratta di Lizzaro («Andrea »), « Franco » e di un tizio da un occhio di vetro (Ostello Modesti, ha appunto un occhio di vetro). Cominciano quindi le deposizioni dei testi di accusa. Primo a parlare, don Diego Bazzaro, che fu staffetta presso la G.A.P. del Toffanin. Rivelando i preparativi misteriosi, della spedizione alle malghe di Porzus, dichiara di aver visto benissimo < Dinamite » (si tratta di un altro garibaldino latitante, Fortunato Pagnutti) mentre si riforniva di munizioni, e di aver udito « Dinamite », passato qualche tempo dalla strage, dire ad alcuni compagni: «Ne ho ammaz zati due a Porzus. Un terzo è riuscito a scappare e ho paura che mi abbia riconosciuto » A questa frase uno dei presenti saltò su a dire: «Non può essere andato lontano: ho visto anch'io che l'hai colpito». Un altro teste di accusa è il guastatore osovano Giuseppe Tomat, che fu incaricato, allorché a conflitto ultimato vennero ricuperate le salme di « Bolla », < Enea » e della Turchetto, di ripulirle e ricomporle. « A « Bolla » — ha dichiarato. — mancava un occhio e aveva il viso trasfigurato da colpi d'arma bianca. « Enea » aveva il cranio .sfondato e profondi tagli alla nuca. La Turchetto non la vi di bene perchè a lei pensarono alcune donne ». Il teste maestro Leonardo Tommasinó dichiara che l'imputato Remigio Russian — in gabbia con gli altri — un giorno gli confidò che a presenziare alle fucilazioni degli osovani delle malghe di Porzus e a leggere le sentenze di morte fu il garibaldino < Silvestro », al secolo Leonardo Mezzadri. Il teste Di Nenno si trovò il giorno dell'eccidio a breve distanza dalle malghe fu scoperto dai garibaldini e fatto segno a colpi d'arma da fuoco, ai quali si sottrasse con una precipitosa fuga. IIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII

Luoghi citati: Brescia, Spessa