Inquietante giro per Oak Ridge la città dell'energia atomica di Virgilio Lilli

Inquietante giro per Oak Ridge la città dell'energia atomica IVI SU UN T A F» I» ET IVI Inquietante giro per Oak Ridge la città dell'energia atomica Tessera con fotografia appesa al collo, anche i funzionari che entrano ed escono dai loro uffici sono sottoposti, ogni volta, ad un esame minuzioso, come se fossero nuovi agli occhi del poliziotto,, quasi avessero potuto cambiare connotati nel giro di poche ore ■Virgilio Lllll ha. cercato le testimonianze dell'energia nucleare, dalle macerie di Hiroshima, ove quella sciagurata potenza, si aflermò tra bagliori di catastrofe, alle perfette officine ove essa è prodotta da una tecnica prodigiosa, che ri appare quasi astratta e al di là dell'umano. Domenica scorsa pubblicammo un articolo nel quale egli ci dava li quadro generale della città atomica americana; oggi egli descrive la strana ansietà del viaggiatore che si Inoltra In quel mondo nuovo, severamente controllato e misteriosamente minaccioso. (Dal nostro inviato speciale) Oak Ridge Atomic City, novembre. «Thls is Oak Ridge — the atomic town drive slowly and carefully — do not throw lighted matches, cigarettes, cigars or pipe ashes from your vehicle — To report a Are telephone 52471 — Welcome to you! » (.Questo è Oak Ridge — la città atomica — guidate lentamente e con cautela — non gettate fuori del vostro veicolo fiammiferi accesi, sigarette, sigari o cenere di pipa — In caso di incendio chiamate il numero telefonico 52471 - Benvenuti'.). Tale scritta mi apparve a una curva della strada che veniva da Knoxville. Era una scritta quasi elegante, caratteri romani neri su una grande tavola di marmo bianco candido, vi ai indovinava il gusto dell'epigrafico, l'intenzionale piacere di sottolineare qualcosa di veramente storico. Dove avevo visto un cartello simile, scritto con la medesima pedanteria, con la medesima coscienza di affidare ai caratteri, sul marmo, una materia resistente al tarlo dei secoli? Lentamente, mentre l'auto si dirigeva con ogni delicatezza possibile verso qualcosa che potesse veramente dirsi città, mi apparve alla memoria un candido cartello stampato a caratteri neri, epigrafici anch'essi: « Questa è Hiroshima - la città atomizzata n. 1...». Avrei giurato che quei due cartelli fossero stati scritti dalla medesima mano, incisi dal medesimo scalpello. Dalla foce ero dunque arrivato alla sorgente del fiume, dall'effetto ero risalito alla causa. Il mio viaggio attraverso le testimonianze della energia atomica iniziato sulle sconsolate macerie di Hiroshima oltre un anno addietro si concludeva ora fra le case dei tecnici e le officine nuove fiammanti di Oak Ridge. L'autista preoccupato Non incontrammo sbarramenti, o posti di blocco o centri di controllo. Superato quel tale cartello, la strada — che per una trentina di miglia si era tenuta nella misura piuttosto angusta di una provinciale — era divenuta bella larga, aveva assunto l'aspetto classico della highway americana. Essa continuava tuttavia a correre attraverso un paese boscoso, collinoso, di colore diafano e triste, un paese da contadini e legnatoli, non certo un paese industriale. E tuttavia ci trovammo già dentro la città atomica, il cartello non poteva mentire. Chiesi all'autista: " Siamo già a Oak Ridge?". Avevo noleggiato un'automobile a Knoxwille, l'autista era venuto malvolentieri, non era mai stato a Oak Ridge prima di quel giorno, temeva io fossi una spia o qualche cosa del genere, gli si leggeva in faccia. Mi rispose: "Io non so nulla, io non ho la minima idea, l'essenziale è che voi siate sicuro che avere un permesso, questi sono posti dannati...". Incrociammo qualche automobile, gualche automobile ci superava: "Perchè vi preoccupate tanto t — dissi all'autista. — Quardate quant'aU tra gente come noi va, viene ". " Non è gente come noi, mi rispose con voce tetra; — prima di tutto sono americani, in secondo luogo abitano a Oak Ridge; appartengono al Governo o alla polizia". " Da che cosa lo capite t Non lo portano mica stampato sulle guancie ". " No, ma lo portano stampato sulla targa dell'auto. Guardate quelle tar¬ ghe: A E C". "Ebbene?". "Ebbene, è la targa delle città atomiche americane: Atomic Energy Commission,". Mi avvidi ora che ai lati della strada i campi, o meglio i collinosi boschi, erano come chiusi in prigione: una monotona qua.nto robusta tela di ferro li recingeva, impediva a chiunque di uscire dalla strada. Pensai che dentro, fra gli alberi, dovessero esservi celati depositi di materiali preziosi, laboratori segreti; la mia fantasia veniva eccitandosi. In realtà non si vedeva nulla di interessante, il paesaggio era quel che si dice vuoto. Improvvisamente vedemmo la città; vedemmo cioè la strada aprirsi in una specie di piattaforma d'asfalto dalla quale si diramavano strade minori, sempre di asfalto azzurrò, purissimo. Ai lati di quelle strade sorgevano baracche di legno chiare coperte da tetti grigi. Su molte di quelle baracche era issata la bandiera a stelle e a strisce, si sarebbe potuto cosi dire di trovarsi nel cuore di un grosso Comando mititare. Rallentammo l'andatura, l'autista guidava come se le ruote camminassero precisamente su un tappeto di bombe atomiche: "Ebbene — gii dissi, — di questo passo ci farete veramente arrestare. Di che cosa temete, dunque? ". "Non abbiamo un documento, non abbiamo nulla e siamo qui, dentro la città della bomba atomica! ", si lamentò comicamente. " Guar¬ date, — mi disse — guardate la gente che passa: hanno tutti un cartello alla giacca con la loro fotografia e il loro nome". Era infatti così: ogni passante recava al collo o all'occhiello della giacca una specie di tessera di riconoscimento ben visibile. .Feci fermare l'auto, scesi, mi diressi a una baracca sulla quale avevo letto le parole Atomic Energy Commission miste a non ricordo più quali numeri e sigle convenzionali. Cominciavo io stesso a temere di "Movermi senza 'ina guid< . ".n lasciapassare attrai"- quel delicatissi paese, A orai subito che i pi. santi, tutti muniti di cartellino di riconoscimento al collo, mi squadravano con una certa meraviglia. Entrai nella baracca che internamente si ■rivelava per un edificio confortevolissimo, brillante di metalli nichelati e di cristalli come un drug-store, vidi una donna che manovrava alcuni bottoni elettrici, verosimilmente di un centralino telefonico. Non perdete un minuto... " Scusate, — dissi — io ho un appuntamento con il signor Gus Robinson, capo del Public Relations Office della AEG ". " Come avete preso questo appuntamento ? ". Le spiegai che lo aveva preso per me l'Ambasciata d'Italia a Washington, che ero un reporter eccetera. " Vi consiglio di recarvi subito alla Administration della Atomic Ener¬ gy Commission, sema perderò un minuto ". Mi parve di avvertire nella voce di quella donna una certa ansia, un certo orgasmo. " Perchè ? — chiesi. — C'è qualcosa che non va ? ". Ella disse enigmaticamente: "Non so, non credo ". Mi feci indicare la Administrafion. Era costituita da uno schieramento di lunghe baracche disposte simmetricamente sul poggip che dominava quella parte della cosiddetta città. Una larga bandiera si levava in una sorta di piazzetta che si apriva davanti al centro geometrico dello schieramento. Vicino alla bandiera mi varve di vedere un cannone ri qualcosa del genere. " Ecco, — mi disse la donna che era uscita sulla porta a mostrarmi la strada, — dovete arrivare lassù, a quegli edifici". Mi considerò un attimo: "Ma non avete niente? — disse — Non so... una tessera da mettervi al collo?". "Ho la tessera del mio giornale — dissi — se la ritenete sufficiente non ho nulla in contrario a mettermela al collo ". La donna sorrise: "Cercate di raggiungere Mr. Robinson senza perdere tempo...". Ebbi la sensazione, percorrendo in auto il cammino che mi separava dalla Administratlon, di attraversare un tratto di terreno scoperto, al fronte, sotto il fuoco d'artiglieria. Sulla soglia dell'edificio centrale della cosidetta Administratlon della Atomic Town di Oak Ridge incontrai finalmente due poliziotti. Le loro grosse pistole a tamburo mi infusero coraggio. Negli Stati Uniti il poliziotto ha sempre qualcosa di paterno, è un tutore della legge, ma è anche un poco un tutore di coloro evi la legge si rivolge. Dichiarai ai poliziotti che desideravo vedere il signor Robinson, essi mi permisero di varcare la soglia. Mi trovai nell'atrio di un ufficio, o meglio in un ufficio atrio, qualcosa come una specie di anticamera-posto-di-controllo per gli uffici veri e propri. Una porta sbarrata La porta che metteva negli uffici veri e propri era sbarrata da un poliziotto armato di pistola il quale via via che qualcuno entrava o usciva gli veniva leggendo minuziosamente il tesserino appeso al collo studiandone minutamente la fotografia: quasi quegli avesse potuta cambiar connotati nel giro di poche ore di permanenza nell'ufficio o addirittura mutar nome. Solo impiegati e funzionari potevano .varcare la soglia che metteva negli uffici interni, mi parve perciò strano che essi venissero controllati di volta in volta come se fossero nuovi agli occhi del poliziotto. Di più, passato il controllo del poliziotto armato, essi erano sottoposti ad altro controllo presso una specie di banco da portineria d'albergo dietro il quale due impiegate ( eviden temen te funzionarie di polizia) avevano a disposizione altri cartellini segnaletici, registri per firme e telefoni per chiamate interne. A una di codeste ragazze mi rivolsi io con una qualche timidezza. Ella mi ascoltò con attenzione (aveva un viso gentile ma duro, per la verità), quindi mi chiese di mostrarle i miei documenti. Mi sorprese il modo che ella aveva di studiare le mie varie tessere, il mio passaporto; trattavasi di tessere del giornale, del passaporto italiano. In fondo cosa diavolo poteva essa capire per esempio del numero di registro del passaporto o della firma del segretario di redazione italiano sulla tessera del giornale? Si sarebbe detto, dico, che essa si accertasse non si nascondessero fra quelle lettere e quelle cifre altre lettere e altre slfre. Dopo qualche buon minuto ella mi disse: «Sapevamo del vostro arrivo, benvenuto! ». Guida e guardia Dovetti attendere una buona ora, per la verità. Durante la quale feci avere all'autista il permesso di tornarsene a Knoxville e inta- volai una lunga conversa«ione con le due ragazze della polizia alla porta. Oh, esse mi conoscevano! Sapevano che ero stato a Hiroshima circa un anno addietro e si interessavano alle condizioni di quel paese. Io descrivevo Hiroshima, il nome di Hiroshima suonava con una bizzarra dolcezza fra le pareti della direzione generale delle fabbriche delle bombe atomiche (una dolcezza sinistra). Finalmente comparve il mio signor Gus Robinson, un funzionario di primo piano, importante, noto. Fu sottoposto anch'egli a quel macchinoso controllo: « Voi siete il signor Tale, del giornale Tale, della Nazione tale eccetera, eccetera? », mi chiese con una cordialità giocosa piacevolissima. Ci stringemmo la mano. < Ora vi consegnerò a una guida. Se non risponderà alle vostre domande picchiatela. Se non vi condurrà dove voi desiderate andare, uccidetela ». Con una manata bonaria mi spinse sotto gli occhi un giovane uomo bruno dall'aria molto melanconica. Era la mia guida e allo stesso tem po la mia guardia nella città atemica di Oak Ridge. Uscimmo per le strade della più nuova città del mondo. Virgilio Lilli

Luoghi citati: Hiroshima, Oak, Oak Ridge, Stati Uniti, Washington