Le prigioni del Papato

Le prigioni del Papato Le prigioni del Papato I La luce e i colori in cui si yede di 6olito il Vaticano (quando non si sia impiegati pontifici o prelati domestici di Sua Santità) sono i colori e la luce del mattino. E' al mattino che il Papa dà udienza, è al mattino che sono aperti al pubblico la Biblioteca, la Pinacoteca, i Musei, la Sistina, le Stanze di Raffaello. Il Vaticano vespertino e serale è dunque uno spettacolo inconsueto ai profani. Ma. quale spettacolo ! Se non s'hr il godimento del giovane sole che sembra l'elemento stesso in cui vive il bianco popolo di statue adunato nei Musei, quella solitudine degl'immensi cortili, degli scaloni e delle gallerie interminabili, delle sale in cui ci si sente pigmei, è di un incomparabile effetto nella sera incipiente. Sembra che in quel silenzio d'oltremondo tina guida invisibile vi ripeta i versi del Carducci : « Qui de la vostra vita gli assidui tumulti un lontano - d'api susurro paiono ». Ma come ho fatto per penetrare in questo Vaticano che mi dà via via l'impressione ora d'un enorme carcere ora d'un sepolcreto per giganti? Non ci sono certo venuto, come un personaggio di Zola o di Fogazzaro, per un misterioso colloquio col Papa. Mi ci ha attirato ■Giulio Salvadori, di cui nella Biblioteca Vaticana si vengono raccogliendo da tempo i carteggi, i manoscritti delle opere e cimeli e ricordi d'ogni genere. L'idea è stata ottima : se c'è un luogo al mondo dove si può credere, secondo le umane previsioni, che quelle sacre memorie siano sottratte alla distruzione e alla dispersione, quello è la Biblioteca Vaticana. Prima che scada il ventunesimo anniversario dalla morte di Giulio Salvador!, se n'è voluta fare una mostra nella Biblioteca stessa, nella così detta sala dei Cardinali. Ne è stato iniziatore e ordinatori' uno dei più fedeli discepoli, Nello Vian. Al centro della mostra è la maschera mortuària del poeta santo. L'alta fronte convessa, il volto affilato ed emaciato, il senso di ertasi che sembra se ne diffonda, possono far pensare a volta a volta a Mazzini, a Torquato Tasso, a san Benedetto Labre. Ma dove sono gli occhi di Giulio Salvadori, quegli occhi azzurri dallo sguardo incredibilmente puro, d'angelo o di bambino? Chi non ha visto quella luce non potrà mai avere un'immagine fedele di lui. Intorno intorno, in severe e nobili custodie di pergamena, i manoscritti dalla sottile e nitida calligrafia che attestano le preferenze dello studioso per certi periodi della nostra storia-: san Francesco, il dolce stil novo, Dante ; la Riforma cattolica co' suoi eroi geniali e pazienti; il Risorgimento col Manzoni, il Tommaseo, Ippolito Nievo... I visitatori non sono molti. Per un lodevole sentimento di discrezione, gl'inviti sono stati ristretti e quasi cauti, limitati a qualche coetaneo superstite, a discepoli delle diverse generazioni, a testimoni diretti o indiretti di quella mirabile vita. Ritrovo amici di gioventù, che negli anni lontani vedevo quasi ogni settimana in casa Salvadori e che ora più non incontro se non a rarissimi intervalli. Ci ritroviamo con l'animo d'allora, cogli abbandoni affettuosi e le passioni letterarie di allora (qualcuno nomina Tolstoi), e senza dircelo sentiamo di ritrovare nell'incontro un poco almeno della serenità che ci avvolgeva quando ci riunivamo intorno al nostro Socrate cristiano. Così, discorrendo e ricordando, usciamo nella Galleria lapidaria, le cui ampie finestre si aprono su Roma distesa alla carezza del sole morente. Ripenso a una frase di Gogol: «Come da una finestra del Vaticano... ». Sostiamo a lungo nella Cappella Sistina invasa dalla tenebra, dove delle figure di Michelangelo e delle altre cogliamo solo qualche linea: l'Adamo e le Sibille della volta, le pastorelle del Botticolli, più che vederli, gl'indoviniamo. Ci soffermiamo ancora un poco, tra la Cappella Sistina e la Paolina, nella Sala Regia, memore di battaglieri conclavi. Ed eccoci, da ultimo, a risalutare il cielo dalle logge di Raffaello. Siamo noi i padroni del Vaticano, o è il Vaticano che ci ha fatto prigionieri, e noi guardiamo il mondo di fuori oall'alto della nostra prigione? Ma ora non mi domando più come ho fatto per entra¬ rmegmcalt«PngpagcdselpvmttfirmsSdrnbssLpvcqb re qui dentro. Ora mi,domando come ha fatto per entrare in questa enorme prigione Giulio Salvadori, l'uomo più libero che io abbia conosciuto. Non penso più alla frase di Gogol. Mi assilla invece una frase di Goethe, nel Viaggio in ltolta: «le prigioni del Papato». Più che la concezione pagana di Goethe, la frase echeggia il suo originario fondo protestante. Ma Goethe la adopera a proposito del più geniale santo della Riforma cattolica, quel Filippo Neri di cui s'innamorò durante il suo soggiorno in Italia e che egli chiamava il santo della letizia. Lo rapiva quella stupenda armonia di qualità diverse ed opposte : lo slancio mistico e il buon senso pratico, la contemplazione estatica e la chiaroveggenza perfino un poco maliziosa nei rapporti cogli uomini, la mortificazione ascetica e il sentimento della bellezza. Soltanto con queste doti — diceva — 6Ì può operare una riforma e si aprono le prigioni del Papato. Goethe, se ho ben inteso le sue parole, par suggerire che Filippo Neri è stato più vero riformatore di Lutero e di Calvino, proprio perche mediatore tra il nuovo e l'antico, perche ha conciliato quel che sembrava non conciliabile. Ma proprio per questo suo mirabile equilibrio spirituale San Filippo non doveva sentirsi prigioniero del Vaticano. In quella Roma del secondo Cinquecento, dove il nepotismo papale ostentava il suo fasto e l'Inquisizione esercitava i suoi rigori, egli doveva pur sempre sentirsi nella città santa, «murata di segni e di martìri», in cui il contingente non può soffocare l'eterno e il temporale lo spirituale. E poi, è possibile immaginarsi un San Filippo senza Roma? Il suo apostolato — e Goethe lo sentiva forse oscuramente — è un apostolato romano. Lo stesso si può dire dell'apostolato di Giulio Salvadori. Il Papato era per lui la « ferma pietra » — come ripeteva spesso — che ci assicura dalle paurose frane spirituali. Libero come San Filippo, romano (nel senso che s'è detto) come San Filippo, anche per questo è giustissimo che i suoi ricordi si custodiscano nella Biblioteca Vaticana. Pietro Paolo Trompco iMl

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