Morte e vita di Venezia di Luigi Salvatorelli

Morte e vita di Venezia Morte e vita di Venezia Nel volume miscellaneo Daniele. Manin intimo, edito nel 1936 dall'Istituto per la storia del Risorgimento italiano, sono alcuni «appunti autografi di Daniele Manin b, relativi alla rivoluzione veneziana del 1848, che per una parte sembrerebbero annotazioni estemporanee, per un'altra, appaiono redatti nell'esilio. Comunque, essi rispecchiano con vivacità immediata pensieri, sentimenti, impressioni di Manin nei fortunosi . diciassette mesi della Repubblica di S. Marco, caduta cento anni fa sotto la pressione inesorabile dell'Austria, dopo esser rimasta ultima — e cioè sola — in Europa a sventolare la bandiera della libertà. Parecchi passi di quegli appunti, stesi in stile telegrafico, hanno carattere di difesa dell'operato di Manin, risuscitatore della Repubblica di S. Marco il 22 marzo 'À8, aderente alla fusione col Piemonte il 4 luglio, di nuovo restauratore della Repubblica 1*11 agosto. Altri, invece, ci rendono sul vivo la tragedia finale: t Ultimi giorni. Cholera. Statistica. Rapporti commissione sanitaria. Incendi. Rapporto commissione annonaria. Mancano le munizioni. Saltata due volte la polveriera. Ungheria poteva salvare se e noi - troppo tardi. La rivoluzione ungherese era già vinta quando Venezia cessò di difendersi. Non ho firmata la capitolazione, ne altri che avessero vesti legali. Finiti contempor. iop. mente approvvigionamenti - polveri danaro - speranze - se l'un o l'altra finivano prima la difesa era più breve». E ancora: «Una parte ragguardevole della nostra truppa era negli ospedali. Quasi tutti i nostri forti erano circondati da paludi, che rendevano l'aria malsana: acque di dette paludi spesso miste di fiume e di mare; febbri ostinate - più tardi il cholera». Queste notazioni schematiche hanno un rilievo particolare in questa prima ricorrenza centenaria. Esse si associano nella nostra memoria al pianto del Fusinato, che ancora oggi ci serra il cuore: «Venezia, l'ultima ora è venuta: Sublime martire, Tu sei perduta». Per Fusinato, interprete del sentimento spontaneo popolare, la capitolazione firmata nella notte sul 23 agosto ed entrata in vigore dal 24 — Manin e Tommaseo e gli altri trentotto proscritti s'imbarcarono il 27 per l'esilio — è qualcosa più, molto di più di una partita d'armi perduta, di una insurrezione fallita: è la morte di Venezia. E' venuta l'ultima ora: Venezia è finita. Per noi, oggi, il significato di quelle giornate è tutt'altro: esse ci appaiono come una semplice sosta, un rinvio, l'inizio di una parentesi. (La rivoluzione italiana del 1848 si chiude con una sconfitta; ma è sconfitta temporanea. Dopo il 1849 verrà il '59, il '60, il '66, il '70. Si fa l'Italia una, e Venezia torna all'Italia. Non è dubbio che la parola finale della storia è questa, e non l'angoscioso grido funebre di Fusinato. E tuttavia ab^he quel grido ha un suo valore storico. Morì veramente qualcosa, in quell'agosto 1849. Morì l'antica Venezia, la Venezia secolare, anzi millenaria. Era morta, si obbietterà, fin dal 1797. Sì, è vero; ma è anche vero che il fatto non era stato accettato, allora, dallo spirito dei veneziani, come definitivo. Per mezzo secolo, la Repubblica di S. Marco fu un morto che molti credevano caduto soltanto in letargo, e di cui comunque si attendeva la risurrezione. Per questo, Venezia accolse l'annessione al Regno d'Italia con maggior contrarietà, forse, che non l'occupazione austriaca dopo Campoformio Per questo, nel. 1814, alla caduta del Regno italico, risuonò nella piazza il grido: «Viva gli alleati! Viva San Marco»; e cioè, si auspicò e si credette a Venezia — come a Genova — alla restaurazione della Repubblica cittadina, della «Serenissima», o «Dominante». Per questo Manin divenne l'idolo della popolazione veneziana, il 22 marzo 1848 proclamando la Repubblica di S. Marco. Noi siamo abituati talmen te a considerare la rivoluzione veneziana del 1848-49 come un episodio nella formazione della nuova Italia che ce ne sfugge l'aspetto municipale e restauratore. Ma quest'aspetto ci fu, e anzi, nel primo momento, fu preponderante. Disse Manin al popolo veneziano in piazza, in quel giorno 22 marzo '48 : « Il miglior governo sembrami la Repubblica, poiché essa ci ricondurrà le nostre au tiche glorie». E negli appun ti autografi da cui ho preso le mosse troviamo : « 25 marzo ■ Sabbato. Commemorazione e anniversario della fondazione della città. Vantaggi, che ragionevolmente parevansi attendere (Istria, Dalmazia) ». Certo, Manin non ignorò fin dal principio l'altro aspetto, quello italiano. Il 22 marzo, dopo le parole riportate sopra, egli soggiunse: «Con ciò noi non intendiamo separarci dai nostri fratelli italiani ; anzi al contrario noi formeremo uno dei centri che serviranno alla fusione graduale successiva della nostra amata Italia, in un solo tutto». Era il concetto repubblicano-federale. Si è tanto discusso, e si discute ancora, in Italia, circa i due possibili sbocchi del Risorgimento: Stato unitario, o federale. Chi ha l'orecchio attento si sarà accorto come nel dopoguerra ci sia, in sordina, in certuni ambienti, un rimpianto federalistico, e non tanto in sordina una ostilità alla soluzione monarchicounitaria, ghibellina, del 1861, al posto di quella federaleguelfa vagheggiata nel 1848. E' una maniera di rimpiangere il dominio temporale del Papa senza averne l'aria. Ma lasciamo stare le velleità sanfedistiche, e torniamo alla storia. Mi sembra che non sia stato avvertito, fino ad oggi, che il federalismo ebbe la sua sconfitta principale non nel fallimento delle trattative leghiste fra Roma, Firenze e Torino, non nella sostituzione delle annessioni sabaude alle stipulazioni di Villafranca e di Zurigo, ma nella caduta della Repubblica di Venezia. Sconfitta duplice, materiale e spirituale. Poiché bisogna ricordare che la risuscitata Repubblica di S. Marco, prima di essere abbattuta dagli Austriaci, prima ancora della sua breve eclissi (dal 4 luglio all'11 agosto) nel disegnato Regno carlalbertino dell'Alta Italia, aveva subito — disastrosamente subito — la prova del fuoco nelle relazioni con le città venete di terraferma, che non vollero sapere di lei, preferendo l'unione al Piemonte. Questo veramente uccise in culla la risorta Repubblica. Possiamo • dunque parlare, a proposito della caduta di Venezia, a cento anni di distanza, di «morte» di Venezia, municipale e statale. Ma quella morte fu anche la nascita' di Venezia italiana, Nessuna questione municipale, e neppur federale, si pose praticamente dopo di allora per Venezia e per il Veneto. Dal 1861 ad oggi — e più particolarmente nel nuovo secolo — si è visto come l'Italia unitaria non abbia significato per nulla la distruzione delle grandi individualità cittadine che hanno formato per un millennio la trama della vita italiana. E forse nessun'altra grande città italiana come Venezia ha conservato, nella nazione unita, nello Stato unitario, una sua individualità, non solo cittadina, ma europea e mondiale. Lo si vede bene in questi mesi, in cui essa e il centro di raccolta della vita artistica e intellettuale europea: e tuttavia rimane sempre lei, con la sua fisionomia inconfondibile e il suo fascino unico e perenne. Luigi Salvatorelli

Persone citate: Daniele Manin, Manin, Sabbato, Tommaseo