Il quarto Reich di Luigi Salvatorelli

Il quarto Reich Il quarto Reich TL Reich di Hitler si chiamò « terzo » — e questa numerazione fu accettata praticamente da tutti, sebbene fra il secondo Reich, quello bismarckiano-guglielmino, e il Reich di Hitler ci fosse stata di mezzo la Repubblica di Weimar, che anch'essa si chiamava « Reich ». Dobbiamo dunque numerare quarto il nuovo Reich, che provvisoriamente chiameremo di Bonn: quello che nasce con le elezioni della Camera federale il 14 agosto 1949. E' vero che esso comprende per ora solo la Germania occidentale (che del resto è circa due terzi della Germania totale del dopoguerra). Ma forse non sarà azzardato affermare che se un giorno la Germania postbellica tornerà unita, sarà quella orientale a integrarsi alla occidentale, e non vice' versa. Dopo l'altra guerra, pas' earono solo nove mesi dalla caduta dell'impero guglielmino perchè si proclamasse la nuova costituzione, e quindi fosse ricostituito il Reich germanico. Questa volta ci sono voluti quattro anni esatti, giorno per giorno: dalla « resa incondizionata » del 10 maggio 1945 alla pubblicazione dello « statuto organico» della Germania occidentale, il 10 maggio 1949. E si tratta ancora di qualcosa non solo terri tonalmente parziale, ma provvisorio, o almeno considerato tale dalla provvisoria assemblea di Bonn, come in' dica lo stesso nome di « sta' tuto organico » anziché di costituzione. Pure, i lineamenti fondamentali dovreb bero considerarsi fissati; repubblica federale, costituita da una serie di « Paesi ir (Lander) con un Parlameli to federale di due Camere e un governo cei+rale, con un presidente e un cancelliere federali: gli uni e gli altri retti secondo le norme comuni alla democrazia « occidentale » : che è poi, fino ad oggi, l'unica a cui po3sia mo riconoscere di pieno di ritto questo nome. Entrare in particolari sui congegni dello « statuto organico » non sarebbe qui necessario, nè opportuno: chi voglia, potrà leggersi il testo integrale della costituzione di Bonn nel numero 21-22 di quest'anno delle Relazioni Internazionali che contiene una silloge di documenti sull'attuale assetto della Germania occidentale e orientale. Molto più im- fiorterebbe conoscere, al di à dei congegni formali, quali siano le condizioni politiche, le correnti di opinione, le prospettive future prossime del popolo tedesco nel nuovo Reich. Ma qui comincia il difficile: poco se ne sa di sicuro, poco ci si vede di chiaro. E quel poco è tutt'altro che soddisfacente. Anche la nuova vita politica tedesca (intendiamo sempre, tedesco-occidentale) è fondata, come quella della Francia, dell'Italia, dell'Inghilterra, sui partiti, determinanti le elezioni delle assemblee, le quali a loro volta creano i governi, locali e centrale. Per verità, le norme elettorali che saranno applicate il 14 agosto — e che non fanno parte della costituzione — segnano un ritorno parziale all'uninominalismo, in quanto in ogni circoscrizione elettorale viene eletto un deputato rinviandosi i « resti » alle liste dei diversi partiti in ogni Land, per cui vige la proporzionale. E' stabilito che 60 per cento dei posti toccherà alla prima categoria, 40 per cento alla seconda. Combinazione di cui sarà interessante vedere i risultati e i destini: essa potrebbe forse fare scuola cumulando i vantaggi dell'uno e dell'altro sistema (a meno che non si concluda, invece, che ne cumula i danni). Comunque, i grandi partiti tengono e terranno il campo nella futura « Camera federale » (Bundesrat) che è l'organo di gran lunga più importante: e i grandi partiti, come tutti sanno, sono due: il democratico-cristiano e il socialdemocratico, seguiti a grande distanza dal liberaldemocratico e dal comunista. I socialdemocratici sono nemici fierissimi del comunismo; ma poiché questo rappresenta una piccola frazione, essi e i democristiani possono permettersi di lottare fra loro. Il contrasto piuttosto vivace si è andato accentuando nelle discussioni costituzionali, soprattutto su due punti : federalismo democristiano e centralismo socialista; confessionalismo e laicità. Una lettera collettiva dell'episcopato tedesco ha rafforzato il secondo contrasto, assumendo un atteggiamento di riserva non benevolo, per non dire di critica acerba, rispetto al documento costituzionale di Bonn. Varrà forse la pena ti ricordare che anche l'altra volta una parte dell'alto clero cattolico (il cardinale Faul haber alla testa) assunse un atteggiamento ostile alla costituzione di Weimar, che poi naturalmente fu rim¬ ppr«aarlmEsrmtsirilpatdsn«g—cSdttnsu! pianta quando Hitler sviluppò man mano il suo totalitarismo. I contrasti intorno allo « statuto organico » hanno avuto un momento almeno assai brusco, quando nella riunione socialista dell'aprile scorso a Hannover fu formulato un quasi ultimatum. E' opinione comune che i social-democratici abbiano riportato la meglio. Vedremo ora a chi dei due gli elettori daranno la preminenza, sebbene sia sommamente improbabile che un partito riporti la maggioranza assoluta. Tanto più che ai due partiti maggiori se ne sono aggiunti dimeno altri quattro: i «Tedeschi indipendenti» (si sa bene che cosa significhi, in certe situazioni postfasciste, la parola « indipandente »), la «Lega per la rinascita tedesca » — che fa capo niente meno che all'ancora esule Otto Strasser, della prima dissidenza nazista, il «Partito tedesco » (l'aggettivo dice tutto) cui ha aderito l'eterno dott. Schacht; l'« Adunata per l'azione » di cui è capo un pastore Goebel, quasi identico nel nome al ministro nazista della propaganda, che ha raccolto intorno a sé soprattutto i profughi tedeschi della Germania orientale, numerantisi in milioni (sette, si dice) e costituenti una delle principali incognite elettorali. I nuovi partiti hanno carattere nazionalistico, se pur non vogliamo dire nazistico, e di reazione al dominio dei partiti politici propriamente detti: Pantipartitismo è stato sempre il motto d'ordine dei movimenti reazionari. Il guaio è che i due partiti maggiori fan gara di nazionalismo con questi partiti nuovi e fra loro. Gli alleati sono fatti segno a tutti gli attacchi, per non dire a tutti i vituperi: che siano stati essi a rimettere in piedi la Germania, distrutta dalla criminalità nazista, non conta nulla. E non è solo agli errori, presunti o anche veri, degli alleati che si fa il processo: si tende addirittura a rivedere la responsabilità della guerra, gettandola sui vincitori, Proprio il capo dei democristiani, Adenauer, ha avuto il toupet di affermare che è colpa della politica francese nel 1938-1939 se la guerra è scoppiata. Ce n'è a sufficienza per te mere che il senno politico tedesco sia ancora di là da venire. Unico punto luminoso: i politici tedeschi, come sfogo ultimo del loro nazionalismo, invocano volentieri una organizzazione europea di cui la Germania faccia parte. Si potrebbe provare a prenderli in parola includendoli per ora nell'assemblea del Consiglio d'Europa (per il Comitato dei ministri, è troppo presto). Chissà che, trovandosi a contatto, in condizioni di parità, con una maggioranza occiden tale, per cui la democrazia non è qualcosa di accettato e di imposto, non si awii finalmente la loro educazione politica. Sarebbe invece un errore includere la Germania, allo stato delle cose nel Patto Atlantico; mentre è verissimo che il problema tedesco non sarà risolto se non nel quadro di una organizzazione europea effettivamente federale. Luigi Salvatorelli «♦.

Persone citate: Adenauer, Faul, Goebel, Hitler, Land, Lander, Schacht, Strasser