Il tiro a segno di Tarascona di Enrico Emanuelli

Il tiro a segno di Tarascona Il tiro a segno di Tarascona TARASCONA, luglio. Proprio avevo stabilito di cercare qualche cosa che potesse dare in modo nuovo (a parte la presunzione) il carattere di chi abita questa provincia francese, la Francia del Sud, il midi già afono, oramai sonnolento nel canto delle cicale*. Cercavo e non trovavo. In provincia c'è una internazionale dei costumi e della mentalità, per cui un ragionamento cominciato a Novara può benissimo essere ripreso e concluso allo stesso modo ad Avignone; ma, come mi avverte un amico, nella provincia francese c'è poi un'altra cosa: un vago, piacevole, scettico culto del conservatorismo. Ci sono socialisti-conservatori, gollisti-conservatori e persino comunisticonservatori. Tutti hanno un fondo comune e lì si ritrovano; come si ritrovano nell'amore per Parigi. Ma sono cose che si sanno ed una domenica ad Aix-en-Provence, una domenica ad Avignone erano trascorse dico quasi inutilmente. Altrettanto un pomeriggio domenicale ad Arles. Non c'era, o non vedevo, il particolare nuovo che cercavo; quel che c'era, signori miei, mi moriva presto sotto la penna; quel che sentivo rifletteva certi caratteri generici, come avarizia, pettegolezzo, ecc. Di quelle domeniche provinciali, quando anche i vigili abbandonano le strade ed i crocicchi, di quei monotoni pomeriggi di Aix o di Avignone o di Arles, un ricordo soltanto galleggia nella memoria: stupendi viali alberati, vere verdi, fresche gallerie con molta gente sotto che cammina adagio. Le saracinesche dei negozi sono abbassate, ma un tipo di insegna provinciale vi insegue da- una cittadina all'altra: avete appena letto ad Aix a Alle centomila camicie», che ad Avignone ritrovate «Alle centomila cravatte» od anche, cpme vidi, «Ai centomila pantaloni». E' la facile suggestion : dell'abbondanza, un invito a non essere diffidenti, sanza correre a Parigi anche ad Aix, ad Avignone, ad Arlej c'è quanto desiderate. Centomila camicie, centomila cravatte, centomila pantaloni : così quelle domeniche provinciali piacevolmente declinavano verso serate tranquille. All'internazionale dei costumi di provincia si aggiungeva l'internazionale del cinema: Per chi suona la campana, oppure Arsenico e merletti sono pellicole arrivate la settimana scorsa ad Aix e ad Avignone. Allora si smetteva di giocare alle bouies, alle bocce. Su tutte le strade un po' fuori mano delle piccole città del midi, sulle piazze dei paesi, davanti alle fattorie migliaia d'uomini passano il pomeriggio giocando con bocce di ferro, di poco più piccole delle nostre, ma più pesanti. Non vogliono il campo liscio, ben preparato e delimitato come noi ; a loro basta un terreno qualunque e sempre il pallino, all'inizio d'una nuova putita, viene buttato io una direzione diversa. (A Tolone vidi che giocavano non lontano dal porto, su una grande area dove le case erano state distrutte dalle bom' be). Sono interminabili partite e, rinnovandosi ogni volta il campo, prima di decidersi il giocatore scruta il terreno come uu cane da tartufi. Non era questo che cercavo, come non lo era la storia dei molti bicchieri di pasti*, fate macerare iu un buon alcool di 45 o di 50 gradi anice e liquorizia, lasciate depositare, poi filila le e bevete. Alla fine di ogni domenica i! dolce profumo del pastis accompagna molti discorsi in provincia ; perchè non vino, .non birra, non detestabile caffè, ma per regola un past's dopo l'altro sino a quando — come mi disse un tale, il custode del mulino di Alphonse Daudet — si va a casa e si litiga con la moglie. Rimandavo di giorno in giorno la scoperta d'un qualche cosa, un'inezia, una voce, un tic, una esclamazione, che mi facesse però pensare d'e6sere davanti ad un parti colare nuovo, e che servisse come guida a capire; rimandavo e venne il giorno — la settimana scorsa — d'andare a Tarascona per vedere l'arrivo di Tartarin. Pensavo che mi sarei trovato nell'essenzii stessa dello spirito provinciale di questa Francia del Sud, un'intera città intorno al suo ridicolo, ma oramai venerato, al suo sbruffone, ma oramai casalingo eroe. Gli abitanti di Tarascona si offesero quando videro nelle Tjseine scritte dal Daudet i loro caratteri portati all iper- bolo nel carattere del cobi ironicamente intrepido, grande, incomparabile Tartarin; poi gli anni passarono e adesso Tartarin ai primi di luglio torna — come nel romanzo — nella sua città, scende dal treno, glorioso ed ancor più spaccone dopo la balorda impresa di caccia africana. Quest'anno Giuseppe Serviers, negli abiti di Tartarin, costume di cacciatore tropicale, casco in testa, cartuccera intorno alla grossa pancia, fucile, pugnale, e baffi e barbetta neri, doveva scendere in piazza, arrivando con un elicottero. L'idea era stata ventilata da un giovane aviatore; ma gollisti, socialisti, comunisti di Tarascona risposero finalmente d'accordo, che quella era una stupidaggine. Negli anni scorsi, all'epoca della festa, com'era arrivato Tartarin? Alle dieci di mattino, con un treno speciale; dunque comunisti, socialisti, gollisti scoprendosi ancora una volta conservatori risposero e stabilirono che in treno, alle dieci, sarebbe arrivato anche quest'anno. Tutta Tarascona era in festa. Ed io vidi, sino ad un certo momento, una festa (meglio una sagra) paesana, mi si frantumava sotto gli occhi in una coloritura folkloristica per me inutile. Dalla stazione Tartarin andò in Municipio, fu ricevuto dal Sindaco, la gente gridava evviva, la banda dei pompieri di Nìmes suonava indiavolata. Poi una improvvisa corrente di curiosi mi prese nel mezzo, imperiosa e cocciuta come quella di un fiume, mi trascinava; e proprio come se mi fossi trovato in un fiume non c'era che assecondarla o mettermi nei guai. Fui trascinato in una grande piazza, i caffè erano già pieni, il dolce odore del pasti s volteggiava attorno alle labbra di tutti. Nel fondo della piazza sferragliava una giostra di automobiline, altoparlanti d'altri baracconi facevano fremere, con le lo- ro note stridule, le foglie dei platani e costringevano ad alzare la voce volendo parlare con chi ci stava al fianco. Vidi un primo tiro a segno, poi un secondo, poi un terzo, poi molti altri, veramente molti altri ed allora ricordai che Daudet dice grandissima la passione per la caccia in tutti i tarasconesi, ma povero il loro territorio di selvaggina. Non per nulla quei tiri a segno erano affollati e tutti sparavano come campioni. Mi ero fermato a guardare. Sulle pareti laterali di ogni tiro a segno erano disposti i premi. E che cosa vedevo? Erano belle pentole, tegami d'alluminio, piccole e grandi casseruole, caffettiere, e coperte di lana, calze per donna, insomma tutta roba utile. Sparai e non vinsi nulla. Ma la ragazza, con la cuffiettina provenzale in capo, mi "pregava di riprovare, di certo avrei avuto miglior fortuna; ed io le dissi che da noi si vincevano bottiglie di vino, bambole,, pacchetti di sigarette, o roba divertente come una trombetta cJ! una spilla per la cravatta. La ragazza si mostrò meravigliata: ripeteva bambole, trombette o bottiglie di vino come se enumerasse tesori inestimabili. Poi di colpo, abbassando la voce, si sporse di qtia dal bancone verso di me, disse : « E quando l'uomo torna a casa con quella roba, non dice nulla sua moglie li. Siccome tacevo, continuò : « Qui tutti spendono molto al tiro a segno, ma portano a casa oggetti utili e alloranon succede niente 1. Mi decisi a dire che non sapevo quanto capitava in Italia non essendo mai riuscito a vincere nemmeno una bambola od una trombetta; però quelle donne di Tarascona già me le vedevo vive nella mente guardare dalla finestra il ritorno del loro uomo. Con una caffettiera in mano o con una coperta sotto braccio, tutto era perdonato. Enrico Emanuelli

Persone citate: Alphonse Daudet, Daudet