Donnaiolo e filologo

Donnaiolo e filologo Donnaiolo e filologo Veramente un terzo sostantivo dovrebbe precedere gli altri due, e cioè: nazionalista. Perchè Paolo Monelli, di cui vi presento le Sessanta donne (ed. Garzanti) e Naja parìa (ed. Longanesi) è fra coloro 1 quali ritengono, istintivamente, che nell èra atomica, il loro paese sìa sempre molto importante, non solo per le sue classiche doti di cultura e il felice equilibrio della vita, o per le sue tradizioni artistiche, com'è giusto e indiscusso, ma per il suo peso nel mondo, assai lieve e oggi quasi trascurabile. Sarà forse l'abitudine di seguir da vicino inglesi e francesi, di osservare benignamente russi e americani, di non dimenticare mai asiatici ed africani, mentre Monelli giudica tutti « barbari »; o la considerazione delle sciagure che dobbiamo al nazionalismo, a rendermi estraneo à questo sentimento. Certo, quando Monelli stampò Barbaro dominio, vituperando le parole straniere, e pigliando il séguito di Basilio Puotl e di Ferdinando Ranalli, ne fui offeso. E gli perdonai solo quando lo vidi metter di buonora, fra i < barbari », i tedeschi, e dopo la Roma 1943, partecipare a una « resistenza » molto diversa dalla nostra, ma autentica. Naja parla è un capitolo di storia italiana, l'ultimo di una tradizione di ottantanni, legittimista e post-risorgimentale, che toccò la cima con la vittoria del 1918 a Trieste, e il fondo coìi 18 settembre 1943, prima d, e. ar spazzata via dal 25 ap ile, e poi dal 2 giugno 1940. Monelli non si trova a suo agio negli incerti albori democratici di quella che Guareschi chiama « l'Italia provvisoria », e ritorna appena gli se ne offra l'occasione alla guerra del '15-'18 come a un clima ideale, con qualche debolezza anche per le avventure belliche del fascismo. Certi accénni colonialistici, talune puntate contro gli Alleati, tradiscono una malcelata irritazione, un animo offeso. In Naja parla, non ci sono però soltanto nostalgie e rimpianti, ma storielle amene, episodi che collocano il libro accanto a Un anno su l'altipiano, gli stupendi ricordi di Umilio Lussu dello stesso periodo. Monelli rappresenta con nitida verità, qualche umorismo, e col virile stoicismo dell'alpino ch'egli è stato (Le scarpe al sole, appunto, gli diedero fama), le vicende della guerra, e ne ama ed illustra il vocabolario pittoresco. La sua filologia non è quella di un pedante, ma di un ghiottone, o meglio di un buon-, gustalo, e le sue origini emiliane c'entrano per qualcosa: Monelli ha, spontaneamente, il senso della « vecchia Italia », la esatta conoscenza delle nostre virtù e dei vizi naturali. Perciò, chi al suo vino robusto e frizzante, preferisce tuttavia il caffè settecentesco, o 11 tè, il gin e il whisky anglosassoni, lo ama per il suo affetto per il bell'italiano classico, per l'estro bizzarro, pel conservatorismo ch'egli adotta, coerente, in letteratura, restìo ai putridi languori dell'esistenzialismo, e ai baloccamenti insulsi degli ermetica. Il più bel racconto di Sessanta donne e € Re della montagna », un eccellente e aggiornato De Amicis. Quand'egli, come in «Daphne, o la sera norvegese », « Juanita », < L'aspirina », < Cinque whisky », sceglie del soggetti alla Paul Morand, è bravo, e magari divertente, ma tratta una materia non sua. Sì nel racconto che da, al volume, il titolo, ed è la storia del movimentato trasporto marittimo di 60 ragazze che vanno ad allietare dei minatori, il compiacimento dell'italiano davanti a tanta grafia di Dio, e i sospiri relativi, paragonati alla freddezza di Mérimee in Tamango, scoprono la. schietta ispirazione sensuale e coloristica che gli è propria. Nonostante la lunga e varia esperienza giornalistica e mondana, di viaggiatore e di osservatore, Monelli è tra i meno legati, o influenzati, dalla moda letteraria: scrive come quegl'italiani curiosi, e talora un po' pettegoli, ohe ci hanno lasciato lettere e memorie dei secoli passati, inventariando accuratamente gli usi e costumi degli «stranieri» (e per «straniero», consideravano l'abitante della regione più prossima) guardati con qualche ironia e sospetto, e, diciamolo, con un ghignetto di soddisfazione o superiorità. Solo a casa loro si trovavano a posto, e ne celebravano la tavola, la donna, e le abitudini sociali e familiari. Eppure, con tanti punti di scontro o di attrito) Monelli si legge sempre volontierl, con piacere e con profitto: per l'onestà un po' asprigna della pagina, per la linda e sapiente scrittura, per i sentimenti sinceri, e le passioni dichiarate, le molte e curiose nozioni. Il suo conterraneo Alessandro Tassoni, l'uomo della Secchia rapita, non era troppo da lui diverso, e le sue opere minori son piene di dirizzoni, impennate, levate di scudi, s.ravuganze che Monelli al affretterebbe a sottoscrivere, mentre la stessa vena galante lo Ispira; e in fatto di capricci d'amore, la squisita Venere che dorme all'osteria nel primo canto della Secchia, e le sue allieve delle Sessanta donne, ci lasciano con l'acquolina In bocca. Arrigo Cajumi N(ilS

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