Renoir e la guerra di Mario Gromo

Renoir e la guerra I GRANDI FILM Renoir e la guerra lC£11MIIII3IIIII<lllIII IIIIIMIIIllIIIFIirilrilliriirillllVenezia, agosto del '37: scandalo al Lido. La grande illusion, l'ultima opera di Renoir, è un film... pacifista! E gli è stato dato un premio Importante. Si vuole la testa di Tizio e di Caio, è un'Ignominia, la patria è stata vilmente tradita; e sarà questa l'ultima premiazione equa e motivata della Mostra. Con 11 '38 1 premi saranno assegnati soltanto da funzionari obbedienti a pastette politiche; e sarà poi questo il vero scandalo, con una sua risonanza In ogni Paese. Il film di Renoir fu naturalmente vietato agli schermi italiani, pareva che i conclamati otto milioni di baionette dovessero-essere disfatti da questi otto rulli di pellicola; soltanto ora il film può apparire anche da noi; e il benemerito « Cine-Club » ce ne ha Ieri offerto l'edizione originale. Fu posto accanto a Le feu di Barbusse, All'ovest niente di nuovo di Remarque ; ma non ha la caligine del primo, nè la documentarla secchezza del secondo. E' la parola, alta, amara, ed europea, di chi troppo ancora ricordava, nel '37, gli orrori della guerra; la grande Illusione è nel credere che la guerra, con tutte le sue angoscie, pos°a, a quel prezzo, risolvere qualcosa; è nel cre¬ pmsvtnRdbetscsnRaepaorndnltpcasunRctdere che l confini militari o t poline! possano togliere all'uomo un superiore e profondo senso d'umanità, possano prevalere sul dolore e sulla morte. Con Charles Spaak (lo sceneggiatore de La kermesse) Renoir ha delineato una vicenda scabra e virile. Durante la battaglia di Verdun un pilota e un osservatore francesi, il tenente Marechal (Gabin) di schietto ceppo contadino e il capitano Boeldleu (Fresnay) di schietto ceppo patrizio, vengono abbattuti dal maggiore Von Rauffinsteln (Stroheim) che assomma in sè tutta l'albagia e la convinzione del junker prussiano. Sarà il maggiore ad accogliere alla sua mensa, con ostentata e compiaciuta correttezza, I due francesi appena catturati. Inviati subito dopo in un campo di prigionia, qui, con altri, tenteranno la fuga. Mutati di campo, 1 tentativi d'evasione si moltipllcheranno; fin quando, più che mai recidivi (al due s'è aggiunto un piccolo ebreo, Rosenthal), saranno segregati in una fortezza, dove ritroveranno come comandante Von Rauffinsteln, divenuto quasi un invalido per le troppe ferite, e posto a quell'incarico come all'ultimo servizio che 11 tetragono junker può ancora rendere al suo Kaiser. Altro tentativo di fuga. Boeldieu, per eludere la sorveglianza delle sentinelle, ne attirerà su di sè! l'attenzione, vorrà sacrificarsi;! cadrà colpito dallo stesso; Rauffinsteln che, prima di sparare, aveva scongiurato 11 collega, 11 quasi-amico, di desistere, d'arrendersi; Marechal e Rosenthal, intanto, potranno fuggire; e, dopo essere stati ospitati da una contadina bavarese, riusciranno a raggiungere Il confine svizzero. Su questo traliccio Renoir ha intessuto un film solido e compatto, quasi tutto di pagine schiette e vibranti. Tipi indimenticabili, soprattutto i due aristocratici (Fresnay e Stroheim), ultimi e assai consapevoli protagonisti di un mondo in declino; ambienti delineati con pochi tocchi maestri (I campi di prigionia, caserme e stazioni sperdute); episodi singolari e poterti d'apparizione di un soldato vestito da donna durante 1 preparativi di una recita al campo; lo sgorgare della Marsigliese, durante la stessa recita, alla notizia che il forte di Douamont è stato ripreso; l'ocarina donata dal vecchio territoriale tedesco a Marechal, in cella di rigore per aver scatenato quel canto; la morte di Boeldieu; l'Isterica rivolta di Marechal di fronte a Rosenthal, azzoppatosi durante la fuga; e tutto il finale). Rivisto oggi il film ci rivela un suo nuovo, quasi inaspettato sapore; e si pone In tutt'altra prospettiva che, a modo suo, si potrebbe quasi dire storica. La guerra d'allora, dopo gli orrori di quest'altra che ancora ci prostra, ci appare come circonfusa in un nimbo, dal quale non sono assenti umanità e cavalleria. I colloqui fra lo junker e l'aristocratico francese ci appaiono quasi incredibili, dopo Dachau; questa dolce donna di Baviera, racchiusa in una sua accorata solitudine, ci appare non meno Incredibile, o quanto meno un simbolo, un'allegoria, dopo le « belve » in gonnella di Belsen ; e la più vera, nobile grande Illusione che si sprigiona da tutto il film è che nel '37, due anni prima del '30, si potesse davvero credere o far credere che la guerra del '14V18 doveva essere l'ultima. Questa Illusione, Invece, contribuì soltanto a creare, soprattutto In Francia, la psicosi della < non resistenza»; e ci lascia oggi più turbati che increduli. Perchè la vera parola del film è nel sincero desiderio di voler banditi la violenza e l'orrore. Oggi La grande lllusion, riportandoci a quegli anni opachi e inquieti nel quali ci si ostinava a voler credere che il peggio, malgrado sinistre minacce, non si sarebbe poi scatenato, ci riporta, alla sua maniera, come a una viglila dell'Irreparabile, vuol ricordarci le nostre più profonde e non dimenticate esigenze. Anche oggi abbiamo più che mai bisogno di poter credere, di tornare a credere che una bomba non è un diritto, che Inutili orrori e assurdi massacri dovranno essere scongiurati. Questo ce lo dice, ce lo ricorda un film, riapparendoci dallo scaffale nel quale è stato rinchiuso dieci anni; e ciò, per un film, già sarebbe moltissimo. Mario Gromo Gabin ne < La grande lllusion »

Persone citate: Charles Spaak, Von Rauffinsteln

Luoghi citati: Baviera, Francia