Socialismo uno e due

Socialismo uno e due Socialismo uno e due re A et A distanza di parecchi mesi dalla scissione socialista sembrerebbe possibile fare, non tanto un consuntivo dei resultati, che queste sono sempre operazioni a lunga scadenza, ma almeno un quadro prospettico più chiaro delle sue motivazioni lontane e recenti, e un esame più analitico della sua dinamica; e ciò alla luce dell'azione sviluppata dai due partiti dopo la separazione. Ora è facile constatare che un simile tentativo di analisi è assai più disagevole di quanto non si pensi perchè, tutto sommato, le ragioni della scissione apparivano assai più evidenti al momento del Congresso, di quanto non siano apparse successivamente nello sviluppo della manovra politica; sviluppo che è stato curiosamente distolto dal suo corso logico da due impulsi contrastanti agenti all'interno dei due partiti, e che hanno finito per rendere la loro politica assai più affine di quanto non fosse lecito supporre. L'impulso che ha agito all'interno del partito fusionista è stato proprio quello di dare scacco matto all'avversario sul terreno da lui prescelto, dimostrando una notevole, anche se solo formale, liberta di movimenti rispetto al partito comunista. Specialmente in politica estera i fusionisti, anche sotto la pressione delle necessità di non lasciar disperdere a favore di altri il successo popolare della missione Lombardo, hanno accentuato una netta differenziazione verso i comunisti, accettando — sia pure ob* torto collo e con la solita mala grazia che tutti i seguaci di miti al tramonto dimostrano verso la cristallina ingenuità dei fatti — che la nostra politica estera, abbandonando finalmente il presuntuoso velleitarismo nazionalistico (anche se per l'occasione fatto proprio da comunisti) di una impassibile quanto impossibile equidistanza tra ì due blocchi, si diriga, pur con la cautela necessaria, verso una collaborazione italiana alla vita internazionale, in quelle forme e in quei modi che sono imposti dalla storia. Ma .anche sul terreno della politica interna, il partito socialista italiano, ha tentato, sia pure con maggiore difficoltà, di sottrarsi al fascino pericoloso del suo vicino di smistra; e ciò non soltanto con gli appelli, in realtà infelici e contradittolanciati volta a volta a Tutte le forze democratiche e alle classi medie, ma anche con un'azione sindacale che, senza giungere a veri e propri atteggiamenti di autonomia, ha dato talvolta la impressione di farsi rimorchiare di mala voglia dall'azione comunista, più spregiudicata, più audace, e tutto sommato, più conseguente. Tutto ciò ha dato all'azione politica del partito socialista, vigorosamente limitato a sinistra, un tono, un comportamento assai più cauto e circospetto di quanto il Congresso di Firenze non lasciasse supporre; ed ha sbiadito, in parte, le orlature fusionistiche della scissione. All'interno del partito socialista lavoratori italiani Mia~ntcssdslLtaarsplun6dstmncdrvsddplfirptamspc§dssfmi, ha agito Invece, sempre più vigorosamente, un impulso | in qualche modo contrario, e che viene riassunto nella preoccupazione di non perdere i contatti con la massa operaia; -anche qui dunque accettandosi la battaglia proprio sul terreno scelto dall'avversario. Sembra veramente di assistere a una tenzone in cui ciascun duellante, dimentico delle proprie ragioni, sia solo preoccupato di dimostrare il torto delle valutazioni avversarie. Questa preoccupazione ha avuto riflessi politici e organizzativi importanti. Dal punto di vista politico l'impulso ha portato ad un irrigidimento nell'opposizione a De Gasperi, favorendo il gioco di quest'ultimo il quale, col vento in poppa della situazione internazionale, avrebbe forse accettato un rimpasto settembrino, negoziato alla cordiale amicizia delle rallegranti frescure; e sarebbe stata cosa opportuna e di reale giovamento nei confronti dei torbidi giorni che ci attendono ; ma non sarà mai indotto a una crisi di orientamento politico dalla inesistente pressione del P.S.L.I. La « vera pressione la sta, se mai, esercitando la C.G.I.L., ma Ser conto di altre forze potiche, ed è perfettamente inutile che i socialisti autonomisti la appoggino cosi calorosamente perchè i frutti di tale pressione, se ci saranno, non li raccoglieranno loro. Le conseguenze organizzative giungono poi sino all' assurda proposta precongressuale, seriamente di- scussa, di imporre un'esplicita accettazione di « fede » (che di nient'altro ormai si tratta) marxista a coloro che aspirano a cariche direttive nel partito! Che sarebbe, se la proposta fosse accettata, il miserabile epilogo di una generosa illusione. Ma in ogni caso si tratta d'un'illusione; l'illusione che si possa fare una politica moderna agile, democratica, e se volete rivoluzionaria, dentro i lacci della tradizione marxista. E Ramadier ne sa qualcosa, che se vuol salvare l'Impero coloniale francese deve farlo contro il proprio partito; mentre le illusioni dei « socialismi auto- nomi » danno la fame all'In ghilterra, dilaniata dal di lemma tutto socialista inefficienza o abolizione della libertà di lavoro; e forse ridaranno De Gaulle alla Francia. La verità è che il socialismo, nella sua interpretazione marxista — il quale co me fascino mitico non seppe resistere al fascismo, come potenza logica non regge al comunismo, come efficienza pratica non sta al passo della democrazia cristiana — ha cessato di essere una forza della storia Ed è diventato la sua ma lattia più grave. Mario Paggi

Persone citate: De Gasperi, De Gaulle, Mario Paggi

Luoghi citati: Firenze, Francia