Ancora una conferenza

Ancora una conferenza Ancora una conferenza La Conferenza dei Ventano si è aperta ieri a Parigi, mentre dal popolo italiano una n fin e, rappresentato nella fattispecie dai lavoratori, che hanno sospeso il lavoro, e dalla stampa di ogni partito, si levava ancora una volta la protesta più ferma contro l'iniqua pace che s'intende imporre al nostro Paese, nonché lo ammonimento più solenne ed esplicito contro la fallaeia e la perversità dei criteri generali che, all'infuori anche del nostro caso particolare, hanno guidato i Quattro Grotti, in questa lunghissima, esasperante fase preparatoria, per nulla conclusa, di una pace mondiale, ancora di la da venire. E* questo bensì l'ammonimento di un popolo vinto, e caduto molto in basso nella propria fortuna; e come tale esso potrà venir tenuto in non cale, anzi disprezzato e deriso, dai vincitori ma esso non rimane meno per questo l'ammonimento della coscienza politica e morale di un popolo di gran, de passato, che ha potuto bensì errare (ed anche esser colpevole) durante vent'anni, ma che durante tremila anni ha dato — forse più di ogni altro popolo al mondo — contributi .inestimabili alla civiltà comune; • che la sventura, inoltre, ha reso più sensibile' e chiaroveggente degli altri. Ora, questo popolo dice oggi ai Ventuno, come già disse ai Quattro: badate a quello che fate! Questa Meste che ci rubate potrà forse essere fatale alla pace dtl mondo, come fu già Danzi ca alla fine della prima guerra mondiale. Bisogna dimostrare di saper costruire (o ricostruire) umanamente l'Europa, prima di chiedere, eventualmente, a taluni suoi punti nevralgici di diventare i| centri wnffzhmici della Ubera e paritetica comunità dei suoi popoli. obiettivamente taluni punti eseenzialL La Conferenza dei Ventuno ci sembra aprirsi soprattutto—per quanto ci riguarda più da vicino, e a prescindere dalla grande contesa fra russi e anglosassoni, il cui nodo più prossimo è la questione tedesca — sotto un duplice segno: l'abbandono, quanto meno temporaneo, da parte della pancia della sua missione europea (e per essa della intesa latina), e qualche indizio di maggior dinamismo della diplomazia italiana. La Francia pensa — o piuttosto, forse, s'illude — di poter meglio giocare la grande politica mondiale, e assicurare a sé la parte preminente che le spettò in un passato irrevocabile, inserendosi nel duello russo-anglosassone con funzioni ora di mediatrice, e ora addirittura di arbitra: e a tal fine essa ritiene di poter fare a meno di ogni solidarietà europea, sia dell'intesa con l'Italia, sia di quel patronato difensivo e direttivo delle piccole nazioni, che sono due aspetti concomitanti dell'unica idea degli Stati Uniti d'Europa. La Francia sembra oggi rinnegare Paneuropa, sembra rinnegare Briand: fra i due grandi blocchi in presenza e in conflitto, hi cui linea di demarcazione e d'attrito, per suprema jattura, taglia in due il nostro sventurato continente, hi Francia tenta di porsi come terzo termine; non come Europa da lei capeggiata (che sarebbe la grande via di salvezza, e ognuno di buon grado le riconoscerebbe, oggi, hi primogenitura!) ma come Francia pura e semplice, e sia pure come Union Fronfioise; è un'idea insieme egoistica ed ambi «iosa, cui non bastano, verosimilmente, le sue forze reali, a partire dalle demografiche: e presto, probabilmente, sopravverranno per lei quelle delusioni, di cui il contegno di Molo taf a proposito del problema renano è stato già un primo assaggio. Meschino, tristo compenso se, per umiliare l'Italia, essa ripiegherà sulla Jugoslavia! Ricordi la « Piccola Intesa » dell'altro dopoguerra, che crollo come un castello di carte. * Secondo punto: gli osservatori stranieri si accordano nell'attribuire all'Italia, in questi ultimissimi giorni, qualche maggior segno di vita; di cui indizi preminenti .sarebbero le missioni Nenni in Europa e Sforza nell'America latina. Alla buon'ora! Il complesso d'in¬ tiptDotdfilpeadPWFed feriorità, e hi conseguente inerzia, di cui soffriamo da tre anni, va superato d'urgenza. Ricordiamo che nessuna situazione è mai disperata fin che c'è forza nelle braccia, sangue nelle vene e fosforo nel cervello; ricordiamo che, fatte le debite proporzioni, il Piemonte a Novara era stremato quanto l'Italia d'Oggi: eppure, tre anni dopo, Cavour era già al lavoro, a curare le i c^dieS; ad S e adotam La^mnma^SkJ o sdegna la sua missione eu-!roDea? Ebbene, oerchè — ropea? Ebbene, perchè —j sia pure in condizioni tetri- ' bilmente più gravi, a causa della defezione francese — non potrebbe raccoglierla e tentarla l'Italia T Perchè l'Italia non potrebbe tentare di essere il Piemonte di Europa? E, prima di tutto, farsi la paladina della latinità, in un mondo in cui U germanesimo è momento- neamente crollato, e dove non è affatto detto che anglosassoni e slavi debbano in sempiterno dominare da soli? Commoventi consensi ed aiuti ci vengono, oltre che dai minori paesi d'Europa, dalle due Americhe, dove milioni d'italiani contano fra i cittadini più operosi ed apprezzati: sfruttiamo questa grande riserva, questa mirabile carta potenziale del nostro giuoco. L'Italia deve tornare rispettata e potente; lo ha detto anche Togliatti, e lo vogliamo tutti. Osare, osare: ma osare facendo tesoro, una volta per tutte, della terribile esperienza fascista; osare da uo- ^/T"' buoni citta ^af n^r^"^ !?^"0^* f^Jfl1 £ n03^ra abibtà e la nostra tc- j ' nacia, un posto onorato nella famiglia delle nazioni, servendo la causa generale della civiltà, servendo la pace e non la guerra, favorendo le intese e non i dissidi: ricordando che perfino Bismarck, al suo apogeo, gradi il nobile titolo di «onesto sensale» di Berlino. Filippo Birraio

Persone citate: Bismarck, Briand, Cavour, Grotti, Nenni, Sforza, Togliatti