La barca di Ervino

La barca di Ervino La barca di Ervino Mentre scendeva gli ecali ai delle vie incutete fra i muri delle ville, Erano sentì improvvisamente quella corrispondenza delle cose con se stesso, che non trovava quasi mai. E le cose erano un cielo grigio eporco con qualche chiassa madreperlacea fra la caligine verno il mare, il mare che si confondeva quasi con quel cielo, gli scalini corrosi dalla salsedine, sui quali poggiava i piedi uno avanti l'altro, e i muri giallìcci con qualche povera fronda di sopra, che lo strin gevano ai lati; • quell'odore del porticciok) ancora nel sonno, sì, l'odore che non gli ei poteva staccare dalla memoria: forse la sola prova che egli era stato un'altra volta nella vita, nel tempo della sua adolescenza. Nessuna barca era ancora uscita dal piccolo porto, che aveva la forma di un ferro di cavallo. Le barche stavano tutte addossate nell'acqua pi gra e si vedeva immobile la raggerà dei canapi, in curvo abbandono sott'acqua, che le fissavano ai gavitelli. Alcuni vecchi pescatori facevano crocchio all'imbocco in messo a loco da terra ai levava il cumulo delle reti asciutte. — Esci, Errino? — chiese uno dei vecchi — non c'è da fidarsi troppo. Ervino neppure rispose. Ma erano abituati alle sue sgarberie a io guardarono mentre saltò nella barca, preparò gli arnesi per la pesca, issò la vela, sciolse i canapi o usci tra le altre barche con quel suo modo lento • di* sincantato di vogare. — Vedremo alla levata del sole; potrebbe anche darsi ohe non faccia nulla. — Ervino è un disperato. Quanto l'hanno cambiato quel ragazzo 1 — La guerra ha cambiato fl mondo. Siamo noi, quattro vecchio travi, che teniamo ancora duro. — Ma non tutti i giovani sono come Ervino. Gli altri bevono, si divertono, vivono. — Vivono anobe troppo. Noi alla loro età... — Non gli manca nulla. Non avrebbe neanche bisogno d'andar a pescare. Intanto la barca d'Errino, al largo, prendeva il primo vento. Era un vento capriccioso che increspava a zone lo specchio dell'acqua e sbiancava qua e là la foschia; cessava, riprendeva da un'alba parte. Il sole s'affacciò livido come un occhio smorto sul ciglio dei monti lontani. Ervino usciva con ditti i tempi. Quelle mattine che non usciva, stava sul letto con la finestra aperta. Di là egli vedeva soltanto 0 mare. Era stato in Africa, in Eosaia ; l'avevano tirato fuori di eotto all'aggrovigliata carcassa di un carro armato, lo avevano ferito al petto e a una gamba, era stato abbandonato tre giorni e tre notti sulla steppa in mezzo a crateri di fuoco e all'alternarsi dei combattenti. Tutto gli era diventato indifferente. Non trovava piò il modo di comunicare ne con gli uomini nò con le cose. Soltanto in certi momenti, come in quella mattina, gli pareva che cadesse fra lui e il mondo il diaframma che te nova lui di qua e il mondo di là, un diaframma sottilissimo, ma fatto come di un ve tro infrangibile, sordo, contro il quale si arrestava ogni vibrazione. Vedeva tutto, oltre, ma nulla aveva nò un suono nò un colore nò un movimento che corrispondesse al suo interno. «Sei malato, sei malato», gli diceva sua sorella carezzandogli la fronte. Egli avvertiva la carezza come l'avrebbe sentita un sasso, ma quella parola malato era forse la sola giusta spiegazione del suo stato. La vela si gonfiò. Quando la vela prendeva il colpo di vento, il mare gli bolliva eotto il timone. Il paeaetto era diventato una macchiolina grigiastra sul bruno della costa; eppure egli sentiva, materialmente sentiva giungere fino a sé, di tanto in tanto, uno scampanio argentino. Pareva che il vento, quando soffiava di là, gli portasse fresco fresco il suono del suo campanile. Anche la diventata un gioco divertente. Non appena la barca prendeva l'abbrivo e filava nel vento, il pesce abboccava. Ervino ritrovava un gusto nuovo a staccare gli sgombri sgargiati ti dagli ami. Era una facceli da tra lui e il mare vivo. Forse antichissimi istinti affioravano dalle profondità del suo sangue: a memoria d'uomo, nella sua famiglia tutti erano stati pescatori. Gli veniva ima tranquillità insòlita da quel maro deserto d'altre barche; da qualunque parte si volgesse non vedeva che acqua odalo. Era una solitudine che in altri momenti gli sarebbe sembrata paurosa, ma quel giorno egli era eccezionalmente in armonia con se stesso. L'aveva sentito soenden do da casa; ed ora in mezzo a quella vastità mobile — acqua vento cielo tutto si moveva, mutava — egli ora finalmente sciolto. La terribile sbarra ohe lo teneva in chiodato a uno stato di immobilità angosciosa, aveva ceduto quasi da so, come rimossa dà un semplice soffio di vento, mentre prima sembrava Incrollabile ai colpi piò furiosi di maglio. Ervino s'intenerì. Una grande tenerezza lo colse, nel. l'osservare, mentre lo prendeva in mano, il pesce glabro, guizzante, coi suoi colori iridescenti; sopratutto quegli occhi sbarrati lo commovevano, gli davano una sensazione precìsa di come doveva esser la vitta sott'acqua: un mondo tuto diverso dal nostro, dova lo stupore non esisteva, perche era all'origine stessa del vedere, nella stessa conformazione dell'organo. Entrare nella vita con lo stupore già fermato nelle pupille e non stupirsi più di nulla. Non pescò piò. Anche il vento era cessato; tenendo al contatto del fianco la barra del timone, egli aveva un senso sfuggevole persino della barca. Era staccato dalla terra a fl suo animo fluiva in leggero sensazioni. Si mise a cantore una nenia, una vecchia nenia di pescatori, e sorrideva. Quel dipenderò da tante cose, queU'esser uniti per forza a tante cose: forse era questa l'angoscia che lo aveva tenuto stretto. Non sapersi render conto di quello che succede. Pereto ti mettono al mondo o cu credi che la vita sia issare una vela, portare una buona retata di pesco in porto, sedersi la sera vicino a Jolanda o sentire il suo braccio sul colio o il suo seno sulla spalla ma poi è tntf altro, tutt'altro, quando ti trovi a dover capire Io eguardo d'un moribondo che ò travolto con te nella stessa polvere, o non lo sai capire; o non sai capire il tuo compagno che s'e trasformato in lupo e ulula e sbrana come i lupi e metto la coda fra le gambe quando isolato s'incontra in altro brano» ohe non ò il ano, allora, ecco, o'è quella sbarra, quella terribile sbarra che cala. Ma la costa non si vede piò. Paro ohe il maro si sia alzato di là. S'ò aliato da tatto le partì e si congiunge quasi al cielo. Ervino è calmo, come la vela, che pende eopra di lui ed ha appena, ogni tanto, qualche fremito a cui risponde un sussulto della barra a un lieve scricchiolio del pennone. For.- ; tutto sta nel liberarsi dal ragionamento, che certo volte s'inceppa e finisce con l'accavallarsi e col premero contro l'ostacolo di ee stesso o allora al cuore par di vivere sotto una montagna. Non ò neanche questione di capire. Tutto età Dell'aver voglia. Aver voglia di scendere gli scalini per andare al porto, aver voglia di saltar nella barca, di prender il pesce, di metterei la barra sotto l'ascella e di cantare la vecchia nenia ; anche, se capita, aver voglia di sbarrare gli occhi come i pesci, per non stupirei piò di nulla. Ed egli invece non aveva nessuna voglia di calar la vela, anche se girando gli occhi s'era accorto, ma come di cosa che non lo riguardasse, che stava per scatenarsi un brutto vento eopra di lui : già il mare a poca distanza friggeva. Egli ai levò la giacca e la gettò sopra il pesce livido sul fondo. In quel momento la barca fu scossa violentemente e il pennone della vela sbattè contro la sua tempia e lo trascinò sull'orlo. La mattina dopo,- au un banco di sabbia della laguna s'arrenava dolcemente una barca abbandonata sopra il pesce abbondante c'era una giacca di pescatore. Giani Stuparich Giardino pubblico: or» 13

Persone citate: Giani Stuparich

Luoghi citati: Africa, Pereto