Dalle foreste del Kenia alle banchine di Porto Said di Ezio Bacino

Dalle foreste del Kenia alle banchine di Porto Said I PRIGIONIERI CHE TORNANO Dalle foreste del Kenia alle banchine di Porto Said Lo stordimento della liberazione - La vita, nelle città di legno e tende - II lavoro - W mistero detta Patria (dal n08to0 inviato) Incrociatore e Montecuccoli », marzo. Andando netta notte lungo II canale di Suez affiorano di tempo in tempo tenoni filari, nitide scacchiere di taci cadenzate, distanziate ani ritmo di un disegno razionale. B questi filari, queste scacchiere non sono pta città, sono campi di concentramento di prigionieri: oomo-tr-oersatonaK e taNH ctttóhdi legno e di tela, cinte da mura trasparenti di reti metani-] che, nate dotta guerra. Una di queste città, imtncn; presso Bz Zagazig lancia le diritte diagonali di tace del suo disegno razionale. B non Cè da sbagliare; in questi campi di concentramene d'Africa 1 prigionieri con quasi tutti italiani. 8on come «acini arti fetali di umanità concentrata, che U rivolo tonto e sottile dei rimpatri» va assai lentamente svuotando. Dal Malaya al Moateeaeeall Cosi da Mombasa arrivò un giorno a Suez a "Malaga", recando a bordo oltre mille prigionieri italiani del Sento e del Sud Africa. Arrivò quasi contemporaneamente ad una grande portaerei inglese, la "Vie-; tortone", che veniva dal Pacifico dove aveva combattuto, n grande scafo squilibrato della portaerei riaaH a canale e sostò a Porto Scld; i prigionieri italiani, in numero ridotto di TU, vi arrivarono in treno per Pappnntamento che il "Molava„ da Mombasa ed a "Montecnocoli" da Napoli si erano dati al dna capi del Canale. Lungo il Mar Bosso Ut navigazione a bordo del "Malaga era stata comoda e quasi piacevole. GU ufficiali ammettevano di essere stati, questa volta, trattati con dignità atta pari degli ufficiali inglesi, con alloggio e mensa atta tavola comune. Durante la navigazione l prigionieri avevano anche inscenato spettacoli di varietà, cui gli inglesi erano stati invitati ad assistere con regolare biglietto di invito bilingue. A bordo del 'Montecuccoli " i prigionieri furono accolti con quello spirito di fraternità e di solidarietà squisitamente marinara che dà al reduce, mtPombra della bandiera innalzata al picco della nave da guerra, il pri¬ h. ] mo tepore del ritorno, un primo sentore di casa. I/ospitalità era quella rudemente essenziale che può offrire uno scomodo strumento di guerra: corridoi di ferro per dormitori, pagliericci sul ferro per letti, la mensa a turno nel "quadrato'' per tutti gli ufficiali. Li miMIne a 11 silenzi* che tornano'! quali sono i toro pensieri sotto to fronti chiuse e pensose? I prigionieri più che parlare, chièdono, si informano; piò che portare ascoltano ehi dà. toro notizie détta patria, con Pattenzione e la diltgenza di scolari a scuola. B st partano, è come se si confessassero. Hanno Paria .riservata e guardinga, quasi timorosa di chi teme di porre un piede to fatto, di chi si avvia un poco smemorato per un sentiero ignoto. Intorno al quale si Utemtano a poco a poco paesaggi nuovi e sconosciuti. Sono dei solitari, degli anacoreti che tornano da un lungo esilio, che gli anni e gli eventi, trascorsi come un fiume inforno allo scoglio immoto della loro solitudine, ha isolato dal mondo. Ora ii fiume detta vita, alto sgelo detta liberazione, riprende Il suo corso: torna a scorrere in un nuovo alveo, tra rive ignote che offrono un paesaggio .sorprendente ad ogni istante. X/attesa è « più logorante e sterile dei sentimenti «mani: svuota Io spirito di oynt impulso vitato, oppure irrita ed accende i nervi fino atta pazzia. Ora l'esistenza e ta psicologia del prigioniero si può ridurre a questo: attesa. La sofferenza più intensa detta cattività era quella detta convivenza intima e forzata, prolungata per anni oltre ogni sopportazione. La personalità individuale non aveva più possibilità di difesa e di riposo, osa orbita sempre in un ritmo di vita collettiva, senza prospettiva di taolamento e di solitudine. In tutti, da qualsiasi punto cardinale provengano, vengano datt'Africa, dall'India o datPAmerica; escano dai campi di concentramento inglesi, americani o francesi, i loro giudizi e le toro impressioni, i loro risentimenti, sono gli stessi, dettati dotta condizione obbiettiva delia prigionia. B' infatti assai spesso difficile discriminare tra quanto i prigionieri dicono circa il trattamento da lorojsuMto; dipanare cid che è giudizio obbiettivo, dato di fatto, da dò che esprime un generico e sentimentale impulso di risentimento. € Virgili! Ritdi Il prigioniero vuol sapere comò si vive in Italia, quanti partiti ci sono, quanto costa la vita, quaPè Poemetto détte città: e pensa a tutte'queste cose un po' disorientato e confuso. "Boi dobbiamo ricominciare a pensare e a vivere: bisogna che ci rifacciamo un'educazione " dicono, poi si richiudono in una loro malinconica meditazione, con gli sguardi tristi e quasi assenti fissi sul mare. La prigionia ha impresso nei loro occhi un'ombra comune di umiliazione. Non hanno vivacità, né stanci vitali. Appaiono coma affaticati da un lungo cammino che abbia esaurito la loro vitalità, inaridito la giovinezza. Moiri di questi 718 appaiono anziani, quasi vecchi, capetti grigi e molte tughe sul volto. Vengono tutti dal Kenia e dal Sud Africa; sono tutti prigionieri dell'Etiopia, gente che è laggiù, lontana dotta patria, da sei, da sette anni, ed anche più. Sono frammenti di quella popolazione italiana dell'Abissinia che è tutta caduta prigioniera: non tanto soldati quanto coloni. Oli ufficiali escono dal campo di Bldorct, che pianta le sue funeree tende di tela nera catramata presso le rive del Lago Vittoria in vista della vertiginosa piramide del monte Kenia. Furono catturati negli inferni di sale e di lava delta Dancaha e della Migiurtinia, fin sulla punta estrema del Capo Ouardafui, dove gli «Itimi resti di «a grande naufragio, con le spalle al mare, ebbero ogni via di scampo preclusa. Ma anche laggiù la tradizione di lavoro italiana non ebbe smentite. E' una qualità che fa comodo, specie a cosi poco prezzo come può essere l'attività lavorativa di un prigioniero. Oli italiani, siano essi emigranti, e coloni della toro patria, o prigionieri, portano eulto loro spalle il destino antico, come dice la vecchia triste canzone degli emigranti: quello di costruire "pausi e città", e soprattutto strade. Anche laggiù i terrazzieri italiani han dato mano alla costruzione di strade, e specie di una strada importante: la "Victoria Road", che lungo le rive del togo africano costituisce uno dei tronchi detta grande arteria transcontinentale dell'Africa, da Città del Capo a Porto Said. hV stata battezzata questa strada equatoriale edificata dagli italiani: "Virginia Road". "Strada delle sigarette Virginia " vuol dire. Costruita e pagata con un pugno di sigarette. Come nel deserto e nella foresta equatoriale, casi prigionieri italiani si annidano e scavano la sabbia tra tombe e templi di Waraone, ai piedi delle Piramidi di Giza, minuscoli ed alacri pome i mitici operai egiziani che edificarono monolite su monolite quelle gigantesche scalee triangolari, avventate ad aggredire il cielo ed a gravare il deserto con il peso e la testimonianza perenne di tutto il lavoro e di tuffa la sofferenumani. Ezio Bacino

Persone citate: , Malaga, Virgili