Brezze venti e tempeste che arrivano fino a noi di Piero Bianucci

Brezze venti e tempeste che arrivano fino a noi Brezze venti e tempeste che arrivano fino a noi Uscirà a settembre presso l'editore Rusconi, con una presentazione di Tullio Regge, il volume «Rapporto sul Sole» di Piero Bianucci. E* un aggiornatissimo panorama di ciò che sappiamo sulla nostra stella. Eccone In anteprima alcune pagine. IN una foto scattata al telescopio a raggi X dello Skylab il 31 maggio 1973 si vede un «buco coronale» che è una voragine: spacca quasi In metà il Sole. Un aspetto singolare di questi «buchi» sta nel loro partecipare alla rotazione del Sole in modo rigido, senza risentire del rallentamento che osserviamo sulla fotosfera a mano a mano che ci si avvicina ai poli. Sotto il «buco», 11 campo magnetico fotosferico t debole. Le linee di forza all'Imboccatura del «buco» si aprono a imbuto. Di qui, per lo più, sembra che soffi il «vento solare», un plasma di elettroni, protoni e nuclei atomici completamente ionizzati che il Sole sparge continuamente intorno a sé, lasciando come una scia 'di «profumo» sul suo cammino. Lo spazio Interplanetario, che fino a pochi decenni fa era ritenuto pressoché vuoto, ne è impregnato. La materia che 11 Sole disperde — un milione di tonnellate al secondo — è pochissima rispetto alla sua massa, ma ugualmente enorme se per valutarla .usiamo criteri di giudizio terrestri. In tre mesi una quantità di plasma uguale alla massa dell'intera corona viene sof ita nello spazio alla veloci„a il circa mille chilometri al secondo. Eppure nei cinque miliardi di anni della sua vita, 11 Sole ha perso, al ritmo attuale, meno di un decimillesimo della sua massa. Per poco che possa sembrare, ciò equivale pur sempre a una trentina di pianeti come la Terra. In certe occasioni, quando sul Sole c'è molta attività (brillamenti, protuberan¬ ze, tempeste magnetiche), l'emissione di particelle diventa straordinariamente intensa, con Immediati effetti sull'atmosfera della Terra. Non è ben chiaro come il «vento» si origini. Il fatto che la principale sorgente del «soffio» sia nei buchi coronali fa pensare che la maggior parte dell'energia proveniente dalla fotosfera sotto forma di onde acustiche o di correnti elettriche con conseguente -effetto Joule- vada ad accelerare elettroni e protoni, che poi trovano via Ubera nelle linee di forza aperte dei •buchi». Il concetto di «vento solare» è abbastanza recente, ma la sua storia ha radici lontane. Da parecchi secoli, infatti, sono note le aurore polari. La loro origine è stata a lungo discussa e oggi sappiamo che questa luminescenza è prodotta dallo scontro tra particelle provenienti dal Sole e atomi atmosferici, con un meccanismo in fondo non molto diverso da quello della fluorescenza di una lampada al neon. Il sospetto della cosa si ebbe quando si incominciò a notare che le aurore polari si manifestavano regolarmente circa un giorno dopo qualche violenta tempesta solare. Analogamente, da tempo si sapeva che l'ago della bussola subisce di tanto in tanto brusche deviazioni in seguito a tempeste geomagnetiche: e anche di queste il Sole è risultato responsabile. Alcune tempeste brusche e globali sono apparentemente casuali. Altre, invece, a inizio graduale, sono ricorrenti e hanno un periodo di circa 27 giorni, che è il tempo impiegato da un punto sul Sole per riacquistare la stessa posizione rispetto alla Terra. E' stato questo fatto a far intuire che tra tempeste magnetiche, aurore polari e attività del Sole c'è un rapporto preciso. In certi casi si sono osservate sequenze di ben quaranta tempeste regolarmente intervallate di 27 giorni. Come sempre accade nella scienza, la strada della comprensione del fenomeno è stata tortuosa. SI è andati avanti lentamente, con errori alternati a giuste intuizioni. Carol Stórmer, all'inizio del secolo, è stato il primo a fare l'Ipotesi che le aurore polari fossero provocate da collisioni di particelle cariche e. poiché allora si conoscevano solo gli elettroni, pensò appunto che si trattasse di queste particelle elementari di carica negativa. Stormer fece anche esperimenti di laboratorio cercando di simulare il fenomeno e trovò che occorreva, per spiegare 1 fatti osserva¬ ti, supporre fasci di cento milioni o un miliardo di elettroni per centimetro quadrato al secondo. La faccenda appariva però piuttosto improbabile, perché in questo caso sul Sole, all'origine, 11 fascio avrebbe dovuto essere densissimo, e le particelle con la stessa carica, come si sa, si respingono. In nessun modo, quindi, un fascio tutto di elettroni potrebbe andare dal Sole alla Terra rimanendo còsi collimato. I fasci di particelle dovevano perciò essere globalmente neutri, ma solo verso 11 1920 si capi clie ne facevano parte anche corpuscoli di carica positiva, cioè 1 protoni. Intanto si era notato che anche le tempeste geomagnetiche brusche seguivano di un giorno 1 più violenti brillamenti solari, e questo ritardo provava che si trattava di radiazione corpuscolare. Bartels nel 1932 battezzava «regioni M» (come magnetlc o come mysterfous?) le zone del globo solare da cui traggono origine le perturbazioni geomagnetiche di piccola e media intensità, trasportate fino alla Terra da «brezze» di particelle. E tra U 1951 e il 1956 Biermann suggeriva che queste «brezze» contribuivano, con la pressione di radiazione, a spingere In direzione sempre opposta al Sole le code delle comete. Contemporaneamente l'astrofisico americano Chapman Intuiva che la corona doveva estendersi fino a inglobare la Terra e ne Immaginava un modello in equilibrio idrostatico. Parker sottopose poi a una critica serrata la tesi di Chapman e. salvandone ciò che aveva di buono, ne rivoluzionò il modello, affermando che l'equilibrio era di tipo dinamico, cosa che è poi stata confermata dall'esperienza. Inoltre Parker individuò, con il suo modello, un altro interessante fenomeno, analogo a quello che in acustica si verìfica quando un aereo supera il «muro del suono» : si formano cioè delle onde d'urto, dovute al fatto che 11 «vento solare» si muove molto più velocemente del «mezzo» interplanetario. Come il vento terrestre, anche quello solare soffia molto irregolarmente. C'è una «brezza» più costante, cui si sovrappongono Improvvise raffiche rabbiose, a velocità più elevata. Durante la missione Skylab ci furono cinque impulsi tempestosi. La densità sali da dieci a quaranta particelle per centimetro cubico, la velocità da 400 a 500 chilometri al secondo. La «brezza» può essere considerata la normale espansione della corona: essendo cosi caldo, questo tenue inviluppo di gas «evapora». Più esattamente, negli scontri elastici altamente energetici tra particelle, è molto facile che un protone, un elettrone, un nucleo di elio o anche di qualche elemento più pesante, venga spinto verso l'esterno con una velocità superiore al 720 chilometri al secondo oltre 1 quali si sfugge all'attrazione gravitazionale del Sole. Le «raffiche» provengono da fenomeni attivi violenti e dipendono anche dal passaggio di «buchi coronali» equatoriali al meridiano centrale, aperti verso la Terra Piero Bianucci

Persone citate: Bartels, Biermann, Carol Stórmer, Chapman, Piero Bianucci, Stormer, Tullio Regge