Il Riverside dovrà morire? «E' troppo intellettuale»

Il Riverside dovrà morire? «E' troppo intellettuale» Londra tenta di salvare il tempio dell'avanguardia Il Riverside dovrà morire? «E' troppo intellettuale» à m a LONDRA — Nei giorni scorti il Times pubblicava una lettera firmata da Joan Mirò, Samuel Beckett, Matta, ^eter Brook, Dario Fo e Richard Rogers. Cosa mai preoccupava persone tanto note e tanto diverse? Era una lettera scritta nel tentativo di salvare una delle migliori istitusioni artistiche londinesi, il .Riverside Studio». Nato negli Anni Sessanta in uno studio televisivo della Bbc in disuso, situato nel quartiere di Hammersmith, e cioè in postatone decentrato, il Riverside., sotto la guida di David Gothard, presto diventava un centro di attività che Londra non aveva. La politica del «Riverside» era — ed è — quella di portare compagnie straniere di alto valore, come quella di Tadeus Kantor, il gruppo giapponese Tengosaiki (che tanto successo ebbe al Festival di Spoleto), la compagnia Macunaima dal Brasile, il Circo immaginario; era molto attento al balletto e alla coreografia moderna, con Merce Cunningham, la compagnia americana New Coreography, gruppi indiani, ma anche con autori classici poco conosciuti in Inghilterra e dando spoeto ad attori come Italo Calvino. Fiorivano mostre di quadri, manifesti ed oggetti — ultimamente «Vent'anni di Mayakovskij» —, si organizsavano giornate di spettacoli per bambini e il ristorante, semplice ed a bassissimo costo, garantiva la continua presenza di giovani. Una sala più piccola serviva per rappresentare, testi sperimentali,e per le prove degli attori; in uno dei meandri del complicatissimo complesso, una scuola di scenografi lavorava per il teatro e insieme coltivava nuovi talenti. Non mancano nel curriculum del «Riverside» le esecu eioni di testi classici, come un famoso Giulio Cesare diretto da Peter Gill, fino all'anno scorso direttore artistico, oggi «rapito» dal Teatro Nazionale. Decentrato, sperimentale, coraggioso, da qualche anno è il «Riverside» ad attrarre pubblico e critica. Ma un centro dalle multiformi attività costa ed i soldi per le arti mancano. Per finanziare il «Riverside» David Gothard, giovane occhialuto, con capelli alla Geppetto e golf color salmone, che è il «padre» di questo cen- tro, aveva lanciato un progetto che la municipalità laborista aveva accettato nel 1978. Consisteva in questo: il terreno attorno al centro, oggi occupato da magaseini in di-' suso, sarebbe stato usato per un complesso moderno, progettato da un allievo di Roger»; sarebbe sorto un nuovo ristorante sul fiume (il «Riverside» è sul Tamigi), una sala per mostre, laboratori e un grande edificio per uffici che avrebbe finanziato non solo la costruzione, ma l'attività futura del «Riverside». Sennonché, cambiata l'amministrasione politica di Hammersmith, Simon Knott, liberate, prezioso alla coalizione conserva tor-li bera le, ha decretato la morte del progetto e del centro. «Troppo intellettuale», si ostina a dire Knott. Il Times ha aperto una campagna in difesa del progetto e del centro artistico. Da parte sua David Gothard insiste con il dire che «se costiamo, bisogna rendersi conto che siamo un ottimo investimento. Attori, scenografi, registi sono soldi per la Gran Bretagna». Del resto la regina Elisabetta quando inaugurò il Barbican — complesso architettonico che avrebbe avuto molto da guadagnare se progettato dall'architetto scelto dal «Riverside» e complesso artistico che avrebbe ancor di più da guadagnare se avesse un David Gothard a guidarlo — disse esattamente le stesse cose. Gala Servatilo

Luoghi citati: Brasile, Gran Bretagna, Inghilterra, Londra, Spoleto