Kenya, declino di un mito di Mario Ciriello

Kenya, declino di un mito L'ex colonia inglese, indipendente dal 1963, era lùi'òasi di stabilità nell'inquietudine africana Kenya, declino di un mito NAIROBI — Dopo II fallito golpe di alcuni ufficiali dell'Aeronautica per rovesciare U presidente Arap Moi, ci sono ancora In Kenya alcuni focolai di resistenza a Eastleigh (6 km dalla capitale), a Embakasl e al quartler generale dell'Aeronautica. Il capo del ribelli, colonnello Odlpo, non figura ancora tra i mille arrestati. I ribelli uccisi sono 90; 500 I feriti. Gli studenti sono stati associati ai golpisti: le forze lealiste hanno, aperto il fuoco su una loro manifestazione antigovernativa e le Università sono state chiuse. La capitale è ancora isolata, è in vigore il coprifuoca dalle 18 alle 7 del mattino, sono ricorrenti gli appelli del governo perché la popolazione collabori nello stroncare i golpisti. L'aeroporto di Nairobi non sarà riaperto prima di domani sera. Ai ribelli è stato rivolto un ultimatum perché si arrendano. Cadaveri, carri armati, perquisizioni, negozi devastati e saccheggiati, coprifuoco. Come tanti tagli di rasoio, questi sfregi dolorosi hanno d'improvviso segnato il volto di uno dei Paesi più cari agli europei, il Kenya. Un'ombra è calata su tutte quelle luminose e gioiose Immagini che da mille opuscoli turistici ricordano le bellezze e le delizie della nazione africana. Il colpo di Stato è fallito, questo è vero: ma restano i mali, acuiti da nuovi odi e paure, di cui la convulsione di domenica non è stata che un sintomo. Da circa 6 mesi, tensioni sempre più gravi tormentavano il Kenya; che per chi l'aveva incontrato in tempi migliori era ormai irriconoscibile. Peccato. Perché su un pianeta in cui le nazioni sane e stabili non fioriscono copiose, il Kenya era un'oasi serena. Uscita l'Inghilterra di scena nel '63, il nuovo Stato indi-: pendente aveva subito mostrato uno spirito diverso dagli altri Paesi africani. Nessun rancore verso i bianchi, anzi una società pluralista, in cui anche gli inevitabili antagonismi tribali trovavano equilibri tollerabili; un'economia senza le ambizioni indù striali del Terzo Mondo, con le radici in una solida base agricola: uno straordinario sviluppo turistico; e un lea der. Jomo Kenyatta. con l'aureola di «Padre della patria», ma senza le utopie di altri statisti emersi dall'era coloniale. Ancora nei tardi Anni 70. il Kenya viaggiava nel contesto africano come una brillante success story. Neppure la morte di Kenyatta nel '78 offuscò il quadro. Si temeva una lotta per 11 potere, e non si ebbe: si paventava uno sgretolamento dell'unità nazionale, e non si ebbe. Il vicepresidente Daniel Arap Moi fu nominato presidente nel rispetto delle norme costituzionali e l'8 novembre 1979 fu rieletta a suffragio universale, per un periodo di 5 anni. Si diceva pure: Moi non può durare in quanto non appartiene a uno dei grandi gruppi tribali, 1 Kikuyu. i Luo. i Luhya o i Kamba. ma proviene da un piccolo ramo dei Kelnjin, i Tugen. dal nome delle colline ad Ovest del lago Baringo. La debolezza si rivelò una forza. L'uomo del Kikuyu nel governo è il ministro Charles Njonjo, e Njonjo è l'eminenza grigia di Moi. Ma proprio in quegli stessi anni, proprio mentre Moi raccoglieva felicemente l'eredità di Kenyatta, la success story cominciava a incrinarsi. L'involuzione keniota ha seguito un'orbita tanto tradizionale e classica da essere quasi un cliché. Anzitutto, si è amma¬ laaplscrpl lata l'economia, i cui crescenti affanni hanno gradualmente avvelenato quasi tutte le altre parti dell'organismo nazionale. Dinanzi a una situazione sempre più difficile e a critiche sempre più severe. Moi ha reagito con misure sempre più repressive, culminate nelle ultime settimane con arresti e destituzioni. A questo punto, il golpe. Un gruppo di ufficiali dell'aviazione si ribella. Grida dalla tv di Nairo¬ bi: «Albi ha abbandonato la strada della democrazìa, ha scelto la dittatura-. L'economia. Che cosa è successo? Fino a quando durò il boom del tè e del caffè, vi furono abbastanza soldi per un relativo ma diffuso benessere. Dal '77 in poi. il reddito individuale continua, invece, a diminuire. Quasi l'80" della terra è arido o semiarido, tuttavia l'85% del 17 milioni di abitanti vive di agricoltura. Tale squilibrio. Ingigantito da una fenomenale espansione demografica di ben il 4% l'anno, esaspera la «fame di terra», mentre cala incessantemente la produzione alimentare e sale la disoccupazione. Certo, c'è il turismo, il Kenya è da anni sui grandi itinerari internazionali. Ma anche il turismo meglio organizzato non ha mal guarito le società travagliate, anzi ne inasprisce sovente i conflitti. All'inizio di quest'anno. 11 più implacabile avversario di Moi, Oglnga Odinga. un ex presidente incarcerato per tre anni da Kenyatta. apriva 11 bombardamento contro il governo. «Cosa vediamo? Disoccupazionc in massa, paghe miserabili, inflazione alle stelle, fame. Il governo dice: "E' colpa del petrolio e della recessione mondiale". Non è vero. Le cause sono diverse: corruzione, importazioni eccessive di beni di lusso, sperperi nelle riserve di valuta estera, incompetenza generale-. Odinga veniva espulso dal Kanu (Kenya African National Union), il partito dominante, ma gli attacchi contro Moi proseguivano, si estendevano, si arroventavano. Il presidente reagiva con durezza. In giugno, veniva ripristinata la detenzione senza processo. Da allora, sono finiti in carcere sette importanti censori del governo, tra i quali l'ex deputato George Anyona. di idee socialiste. Purtròppo, non è chiaro dove possa condurre la pericolosa strada Imboccata dal Kenya. Si assiste a un'altalena, dove tutti hanno un po' ragione e un po' torto. Moi e Charles Njonjo. il suo ministro per gli Affari costituzionali, ammettono che le cose non vanno come dovrebbero andare: tuttavia sostengono che il Paese abbisogna di «legge e ordine», e soltanto in un clima di collaborazione collettiva il governo può' eliminare plaghe antiche come la corruzione. E' con queste «spiegazioni» che Moi ha giustificato 11 mese scorso il licenziamento di George Githil dalla direzione del giornale The Standard. Githii aveva scritto che il Kenya era «nella morsa della paura» e aveva condannato, perché non costituzionali, le detenzioni senza processo. Le schiere di oppositori vedono invece in queste misure un indizio, forse irreversibile, del passaggio da un regime di relativa democrazia a uno «tirannico». Un'involuzione autocratica è innegabile. Già lo scorso anno Moi aveva cercato di tappare la bocca della stampa, delle università, della magistratura, di diverse istituzioni culturali. Ora la sua mano si è fatta più pesante. Le vicende economiche non l'aiutano, quasi tutte le classi sentono gli effetti del lungo declino, da mesi scioperi e disordini turbano come epidemie interi settori agricoli e industriali. In primavera, burocrazia ed esercito avevano fatto capire al governo che non erano più disposti a tollerare rinvìi nel pagamento degli stipendi, per «carenza di liquidità». > Questa volta Moi sembra aver vinto: il grosso delle forze armate ha negato il suo appoggio al ribelli dell'aviazione. Purtroppo, 11 numero dei morti sembra salire di ora in ora, Moi potrebbe rivelarsi incapace di controllare l'escaZation della repressione. Se quel golpe non fosse stato preceduto da un lungo e tormentoso conflitto tra la presidenza e una vasta opposizione, la prognosi sarebbe forse meno deprimente: ma il Kenya è infermo. Si riprenderà la sua economia? Sopravviverà la sua democrazia? Occorrono tante riforme, e bisogna far presto prima che la nazione scivoli nelle sabbie mobili del Terzo Mondo. Mario Ciriello TudnrmtCèitnts Nairobi. Il presidente keniano Arap Moi fotografato davanti alla gigantografia di Jomo Kenyatta