L'anonima sequestri decimata da tanti arresti sembra ridotta all'i m poteri io: ma fino a quando?

L'anonima sequestri decimata da tanti arresti sembra ridotta all'i m poteri io: ma fino a quando? Perchè da qualche tempo, a Torino, il rapimento "non paga,, L'anonima sequestri decimata da tanti arresti sembra ridotta all'i m poteri io: ma fino a quando? La situazione, rispetto a quella di Milano è abbastanza positiva: a tu «'oggi un solo ostaggio (Francesco Stola) è nelle mani dei banditi - Degli altri rapimenti, compresi quelli finiti tragicamente, tutti o quasi i responsabili sono in carPochi i casi insoluti - Le cause sono: l'efficienza dei carabinieri e le "smagliature" dell'organizzazione mafiosa cere Silenzio, da tre mesi a Torino sul fronte dei sequestri: dopo il rapimento di Francesco Stola, 48 anni, produttore di modelli per fonderia, del quale dal 18 marzo non si hanno più notizie perché sono saltati i contatti, Inanonima sequestri» sembra aver abbandonato la piazza. Le cause sono molteplici, ma, certamente al primo posto c'è la serie di smacchi subiti dall'organizzazione negli ultimi tempi. I carabinieri di Torino (Nucleo investigativo comandato dal maggiore Ruggeri e Gruppo operativo) con gli ultimi arresti di venerdì (Sergio Rovina, Vincenzo Agostino, Bruno Rodola, Michele Rignanese), incriminati per i sequestri Navone, e per i due tentati rapimenti della nuora dell'ingegner Nasi e del nipote di monsignor Pellegrino, hanno raggiunto un bilancio decisamente positivo: superato il periodo in cui l'«Anonima sequestri» spadroneggiava indisturbata, creandosi il mito dell'inafferrabilità, nell'ultimo anno la stragrande maggioranza dei sequestri, è stata seguita da massicci arresti. Così hanno trovato soluzione i rapimenti di Emilia Blangino Bosco, titolare della Stalea di Orbassano; della consuocera di Agnelli, Carla Ovazza (il caso fu risolto dal colonnello Schettino allora comandante del Nucleo Investigativo), del figlio del costruttore Cagna Vallino di Volpiano, dell'impresario Carlo Bongiovanni, dell'industriale Renato Rosso, della diciottenne Stefania Rivoira, del costruttore Navone, vicepresidente del Torino; del «re dei supermarket Conti» Guglielmo Liore; del nipotino di Orfeo Pianelli, Giorgio Garberò di 4 anni; di Enrico Campidonico (un sequestro anomalo, ma pur sempre un se¬ questro). Anche nel caso di due sequestri finiti tragicamente (Adriano Ruscalla, scomparso nel nulla e Mario Ceretto, trovato cadavere) quasi tutti i responsabili sono stati catturati. I casi ancora insoluti si possono contare sulle dita di una mano: quelli di Francesco Stola, del piccolo Pietro Garis, 5 anni, e dell'industriale Renato Lavagna. Una situazione, dunque, assai migliore di quella di Milano. Ciò è dovuto sia all'efficienza dell'Arma a Torino («un po' ci ha aiutato la for- tuna, ma un po' ci siamo anche mossi nella direzione giusta» ammettono gli stessi ufficiali) sia al saldarsi delle «famiglie» calabresi con elementi del nord attinti soprattutto fra i contrabbandieri di sigarette. Questa «saldatura» ha incrinato le regole dell'omertà. Incapaci di tacere sempre, ed a qualunque prezzo, i nordici, hanno rappresentato il tallone d'Achille dell'organizzazione. «Si brancolava nel buio quando credevamo che a Torino il fenomeno dei sequestri fosse anomalo e portato avanti da bande più o meno isolate. Soltanto ultimamente (e con gli ultimi arresti se ne è avuto una conferma) ci siamo convinti che le «batterie sono tutte legate tra loro» dice un altro ufficiale. Per «batterie» si intendono i piccoli gruppi specializzati: da chi ruba le auto per il sequestro, ai telefonisti, basisti, intermediari, carcerieri, esattori, vivandieri, membri dei «commando» che rapiscono, fornitori di armi, eccetera. Troppa gente, come si vede, e qualcuno finisce col parlare, col fare qualche ammissione, col tradirsi. La mafia siciliana per prima si è resa conto che il sequestro ha costi di esercizio troppo elevati e che si presta per il numero di «manovali» a falle disastrose. Così la mafia siciliana, che per prima aveva esportato al nord i sequestri, ha passato mano da molto tempo a calabresi e sardi. Oggi anche l'organizzazione calabrese (se non tutti i calabresi) comincia a capire che, tutto sommato, se si corrono grossi rischi, il gioco non vale più la candela. De¬ cimati negli affiliati, hanno dovuto ricorrere ai contrabbandieri di sigarette che a Torino rappresentano una struttura molto efficiente (si parla di un miliardo al giorno di fatturato che passa per Porta Palazzo, ciò che rappresenta anche un ottimo canale di riciclaggio) ma il risultato è stato tutt'altro che incoraggiante. E' probabile però che la calma attuale sia foriera di altre tempeste; accusati i colpi, l'Anonima si è rinchiusa in se stessa e cerca le falle, prima di ripartire. Alcuni di quelli che hanno sbagliato, del resto, hanno probabilmente già pagato: gli informatori dei carabinieri hanno riportato voci allarmanti sulla sorte che sarebbe toccata a Brandestini e Chiarello, coinvolti nel caso Ovazza. Al primo fu riconosciuta la voce con gli oscillogrammi; il secondo lasciò una chiara impronta digitale. Per questo sarebbero stati eliminati. I contatti tra «batteria» e «batteria» sono affiorati soprattutto nel sequestro Bongiovanni. Gino Amprimo è torinese ma lavora con i calabresi: tra essi Giovanni Sfrangio e Francesco Giampaolo, che ricompaiono nel rapimento di Romano Rosso. Nei sequestri Ovazza, Bosco Blangino e Ruscalla, compare sempre quel Giovanni Racca di Sommariva Bosco che aveva iniziato in proprio la redditizia attività, ma poi era stato riassorbito nei ranghi dei calabresi. I tre arrestati venerdì scorso compaiono oltre che nel sequestro Navone, nei due tentativi di rapire la nuora dell'ingegner Giovanni Nasi ed il nipote di monsignor Pellegrino. La villa già predisposta per i sequestrati

Luoghi citati: Milano, Orbassano, Torino, Volpiano