Sono cari i referendum di Francesco Forte

Sono cari i referendum Quasi cento miliardi per un atto di democrazia Sono cari i referendum Io sono a favore del principio del referendum, anche se ritengo che si dovrebbe mollo migliorare l'attuale congegno, per renderlo strumento di « democrazia efficace». Tuttavia penso che sia importante che si sia consapevoli che chi sottoscrive la richiesta di un referendum addossa alla collettività un costo piuttosto consistente: forse 95 miliardi di lire. Vediamo come si perviene a questo totale. Cominciamo a dire che se in Italia vi sono 40 milioni di elettori, vi sono i costi per preparare e spedire a casa di ciascuno 40 milioni di certificati elettorali. Si può considerare che ogni certificato costi, per la sua formulazione, compilazione (di solito con metodi elettronici), invio a domicilio (il che implica anche il reperimento di persone che hanno mutato indirizzo o hanno I un indirizzo incerto) L. 400. Si tratta di circa 16 miliardi. Vi sono poi le spese per i lavori elettorali. Un seggio comporta, come personale, il presidente, gli scrutatori, qualche inserviente, anche per le pulizie preliminari. Le operazioni, nel caso del referendum, che non richiede voti di preferenza, possono essere espletate in tre giorni. Si può calcolare, quindi, una cifra approssimativa di L. 200 mila per seggio per compensi al personale, pari a L. 400 mila ogni mille elettori. Troviamo, ancora, una spesa di L. 400 per elettore, quindi 16 miliardi. Per le elezioni servono le schede, nonché delle matite. Presumo che in questa consultazione vi sarà, per ciascun referendum, una scheda, al fine di evitare le deplorevoli confusioni che diversamente sorgerebbero, soprattutto nel caso di persone che non sanno leggere bene perché analfabete o con disturbi alla vista ecc. Ammesso che ogni scheda, compresa la carta, la stampa, la colla e la piegatura costi L. 60 (penso che sia una cifra modesta), si arriva a L. 120 per elettore, per 45 milioni di elettori, essendo da presumere che ogni seggio sia dotato di un quantitativo di schede in eccesso, per i casi di emergenza. Si devono aggiungere, quindi, altri 5 miliardi e mezzo. Le operazioni elettorali comportano di preparare i locali, allestire le cabine, portare le urne, procedere poi alla disinfestazione, una volta che le operazioni di voto siano finite: ciò in quanto per lo più si tratta di scuole, ove dopo le elezioni deve tornare la normale popolazione di allievi, docenti e personale vario. Le urne già esistono e sono in deposito: ma vanno trasportate in loco. Alcune vanno sostituite perché rotte. Presumo che si considererà prudenziale la cifra di L. 150.000 per ogni seggio elettorale per tutte queste operazioni. Ciò comporta altre 300 lire per elettore. In totale altri 12 miliardi. Vi è poi l'attività di sorveglianza, svolta da militari e forze di polizia, assegnati al seggio. Essi percepiscono indennità giornaliere variabili, in rapporto al grado, all'arma, alla distanza dalla caserma e dal corpo di appartenenza, al numero di pasti fuori caserma e agli spostamenti chilometrici. Credo che sia prudenziale calcolare L. 10 mila al giorno, per tre giorni, per tre persone di guardia più altre L. 10.000 per i controllori in trasferta, di tale servizio, per ogni seggio. In totale L. 100 mila per seggio che dà altre 200 lire per elettore, quindi altri 8 miliardi. Abbiamo poi le spese per trasporti ferroviari di elettori che hanno diritto a sconti e viaggi gratuiti, in quanto lontani dal luogo di votazione. Supponiamo che si tratti di 2 milioni di elettori, per ciascuno dei quali il costo vivo delle Ferrovie, per tali servizi addizionali gratuiti o sottocosto, sia solo di L. 10 mila ciascuno. Si tratta di altri 20 miliardi. Infine penso si possano ag- giungere spese varie per 7 mi liardi in relazione alle seguen ti voci: manifesti elettorali pub- blici entro i seggi, per esporre le leggi per cui si vota e le modalità del voto; bacheche pubbliche per le affissioni di manifesti dei partiti in relazione alle votazioni, negli appositi spazi urbani; trasporto delle schede al ministero dell'Interno; uso del calcolatore per il computo del risultato delle elezioni; orari straordinari di funzionari e forze pubbliche in relazione al voto; fonogrammi vari. Il totale a carico del contribuente, per questi referendum, se si accettano le stime di cui sopra, è di L. 94,5 miliardi. Ogni cittadino che ha firmato per chiedere questi referendum ha posto a carico della collettività, con la sua firma, un costo di quasi 200 mila lire. Mentre per gli altri referendum, questo «costo della democrazia» sfocia in una richiesta essenzialmente «politica», nel caso del referendum sul finanziamento pubblico dei partiti sfocia in una richiesta finanziaria, quella di abolire la spesa per i partiti, che è di 50 miliardi annui. Come può un cittadino che fa spendere allo Stato L. 200 mila per esercitare un diritto democratico, pretendere di togliere il finanziamento dell'attività democratica dei partiti? Seguendo la stessa logica, bisognerebbe dire: aboliamo questo finanziamento dei partiti; ma stabiliamo anche che ogni firma, posta sotto una richiesta di referendum, sia accompagnata da un versamento a mezzo vaglia o mediante banca (come si fa adesso per le imposte) di L. 200 mila. Chi ha firmato per questo referendum ha compiuto un atto romantico, ma assurdo. Chi votasse l'abrogazione di questa legge, dovrebbe chiedere anche il finanziamento privato (anziché pubblico) del referendum: e si dichiarerebbe, per ciò stesso, antidemocratico. Francesco Forte

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