Scacchiera di partite assurde di Alfredo Venturi

Scacchiera di partite assurde Scacchiera di partite assurde Adesso che l'ordine regna a Kolwezi, è venuto il momento di chiedersi di che razza di ordine si tratti. Intanto c'è da mettere a fuoco un primo elemento, finora rimasto un po' in ombra. La guerra dello Shaba non è una guerra separatista, ma il punto d'avvio di un'insurrezione che si propone di coinvolgere l'intero Zaire. L'obiettivo del Movimento di UberazUme nazionale congolese, come del resto è chiaro in questa stessa autodefinizione, non si limita a Lubumbashi, capitale provinciale dello Shaba, ma è centrato su Kinshasa, sede del potere zairese. Un potere che il generale Mobulu esercita con la collaudata tecnica del pugno di ferro sul grande Paese uscito diciott'anni fa, tra convulsioni sanguinose, dalla dominazione belga. Il fatto che il nerbo delle forze ribelli sia costituito da quegli stessi gendarmi katanghesi che, nei primi Anni Sessanta, si batterono agii ord: ni di Moise Ciombe per l'indipendenza della provincia, non muta la dimensione nazionale che il movimento ha voluto attribuirsi. Il latto che gli uomini dì M'Bumba già per la seconda volta abbiano attaccato qui — ciò che ha dato luogo all'equivoco della secessione — si spiega con una semplice occhiata atta carta geografica. Lo Shaba si incunea tra frontiere imiche, dal punto di vista degli oppo sitori di Mobutu: lo Zambia di Kenneth Kaunda, l'Angola di Agostinho Neto. Inoltre, controllare lo Shaba significa tenere il coltello economico dalla parte del manico. Infine, richiamati da ciò che qualcuno definì «scandalo geologico», lo Shaba ospita tecnici stranieri a migliaia: il che da un lato espone i ribelli, come s'è visto in questi giorni, ad una maggiore probabilità d'intervento straniero, ma dall'altro — e dev'essere proprio questa la scommessa perduta da M'Bumba — offre al movimento una base di negoziato. Gli europei e gli americani che vivono e lavorano laggiù sono infatti, da sempre, nella scomoda condizione di ostaggi naturali. All'inizio delle vicende di questi giorni, pare che il Mine abbia lanciato un preciso segnale ai governi occidentali: «Mettiamoci d'accordo e organizzeremo insieme la partenza di chi se ne vuole andare». Accogliere questo segnale avrebbe implicato il riconoscimento internazionale del movimento ribelle, e l'abbandono di un traballante Mobutu al suo destino. Questi deve avere avvertito il pericolo, perché il suo servizio d'informazioni sì è affrettato a giurare sulla presenza dei cubani a Kolwezi, mentre il sudafricano Vorster avvertiva il mondo che ci si trovava di fronte ad una nuova invasione «guidata dai marxisti». Ora, poiché l'Occidente è giustamente preoccupato dalla penetrazione sovietica in Africa e dagli ascari cubani che scorrazzano nel Continente, questo argomento è parso irresistibile, anche se gli americani hanno immediatamente manifestato i loro dubbi sul fatto che, nello Shaba, si parlasse spagnolo con accento cubano. C'è anche da considerare che, da qualche anno a questa parte, il Belgio è particolarmente sensibile alla fragilità dell'attuale regime zairese, che non è minacciato soltanto dall'Mlnc, ma anche da gruppi lumumbisti e nazionalisti. Nei circoli economici di Bruxelles si discute da tempo di un «dopo-Mobutu» prima o poi inevitabile, e del modo migliore di prepararsi a quel «dopo» per poter salvare investimenti che sfiorano il miliardo di dollari. Mentre il governo di Tindemans prendeva tempo, esaminando probabilmente la possibilità di trattare con i ribelli il salvataggio degli europei, Parigi imboccava decisamente la via dell'azione militare pura e semplice, lanciando i suoi legionari sulla città contesa. Del resto è facile intravedere, proprio nei commentì Alfredo Venturi (Continua a pagina 2 in quarta colonna)

Persone citate: Kenneth Kaunda, Moise, Neto, Shaba

Luoghi citati: Africa, Angola, Belgio, Bruxelles, Kinshasa, Parigi, Zaire, Zambia