Autodifesa al processo contro le Br Paroli e Semeria: un'ora di comizio di Clemente Granata

Autodifesa al processo contro le Br Paroli e Semeria: un'ora di comizio Trentaseiesima udienza nell'ex caserma Lamarmora Autodifesa al processo contro le Br Paroli e Semeria: un'ora di comizio Il primo: '11 proletariato è costretto ad andare a testa china, ad arrossire: ma sarete voi, giudici, fra poco ad arrossire" - Il secondo: "Gli unici che possono arrivare alla verità siamo noi" - I brigatisti tentano di interrogare il testimone Edgardo Sogno In Corte d'assise ieri alla 36» udienza del dibattito contro le Brigate rosse è nata una nuova forma di processo. Non si è trattato di un fatto improvviso. La gestazione, se cosi si può dire, durava dal 9 marzo, giorno della prima seduta nell'aula dell'ex caserma Lamarmora. Ieri se ne sono tratte soltanto le conseguenze con il brigatista Bassi (piglio da para) impegnato nel ruolo ài «inquisitore» di Edgardo Sogno, con il suo collega Semeria che ha discettato con aria sussiegosa per quasi un'ora sulla «ristrutturazione capitalistica» voluta da de e pel, con l'altro collega Paroli che per mezz'ora ha profuso le sue risorse in un incredibile discorso, che non si ascolta neppure più nelle osterie di campagna. Si domanderà: che cosa c'entrano gli Interventi di Bassi, Semeria e Paroli con il dibattimento? Forse qualcuno inorridirà in nome della lesa legalità e della giustizia calpestata. E diciamo che da un punto di vista astratto simili comportamenti e giudizi che 11 motivano sono tutt'altro che infondati. Ma se vogliamo rimanere ancorati al buon senso dobbiamo puntare gli occhi su questa realtà processuale, sulle circostanze (e quali drammatiche circostanze) che hanno accompagnato il suo sorgere e continuano ad accompagnare il suo evolversi, su questi Imputati cosi inquietanti. Sono discorsi già fatti, ma è opportuno ripeterli dopo i comizi di ieri e in vista di quelli che verranno. Gli imputati respingono accusatori, giudici e difensori. Ebbene, in casi slmili, l'unica soluzione logica (sempre che si voglia fare il processo e farlo con metodi garantisti) è lasciare gli imputati liberi di parlare quando lo chiedono con due soli limiti: no a oltraggi e apologie di reati (e ieri non ne sono stati commessi), esistenza di un minimo d'Interesse processuale (e ieri almeno all'inizio, benché ridotto a un'esile parvenza, quell'interesse c'era). Ma tutto ciò deve essere accompagnato dalla chiara consapevolezza che si è al confine del processo cosi com'è codificato o che addirittura si sta superando quel confine. Si possono adottare le definizioni che piacciono di più: diritto al dissenso da parte degli imputati, rifiuto del difensore coatto o più semplicemente autodifesa. Un fatto sembra certo: quei comportamenti non sono previsti m modo esplicito dalla legge e attendono semmai una sistemazione normativa visto che oltretutto essi rappresentano una possibile espansione dei diritti di libertà. Ammetterli sin d'ora può anche essere criticabile, ma rappresenta comunque un'estensione delle garanzie processuali e della democrazia (qualunque cosa in contrario pensino gli imputati). E costituisce anche l'unico mezzo per portare a termine il processo. L'« inquisizione » di Bassi, le « sortite » di Semeria e Paroli sono state causate ieri dalla presenza in aula come teste e parte lesa di Edgardo Sogno. Nel '74 il Centro di resistenza democratica (Crd) da lui presieduto fu saccheggiato dai brigatisti. Parte del materiale (tra cui una lettera indirizzata a Sogno dal magistrato Berla d'Argentine) fu trovata addosso a Curcio e Franceschlni il giorno dell'arresto (8 settembre 1974). Sogno fu già ascoltato dalla corte, ma i brigatisti avevano chiesto che fosse convocato di nuovo perché avevano domande da rivolgergli. Richiesta accolta con questa motivazione: le do¬ mande potevano servire a illustrare i « moventi » della condotta degl'Imputati, cioè la rapina al Crd, di cui essi devono rispondere. Sanno 1 brigatisti che l'argomento può essere suggestivo (Sogno è accusato di cospirazione politica, il cosiddetto « golpe bianco ») e che può contribuire a creare attorno a loro un alone di simpatia. Cosi Bassi incalza: « Quali erano i rapporti SognoBerta d'Argentine?». Sogno: «Non intendo avviare un dibattito politico con individui che ci aggrediscono con le armi e pretendono poi di essere ascoltati ». E mostra una lettera in cui illustra ampiamente i motivi del rifiuto. Il p.m. Moschella si oppone a che la lettera sia allegata agli atti. Richiesta accolta dalla corte, che dopo una riunione in camera di consiglio ripropone a Sogno la domanda di Bassi ricordando la precedente ordinanza (la domanda cioè può servire a spiegare i motivi della condotta degl'Imputati). Sogno: «Non entro in dialogo politico con quegli imputati ». C'è un po' di tensione. Presidente Barbaro: « Lei è ancora sotto giudizio per cospirazione politica? ». Sogno: « A Roma il p.m. ha chiesto U mio proscioglimento, deve ancora decidere il giudice istruttore ». Così essendo egli « sub iudice » non può essere interrogato come teste in un altro processo su tali argomenti. Bassi non demorde: « Quali erano i rapporti Sogno-Fumagalli?». Intervento del dott. Moschella, camera di consiglio: respinta anche questa domanda con una motivazione analoga alla precedente (« Sogno non può rispondere qui per fatti che possono coinvolgere la sua penale responsabilità »). Sogno è congedato. Ma ecco Semeria: « Lo sappiamo noi perché Sogno non risponde. Voi siete legati agli aspetti fenomenici, gli unici che possono arrivare alla verità siamo noi ». Non gli fa difetto la presunzione. E dopo l'attacco, Semeria si esibisce in un comizio di sessanta minuti il cui succo è questo: 11 progetto di ristrutturazione capitalistica prima affidato a Sogno ora è gestito da de e pei e da quegli stessi che nel '74 erano chiamati « fascisti ». Tra costoro — dice Semeria — c'è ancora Sogno: perciò egli non risponde. C'è silenzio nell'aula. Gli avvocati guardano attoniti, ad eccezione di Spazzali che lancia a Semeria occhiate piene d'orgoglio; Barbaro legge le carte processuali, Moschella è pensieroso, i cronisti prendono appunti. Finisce Semeria e si alza Paroli. Tracagnotto, accento da Bassa padana. Anche lui ha la sua « verità ». Dice a Barbaro: « Le vostre carrellate tecniche sono soltanto una finta, tutto qui è politica. Lei per esempio, presidente, vuole apparire buono e ha lo sguardo verso gli imputati, ma anche l'orecchio verso il p.m.; il cuore verso lo Stato e il pensiero verso la guerriglia esterna. E lo stesso il presidente "a lectore"... (si riferisce al giudice "a latere" Mitola, n.d.r.) e lo stesso la giuria che crede di fare il suo dovere e applicare la legge. Ma quale legge? ». E sbracciandosi, contorcendosi dice che la legalità della borghesia è lo sfruttamento e che giudici e avvocati « stanno lì dentro a ricoprire quel ruolo mentre il proletariato è costretto ad andare a testa china, a levarsi il cappello e ad arrossire ». « Ma ora basta — esclama — sarete voi ad arrossire ». E fissa Moschella, che scatta: « Io non ho nulla da arrossire ». Paroli: «Stai tranquillo, anche tu con il tuo librone dove ogni tanto tiri fuori un articolo e arresti uno ». Moschella: « E' ti codice. Presidente, gli tolga la parola ». Ma Paroli ha finito, il presidente legge il verbale di sequestro degli oggetti e documenti trovati addosso a Curcio e Franceschlni, i brigatisti presentano il loro sedicesimo comunicato (su Girotte), poi l'udienza è tolta. Clemente Granata

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