Quale sarà l'anima di Cannes '78? di Giovanni Arpino

Quale sarà l'anima di Cannes '78? UN FESTIVAL CHE COMPIE TRENTANNI E SE NE VANTA Quale sarà l'anima di Cannes '78? La celluloide sacrifica i suoi miti al nuovo potere, la televisione - Lo rappresentano ometti grigi, che passeggiano davanti a Carrier e bevono acqua minerale non gassata anziché fiumi di champagne - C'è qualcuno che rimpiange i personaggi d'un tempo DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE CANNES — Non piove, e per l'inaugurazione del trentunesimo Festival del Cinema è già un avvenimento eccezionale, un segno di alto auspicio. Non piove, e già alcuni volenterosi si tuffano nelle acque blu di Cannes, molte donzelle si denudano al sole, immancabili vecchietti si pavoneggiano in panni variopinti. Le vetrine della Croisette rigurgitano di merci inavvicinabili, dal gioiello di Cartier alla sottana di Hermes, che ormai costa come un'automobile. Trentamila professionisti del Pianeta Cinema stanno investendo Cannes per il Festival, dal palazzo ufficiale ai localini di Rue d'Antibes si consumerà la solita, mostruosa maratona di otto ore di film al giorno, cinquecento chilometri di pellicola, dove tutto è contenuto, l'ultimo Frankenstein di marca scandinava, il porno coreano, gli insetti giganti giapponesi, gli umanoidi tedeschi o canadesi, le contadinerie australiane. Bisogna cercare T'ianima» di questo Festival, che compie i trentun anni e se ne vanta. Ormai rappresenta uno spettacolo che è superato solo dalle Olimpiadi e dai Campionati mondiali di calcio, è frequentato da millecinquecento giornalisti, da ogni sorta di produttori, registi, attori, larve di divi rimasti in vita, maneggioni, politici, uomini dal libretto d'assegni cospicuo e furbastri senza un soldo in saccoccia, ma carichi di idee variamente collocabili. Dopo aver codificato l'erotismo, la violenza americana ed europea, il nuovo romanticismo in technicolor, il diabolismo, il catastrofismo, dopo avere sfoderato nuovi gorilla e antichi Tarzan, accoppiamenti singolari, «revi- vai» intinti in tante salse nostalgiche, quale sarà dunque l'«anima» del Festival 1978? Difficile tracciarne una carta d'identità. Ufficialmente, la critica che fa da corona alle scelte (e che protegge le sorti del mercato) assicura: si troverà la qualità attraverso la quantità; ma le cifre indicano che la produzione mondiale è in diminuzione, che questa supposta qualità è un frutto magico, rarissimo, per non dir casuale. E, tuttavia, anche a questo Festival, che ha qualche ruga ma sa resistere molto bene al dileggio e alla satira, verrà trovata — di forza — l'«anima» indispensabile. Per conto nostro, ne abbiamo intravisto il fantasma, se non andiamo errati. E questo fantasma è rappresentato da ometti grigi, seri, squallidini, che non ricordano neppur da lontano i chiassosi e indollarati produttori d'un tempo o tanto meno i divi dell'età d'oro cinematografica. Questi ometti, che passeggiano davanti a Cartier e bevono acqua minerale non gasata anziché fiumi di champagne, sono i funzionari televisivi. Singolarmente poveri, ma rappre- sentanti di un nuovo Potere a cui la celluloide sacrifica i suoi miti. Addio, o donne fatali, addio omoni dal sigaro pestilenziale e dal portafogli di misura hollywoodiana, addio «mostri sacri» del grande schermo. Solerti manager in giacchetta a tre bottoni e cravatta di serie dominano ormai il Barnum. Sono loro a produrre, vendere, sovvenzionare progetti e registi, sono loro a inventare le intime ricette possibili per un film, si tratti d'una pellicola italiana o francese o tedesca. Certo, resiste qualche americano, sull'onda di un «nuovo realismo» narrativo e commerciale, ma quasi non riesce a liberarsi, qui a Cannes, e per le due settimane del Festival, tra i tanti nanetti che lo assediano, gli levano il fiato, gli rubano spazio. Così, nelle «hall» dei grandi alberghi, dal Majestic al Martinez (occupato, come sempre, dagli italiani), nelle verande dei piccoli caffè, la fisionomia della rassegna offre tratti singolari. Qualcuno dice: più umani, più veri, più professionali. Perché il cinema torna in mano a chi se ne intende, sfuggendo ai sogni ingordi, alla spudoratezza manageriale e alla cartapesta della fiaba che lo caratterizzarono fino a ieri l'altro. Sarà. Certo, c'è quasi da rimpiangere il fracasso, la millanteria, il senso d'avventura che starnazzavano nel vecchio mondo della macchina da presa. Oggi, questo mondo, nei suoi prodotti, finisce con il sembrare arido, osa autocitarsi come nessun altro genere d'arte (o presunta tale) fa, spinge al limite della noia più profonda e più imposta la sua ricerca. Ermanno Olmi presenterà il suo film parlato per tre ore e mezzo in dialetto bergamasco (qualcuno dice: ma perché non lo facciamo tradurre da Gimondi il ciclista?), altri minacciano i nervi dei critici e degli spettatori volenterosi con proiezioni fluviali, dalle tre alle quattro ore, che le televisioni spezzetteranno ma che il grande schermo deve far dilagare fino alla nausea collettiva. Ma Cannes continua ad attendere i personaggi che ancora possiedono un minimo di fascino: da Louis Malie ai Fonda padre e figlia ad Ariane Mnouchkine (anche il suo Molière è un esame che non finisce mai, che consuma gli orologi), dal vecchio e glorioso Billy Wilder a Robert Mitchum, il quale non c'entra per nulla, ma sta girando la Francia per reclamizzare Il grande sonno, suo cavallo di battaglia chandleriano, e a Cannes sperano di trascinarlo sulla terrazza d'un grande albergo rer vederlo bere e rilasciare interviste come sempre godibilissime e confortate dalla massima gradazione alcoolica. Nell'ultima, uscita su un giornale parigino, ha detto: «Non vado mai al cinema. E' talmente noioso. Del resto, il cinema d'oggi si prende troppo sul serio, da quando vive di nevrosi e ha assunto schiere di psichiatri. No, non vado più a cavallo nei western, sono stufo di scassarmi il didietro. E poi, adesso si fa solo dell'intellettualismo, in cinema. Se ricordo un mio film? Solo quello che mi portò in tasca per la prima volta centomila dollari. Sono un monumento? Mah. Chiedete alla Torre Eiffel come si sente un monumento, non a me». Naturalmente si parla di crisi, di mancanza di denaro, di assenza di fantasia. I critici assicurano che il film è ancora vivo, i produttori respingono progetti su prò getti, le banche finanziano con il contagocce, le autentiche invenzioni — quelle che aprono il «filone aureo» — sembrano esaurite. Si attende il Pretty Baby di Louis Malie, ma solo perone for nirà ulteriori pretesti ad en¬ nesimi e naturalmente turpi «bamboleggiamenti». Il film di Malie si svolge, infatti, in un bordello della >'ecchia New Orleans, l'interprete è una bambina di dodici anni, già solennizzata quale udiva». Assicura con tristezza un celebre barman di Cannes (è di quelli che ricordano i gusti di ogni cliente, e tratta dall'alto in basso, con un garbo ironico inappuntabile, anche le poche teste coronate rimaste), al pensiero di queste mode: «Verrà il giorno in cui negli hotel dovremo mettere culle, invece di letti normali. Preferivo i maniaci di Brigitte Bardot: uno, ad esempio, che, possedendo una fattoria, entrò qui dentro con una muccu per regalarla all'attrice. Quelli erano tempi». Già. Oggi è tutto più stinto. Forse più rigidamente professionale e funzionale, più serio e adatto ai cinefili, ai «fans» che ricordano quanti capelli aveva in testa l'ultima comparsa del famoso capolavoro del regista Tal dei Tali, però lo smalto sem¬ bra definitivamente perduto, e così quella facile follia che consegnava alle genti un sogno, un modello. Oggi si rimproverano gli italiani, amatissimi fornitori di film. Perché siete così tristemente politici?, suona l'accusa. E non si può rispondere facilmente: come spiegare ad un interlocutore straniero le nostre diverse epidemie politiche, il nostro inzuppare quotidiano negli intingoli di tanti ideologismi d'accatto? Ecco, dunque, un primo ritratto di Cannes e del suo Festival. Forse non accadrà nulla di stupefacente, ma non mancheranno i pettegolezzi. Si parla ancora, qui, ad esempio, di Sophia Loren, che l'anno scorso rispondeva al telefono della sua camera d'albergo e fingeva una voce di timbro portoghese, per farsi credere la cameriera di se stessa. Si ricorda ancora quell'attore italiano che mimò il suicidio, al «Martinez», inghiottendo due aspirine e un whisky. Poi telefonò a Roma, per spargere la voce, ma il giorno dopo partì, scandalizzato dal fatto che il direttore dell'albergo non avesse dato la notizia alla stampa. Frivolezze. Ma speriamo che il «mondo separato» della' Croisette ne fornisca ancora per la consolazione dei nostri giorni illividiti. Intanto, chi ama davvero il Cinema ricorda un personaggio autentico, ormai al margine degli interessi: si tratta di Arletty, la «diva» degli Anni Trenta, la donnina dalle calze nere e dalla «gauloise» spartita con Gabin in qualche povera cameretta d'albergo. Vive in miseria, proprio oggi compie ottant'anni. Ma il mistero più grande è ancora un altro: il cinema che continua, Cannes che raggiunge il suo trentunesimo anniversario, non possono dimenticare il cadavere di un loro padre fondatore scomparso dalla tomba, e di cui nessuno sa risolvere il mistero. Il cadavere di Charlot, intendiamo dire: quella tomba vuota non suggerisce nulla a chi ha cura dei simboli? Giovanni Arpino (A pag. 7: Cannes batte bandiera americana, di Sandro Casazza) Cannes. Keith Carradine e Brooke Shields, in una scena Pretty Baby", del regista Louis (G. Neri)