Siamo al secondo ciclo minacciato dalle Br? di Fabrizio Carbone

Siamo al secondo ciclo minacciato dalle Br? Siamo al secondo ciclo minacciato dalle Br? Quando i brigatisti recapitarono a Genova, Milano, Torino e Roma il comunicato numero 4, inserirono nel messaggio una lettera che avevano fatto scrivere a Aldo Moro. Era martedì 4 aprile. Rivolgendosi a Zaccagnini lo statista assassinato diceva (è chiaro che i terroristi approvavano): «Poi comincerà un altro ciclo più terribile e parimenti senza sbocco». Voleva essere l'avvertimento a questi giorni che stiamo vivendo, dopo la morte del presidente della de, scanditi al ritmo di un attentato a colpi di pistola al giorno? Gli esperti di terrorismo si interrogano su cosa succederà ora; gli investigatori prevedono nuove mosse e nuovi colpi delle Br; politici e sindacalisti dicono che la lotta sarà lunga, che ci saranno altre vittime. Ventìquattr'ore dopo il ritrovamento della Renault rossa in via Caetani, chi nascondeva il corpo sen¬ za vita di Moro, a Milano V «Organizzazione comunista combattente - Prima linea» tendeva un agguato a Franco Giacomazzi, funzionario della «Montedison». Ieri, sempre a Milano, colpi di pistola contro Marzio Astarita dirigente della «Chemical Bank», anch'essi rivendicati da «Prima linea». Nel linguaggio dei volantini vengono riprese frasi e «concetti» dell'ideologia sanguinaria dei brigatisti. Ma le Br non sono uscite allo scoperto. La logica vuole che, condotta a termine con l'ultimo agghiacciante assassinio la vicenda del rapimento di Aldo Moro, le «colonne» che hanno eseguito l'operazione siano in fase di «sganciamento»: chiusura dei «canali», «pulizia» di eventuali basi fino al 9 maggio «sicure», allontanamento dei postini. Nel frattempo le Br sembrano aver passato ad altre «organizzazioni combattenti» il compito di muoversi, dimostrando così che il «progetto» di unificazione nel «partito armato» è in atto. Dovremo abituarci a vivere col terrorismo, finché questo non verrà sconfitto? Mercoledì a Roma i leaders sindacali hanno gridato alla folla che non deve essere così. E credo nessuno possa dissentire. Ma l'ipotesi degli specialisti è che i nuclei Br fi Nap sono ormai confluiti, altre sigle si sono schierate d'appoggio) si faranno vivi presto. Riprenderanno a sparare alle gambe o ad uccidere per strada come hanno fatto dal '76 in poi? Il timore è che, una volta alzato il tiro e il livello con il massacro di via Fani e il sequestro di Aldo Moro, i terroristi d'ora in avanti tenteranno di colpire al «cuore dello Stato», lasciando alla «truppa» che opera con sigle diverse e che potrebbe identificarsi nel «Mrpo» (Movimento di resistenza proletario offensivo), il lavoro di routine. Durante i cinquantaquattro giorni del tentato e fallito ricatto al Paese (per provarci hanno dovuto uccidere Moro e i cinque agenti della scorta) le Br hanno fatto recapitare nove comunicati (il settimo «bis» del lago della Duchessa lo hanno definito falso e non opera loro). Ad eccezione del primo, lasciato a II Messaggero tutti gli altri sono stati fatti ritrovare anche a Milano, Genova e Torino (e nella stessa città in più di un luogo). Così si arriva a fare i conti. Tre o quattro basi romane e poi almeno un paio nelle altre tre città. Dieci rifugi dunque, preparati da tempo, affittati da gente del tipo «signor Borghi», il brigatista non identificato che da un paio d'anni abitava in via Gradali, base scoperta poi per caso dalla Digos. Ma nelle otto settimane del caso Moro le Br hanno continuato a sparare e a uccidere a Roma, come a Milano, Torino e Genova. Queste aggressioni terroristiche sganciate dal rapimento Moro erano opera delle stesse «colonne» impegnate nella operazione base? L'opinione degli esperti è sì. Infatti mai quando erano i giorni del recapito della posta ci sono stati gli altri attentati. Le Br, dunque, volevano dimostrare che, ai loro appelli per «disarticolare» la de e lo Stato («imperialista delle multinazionali», come lo chiamano), rispondevano cellule autonome iniziando la «guerra di classe» da loro predicata. Ora il risultato dei 54 giorni di «battaglia» lo si può ridurre in poche cifre. Le Br hanno ucciso 8 cittadini italiani (Aldo Moro, la sua scorta e due agenti delle forze dell'ordine). Lo Stato ha in mano Cristoforo Piancone, rimasto ferito a Torino. E' stata scoperta una base Br a Roma, collegata all'operazione Moro; un'altra ieri a Torino (l'abitazione del Piancone); si sospetta di altri «covi». Poi c'è stata un'operazione a Licola (Campania) con gli arresti di un nucleo di «Prima linea». La magistratura ha un'idea di come sia organizzato il terrorismo nel Sud per mano dei Nat (Nuclei armati territoriali). Ci sono presunti brigatisti ricercati con mandato di cattura ma non hanno avuto esito e sono state criticate le due operazioni di rastrellamento a Roma. Episodi gravi sono avvenuti a Bologna dove, dopo fallite rapine, si sono scoperte cellule eversive a cui aderivano esponenti dell'estrema sinistra locale. L'opinione pubblica si chiede se sia possibile un bilancio così povero di risultati positivi da parte di chi deve garantire l'incolumità dei cittadini e la difesa dello Stato. Si è parlato di «santuari» e di coperture. Sì è fatta autocritica; il ministro dell'Interno si è dimesso. Dal giorno 16 marzo alla mattina del 9 maggio magistratura e forze di polizia sono sembrate impotenti a scovare e prendere, con una mobilitazione eccezionale e un lavoro disumano di decine e decine di migliaia di agenti, quei terroristi che — sganciati e isolati dalla quasi totalità del Paese — non dovrebbero essere più di 600, duemila secondo gli esperti del pei. La lezione per tutti — restano i morti ad ammonirci — è stata dura. Il terrorista è realmente un pesce fuor d'acqua? Gli investigatori sono sicuri di aver valutato a pieno la forza eversiva che si è scatenata contro il Paese? I responsabili del funzionamento della polizia, dei carabinieri e della Guardia di finanza e dell'esercito (che è pure intervenuto d'appoggio nelle ore dell'emergenza) sono a conoscenza delle disfunzioni interne ai loro organismi? La lezione può e deve servire perché il terrorismo non è un fantasma ma una realtà, destinata ad essere perdente in un Paese democratico. Fabrizio Carbone