Sul «tavolo» dell'aborto sette storie allucinanti

Sul «tavolo» dell'aborto sette storie allucinanti Napoli: testimonianze di interventi clandestini Sul «tavolo» dell'aborto sette storie allucinanti Giovanissime alla prima esperienza nello studio di un ginecologo o nella casa di una "mammana" - Adesso le donne si presentano spontaneamente decise ad esigere che la legge sia rispettata; che l'incubo dell'aborto non sia più aggravato dalla clandestinità DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE NAPOLI — La città, d'improvviso, riflette sulla clandestinità e per l'aborto arriva, da Napoli, un dato nuovo: qui l'interruzione della gravidanza non è nascosta; qui, dove più alto è il bisogno, l'aborto è vissuto come una piaga antica che esige risposte collettive, di soccorso e d'aiuto. Nel capoluogo del sottosviluppo meridionale una coscienza nuova s'afferma e la città partenopea si mobilita perché la legge in discussione al Senato abbia un'applicabilità effettiva, nelle strutture pubbliche, negli ospedali, contro l'obiezione diffusa che la classe medica annuncia in queste ore. Sorgono gruppi spontanei, le donne si mobilitano e sull'aborto domandano l'applicazione della disciplina che in Italia lo legalizza. Cadono timori e remore del passato e l'ospedale, sostituito allo studio nascosto del ginecologo o al tavolo di una «mammana», adesso appare la fine di un incubo. Assicurano che le donne si presenteranno nelle strutture sanitarie senza remore, senza pregiudizi, decise ad esigere che la legge sia rispettata, che l'incubo dell'aborto non sia aggravato dalla clandestinità. Nella sua casa di piazzetta Aniello Falcone, Libera Cerchia, responsabile dell'Udì, traccia della città una mappa nuova. Racconta di un tavolino sistemato, la settimana passata, in uno dei rioni più popolari della città: la Stella, in una giornata di mercato, nell'oleografia di sempre, con i venditori di musicassette contraffatte e le bancarelle cariche di cianfrusaglie. Libera Cerchia si è presentata in piazza con un grande papiro. Con un megafono ha chiamato le donne. Si sono avvicinate, hanno raccontato, senza indulgenze, le proprie storie. Ecco alcune testimonianze, raccolte in strada. Le trascriviamo come le donne hanno voluto raccontarle. In tutto, sfogliando il papiro, emergono alcuni dati: la necessità di dire basta alla clandestinità, l'età giovanissima della prima esperienza nello studio di un ginecologo o nella casa di una «mammana», la decisione di fare della legge un punto di forza per le donne costrette all'interruzione della gravidanza. PRIMA STORIA — «Io il mio primo aborto l'ho fatto a 13 anni. Mi ha portato mia mamma dall'ostetrica. Mio padre non ne sapeva niente. Con lui io e mia madre abbiamo taciuto: forse, a mettermi incinta, era stato il fratello di mio padre, mio zio. Mi hanno messo la sonda, mi hanno dato alcune pillole. Sono stata così male che per due settimane non sono andata a scuola e ho ripetuto la seconda media. L'anno dopo mi sono trovata un posto da commessa. A 17 anni mi sono dovuta sposare perché ero incinta di nuovo. Il bambino è nato sano e intelligente. Ora ho 21 anni: non ho voluto altri figli e per questo ho fatto quattro aborti: uno all'anno. In questi giorni una mia amica mi ha dato le pillole che prende lei. Mio marito non lo sa: forse sospetta qualcosa perché sono molto ingrassata e ho sempre mal di testa. Mi hanno detto che c'è un consultorio privato nel rione di Ponticelli, ma è lontano. Di qua, con il traffico ci vogliono tre ore per raggiungerlo e io non posso lasciare mio figlio». SECONDA STORIA — «Mi fece abortire mia madre, tenevo 16 anni e mi volevano dare ad uno che mi piaceva. Io ero incinta, ma di un altro che aveva la mia età: poi si è imbarcato. Non mi sono più. voluta sposare. Per due anni ho avuto l'esaurimento nervoso, avevo paura degli uomini perché quando sono rimasta incinta ero ancora vergine». TERZA STORIA — «Io, per causa di un aborto, non ho potuto fare altri figli: mi venne un'infezione e all'ospedale mi tolsero tutto. Mi volevano denunciare: il mio ragazzo diede 300 mila lire all'infermiera per levare il fatto di mezzo. Ci siamo sposati dopo due anni, ma mio marito ha fatto i figli con un'altra». QUARTA STORIA — «La prima volta che sono andata dal ginecologo ero incinta, ma vergine. Non sapevo niente di una visita, ma mi fu imposta dai futuri suoceri e dai miei genitori per verificare la verginità. Mio marito non si oppose. Un'esperienza umiliante, con il medico che mi trattava da donnaccia di strada. Ebbi la risposta: vergine, ma incinta. Portai avanti la gravidanza in casa dei suoceri. Mi facevano soltanto mangiare, dalla mattina alla sera. Al momento di partorire, ruppi le acque a casa. Al San Gennaro dei Poveri mi lasciarono nel letto a gridare. Era notte, se ne andarono a dormire. Un'iniezione mi calmò. La mattina alle 7,30, ebbi una bambina: pesava 5 citili e 200 grammi, ma era morta. Io avevo 16 anni ed ero molto minuta. Per la seconda gravidanza ho fatto il raschiamento. Adesso prendo la pillola, a testa mia, da quasi tre anni». QUINTA STORIA — «Dopo un primo parto che mi ha costretta a letto per sei mesi, sono rimasta incinta di nuovo: l'aborto mi è costato 250 mila lire. E' il momento di dire basta, di presentarsi in ospedale, di smetterla di fare collette nel quartiere per levare il fatto di mezzo ». SESTA STORIA — «Avevo 21 anni, allora, e già due bambini. Mio marito non voleva che abortissi, ma io non ce la facevo a mandare avanti un'altra gravidanza. Un'amica mi consigliò di andare da un'ostetrica che l'aveva aiutata in precedenza. Non pensai di consultare un ginecologo. Volevo liberarmi al più presto della cosa e poi, quell'ostetrica, sarebbe venuta direttamente a casa mia. Il giorno che mi inserì la sonda, non sentii alcun disturbo: sbrigai le faccende di casa, accompagnai i bambini a scuola, preparai il pranzo. La sera lei ritornò e mi tolse la sonda: non successe nulla. Sicura di sé, mi disse di attendere perché avrei abortito durante la notte. «Dopo circa cinque ore sopraggiunse l'emorragia. Avevo dolori tremendi alla schiena e al basso ventre: mio marito capì e avemmo un'aspra discussione. Quella notte fu un inferno: sangue a fiumi e dolori che si facevano sempre più lancinanti. Di prima mattina mandai a chiamare l'ostetrica. Dopo un sommario esame, ma senza visitarmi, mi assicurò che avevo abortito e che i dolori provenivano da qualcosa che si era appoggiato — a suo giudizio — sulla milza. Non riesco a spiegare con parole appropriate le sofferenze. L'emorragia e i dolori durarono più di una settimana. Poi, un medico amico di mio marito mi consigliò il ricovero. Ero uno straccio, mi si erano ingiallite le unghie, avevo la febbre. Al primo policlinico, ai medici che mi visitarono, dissi che ero caduta dalle scale: mi diagnosticarono aborto putrefatto. Dopo il raschiamento, la febbre rimase stazionaria a 40 gradi per una settimana circa. Nel giro di 15 giorni avevo perso quasi 12 chili di peso. Oggi non ripeterei lo sbaglio di affidarmi ad una praticona. Preferisco prevenire il rischio di una gravidanza usando la pillola». SETTIMA STORIA — «Ho abortito tre volte: la prima mi capitò circa due anni fa, a 19 anni. Allora non sapevo niente del metodo Karmann. L'unica soluzione, mi fu detto, era rivolgersi ad un ginecologo molto noto, studio sul lungomare, che poteva aiutarmi ad un prezzo "equo", circa 350 mila lire. In quel periodo era incinta anche mia sorella, 16 anni, alla prima esperienza sessuale. Ci presentammo in quest'ambulatorio attrezzato come una vera clinica e dopo una lunga attesa chiuse a chiave in una stanzetta, fummo visitate. La prima doman¬ da del dottore: "Chi è la vittima? ". Mia sorella piangeva come una fontana. Quando seppe che doveva intervenire su entrambe, il medico ci assicurò che avrebbe fatto uno sconto: mezzo milione per tutt'e due. Andò per prima mia sorella, accompagnata dal suo ragazzo. Io quel giorno ero impegnata con un esame. I ricordi di mia sorella sono da incubo: mi disse che il dottore, rimasto solo con lei, si comportò in modo vergognoso. Con me questo non successe: I "complimenti" che egli mi rivolse furono di diversa natura: mi chiese se sapevo chi era il padre: "Ma forse non puoi saperlo, vero? Tanto andate a letto con tutti". Mentre mi anestetizzava, 10 vomitavo e mi lamentavo. 11 dolore del raschiamento fu atroce, ero completamente sveglia e mi sentivo strappare l'anima: il sedativo non aveva avuto effetto. Dopo più di un'ora fui riportata fuori, nella stanzetta dov'erano gli amici che mi avevano accompagnata ». Questi racconti, e altri ancora, sono stati raccolti al quartiere Stella, dove l'aborto appare generalizzato. Libera Cerchia non ha dubbi: «La nuova legge — dice — non è quanto di meglio si poteva avere, ma adesso diventa operante e, pur nei suoi limiti, va usata, senza remore, senza timore perché queste storie non debbano ripetersi, a Napoli, nel resto del Paese».

Persone citate: Libera Cerchia, Ponticelli

Luoghi citati: Italia, Napoli