Il segno negativo di Helsinki di Fabio Galvano

Il segno negativo di Helsinki DISSENSO A TORINO: LA LOTTA PER I DIRITTI UMANI IN URSS Il segno negativo di Helsinki TORINO — Helsinki fu la tenue luce della speranza, oscurata poi dai fatti; a Belgrado il mondo del dissenso è ricaduto nel buio più cupo. A questa tesi, forse troppo categorica ma di indubbia «presa» sull'opinione pubblica, si aggrappano nella loro continua ricerca di solidarietà i dissidenti sovietici e dell'Est europeo in questi giorni a Torino nel quadro delle manifestazioni organizzate dalla Gazzetta del Popolo in collaborazione con la Biennale di Venezia. La lotta per i diritti umani in Urss dopo Helsinki e Belgrado è stata, di fatto, il tema di una tavola rotonda svoltasi mercoledì sera: s'è trattato, in pratica, d'una denuncia unicorde, né d'altra parte ci si poteva attendere altro da un gruppo di esuli, affiancati da alcuni studiosi occidentali, che ha in questo argomento il fulcro della sua polemica antisovietica. Come già s'era avuto modo di notare in precedenti occasioni, l'intervento più vivace, anche più appassionato, è stato quello di Vladimir Bukovsky, il quale ha sottolineato il diretto rapporto fra l'atteggiamento dell'Occidente e la repressione in Urss: «A ogni cedimento occidentale nei rapporti con l'Urss, egli sostiene, ha fatto seguito un irrigidimento sovietico nei nostri confronti». In base a questo metro non esita a definire «non positivi» gli accordi di Helsinki («Ci fu un giro di vite nelle prigioni») e ancor meno quelli di Belgrado («Ora sono libero, ma chi è in carcere ne sentirà le conseguenze»). Molto più utili di quelle conferenze sono state, secondo Bukovsky, le pressioni della comunità psichiatrica internazionale sui colleghi sovietici. Oggi, afferma, alcuni psichiatri rifiutano di avallare o addirittura denunciano l'uso degli ospedali per punire i dissidenti, tant'è che non vengono più internati quelli conosciuti in Occidente e per i quali è possibile una protesta internazionale. Clayton Yeo, un canadese che lavora al segretariato di Amnesty International a Londra come «ricercatore» sulPUrss (è autore del rapporto di Amnesty Prigionieri di coscienza in Urss), riafferma che l'eco di Helsinki si è rapidamente spenta, che dalla firma di quegli accordi ad oggi almeno 150 dissidenti sono stati incarcerati o mandati in esilio, che 60 di quelli processati hanno trovato la via degli ospedali psichiatrici. «La nuova Costituzione sovietica, che sostituisce quella staliniana del '36, sostiene, perpetua le vecchie istituzioni in tema di diritti civili. Le autorità, nonostante Helsinki, mantengono le restrizioni di sempre». E', a suo avviso, una mancanza di sensibilità, la precisa volontà di riaffermare la validità giuridica di certe leggi messe moralmente al bando dal «terzo cesto» di Helsinki, quello che si riferisce appunto ai diritti civili. «Le leggi sovietiche, dice, consentono interpretazioni molto late della cosiddetta "propaganda antiscvietica", e le autorità dell'Urss le applicano ancora, nella convinzione che si debba esigere un certo rigido livello di comportamento da parte dei cittadini». A ima recrudescenza della repressione nel dopo-Belgrado accenna Piero Sinatti, esperto dell'Est europeo. «Belgrado, dice, ha impedito ai sovietici fatti clamorosi. Ma subito dopo la firma dell'accordo si sono avute le severe condanne in Ucraina, la privazione della cittadinanza di Grigorenko. Sullo sfondo del cedimento occidentale a Belgrado si collocano i processi a Sciaransky, Ginzburg e Orlov». Anche Cornelia Gerstenmaier, studiosa e scrittrice tedesca, direttrice della casa editrice Kontinent e redattrice della edizione tedesca di quella rivista, vede nei rapporti fra Est e Ovest la «chiave» per la sopravvivenza del dissenso; in particolare afferma che «un atteggiamento saldo nei confronti dell'Urss è l'unica possibile politica dell'Occidente, che altrimenti corre il perìcolo di perdere credibilità morale e politica». Il dopo-Helsinki e il dopo- Belgrado lasciano la bocca amara al dissenso sovietico: i nomi più celebri dell'Urss che contesta il regime reagiscono come possono. Ludmilla Alexeva, storica, licenziata nel '68 dalla casa editrice Nauca di Mosca per avere difeso Ginzburg, fondatrice con Yuri Orlov del «Gruppo di intervento per l'attuazione degli accordi di Helsinki», oggi in esilio in Occidente, traccia passionalmente la crescita di quel «gruppo», la sua propagazione periferica, la crescita analoga di altri gruppi «fiancheggiatori», la partecipazione di persone che «avevano già combattuto la paura e lottavano perché queste ingiustizie fossero conosciute nel mondo», lo sforzo comune verso Belgrado «a cui è seguita la risposta tradizionale della repressione, con l'arreto di 14 dei 33 componenti del gruppo, l'esilio per altri tre, tutti immediatamente sostituiti e anch'essi in parte arrestati». Eelgrado, a suo avviso, ha permesso di dimostrare come l'Urss trascuri totalmente la questione dei diritti umani: «Questa, dice, è una lotta per la nostra ma anche per la vostra libertà». Lo slogan dei polacchi impegnati il secolo scorso contro il dominio russo trova nuova vita nella dissidenza sovietica d'oggi, soprattutto in riferimento alle etnie che compongono l'Urss e che, come afferma il generale Peti Grigorenko (partito ieri per Bonn dove partecipa a una «contro-accoglienza» per Breznev), vengono sopraffatte dal processo di «russificazione», mediante massicce emigrazioni che «fanno comprendere alle popolazioni sovietiche la necessità di lottare as¬ sieme contro il nemico comune». L'appello è raccolto: Ennio De Giorgi, professore di matematica alla Scuola normale superiore di Pisa, consigliere della sezione italiana di Amnesty International e membro del Comitato francese dei Matematici in difesa di Leonid Plijusc, lancia un appello affinché anche il governo italiano si interessi della sorte di Gluksman, di Kovaliov, di Orlov; personaggi come Tatiana Chodorovic (licenziata nel '71 dall'Accademia delle Scienze per avere sottoscritto un documento inviato all'Onu, responsabile della rivista Cronaca degli avvenimenti correnti, e del fondo Solzenicjn per l'aiuto alle famiglie dei detenuti politici dopo l'arresto di Ginzburg, espulsa dallTJrss nel novembre 1975) ricordano l'attività delle pubblicazioni clandestine nella «lotta contro il regime»; altri come il fisico Valentin Turcin sottolineano le speranze di Helsinki e la delusione di Belgrado. «Dopo due anni, dice Turcin, non è cambiato niente in Urss, che continua a trasgredire agli accordi». L'Occidente, afferma, ha taciuto, ha sottoscritto un accordo che nulla aveva a che vedere con i diritti umani. Belgrado è stata, secondo il fondatore della sezione sovietica di Amnesty International, «una tragedia come la Monaco di quarant'anni fa». Fabio Galvano Vladimir Bukovsky