La qualità della vita di Natalia Ginzburg

La qualità della vita La qualità della vita Esistono due maniere di guardare il mondo, una maniera politica e una maniera non politica. Io non penso che una sia migliore dell'altra, penso che siano entrambe legittime, purché usate con onestà. I politici vedono, in ogni fatto pubblico, le origini, le ragioni e il fine, i non politici non vi vedono nulla, hanno delle sensazioni e le inseguono. Penso che in un giusto Stato, i politici e i non politici dovrebbero vivere mescolati insieme, completandosi vicendevolmente, e dovrebbero poter parlare il medesimo linguaggio. Accade invece che il linguaggio dei politici, alle orecchie dei non politici suoni quasi sempre incomprensibile. Poiché il mondo oggi è fortemente politicizzato, i non politici sono una sparuta minoranza. Vorrei dire ciò che oggi alcuni di essi provano, essendo io fra loro. I non politici hanno orrore delle Brigate rosse, delle P. 38, del sangue, della violenza civile. Nelle Brigate rosse, gli fa orrore non soltanto il fatto che spargono sangue, ma anche il fatto che seguono un percorso di trame nascoste, invisibili e sotterranee. Gli sembra che da un simile fitto e complesso intrico di trame salga un odore immondo e funerario, che ricorda le Esse Esse, i campi di sterminio nazisti e le stragi degli ebrei. Nelle Brigate rosse, essi sentono la presenza non di una volontà devastatrice allucinala e disperata, ma di una volontà devastatrice calma, lucida, posata, seduta a un tavolo, lucidamente e pacatamente determinata a degradare e umiliare, negli uomini, la qualità della vita. Necessario è non lasciarsi ingannare dalla parola « rosso », perché il loro colore è in verità il nero. Essi, i non politici, come anche certo alcuni fra i politici, pensano che vi sia un solo e unico modo di far fronte alle Brigate rosse, cercare di mantenere alta e viva nell'animo, finché sia possibile e per quanto ciò sia possibile, la qualità della vita. Degradare e umiliare la qualità della vita, significa spogliare di ogni reale valore e pregio sia la vita, sia la morte. Significa rivolgere alla vita delle richieste minime e miserabili, e rivolgere alla morte uno sguardo spento e vuoto. Senza luce e senza gloria le richieste indirizzate alla vita, senza luce e senza gloria lo sguardo indirizzato alla morte. Significa ritenere che alcuni beni umani, come la rettitudine, l'onestà, la misericordia, il coraggio, la fedeltà al proprio simile, la fedeltà alla propria parola e al proprio pensiero, debbano essere cancellati dalla terra e non ne rimanga memoria. Nello scenario uniforme e deserto che si offre oggi ai nostri occhi, nulla riusciamo a scorgere se non rottami e rifiuti. Ciò che più ci colpisce, in un simile scenario, non è il gelo o la desolazione, ma una sterminata, arida, monotona, uniforme assenza di gloria. Tale assenza di gloria proviene dall'assenza di un'idea che conduca in direzione del futuro. Le numerose lettere che scrive Aldo Moro dal fondo del suo carcere ci ispirano gran pietà. Una tale pietà è però anch'essa opaca, spenta e deserta come il suolo che si stende davanti a noi. Non sappiamo e non siamo in grado d'immaginare in quali condizioni siano scritte, e tutto quello che sappiamo è che lo scenario intorno a noi è abbietto e miserabile, ciò che di più abbietto e miserabile i nostri occhi abbiano mai visto. I non politici, riguardo all'appello del Papa per Aldo Moro, pensano che sia stato un giusto appello, e non trovano affatto strano che si sia messo in ginocchio, perché un papa è giusto che si metta in ginocchio, e anzi questa è in un papa un'attitudine naturale. Si chiedono però perché non si sia messo in ginocchio per la povera Cristina Mazzotti, in quell'orrenda estate in cui non se ne sapeva più nulla, o perché non si metta in ginocchio per gli altri che sono stati rapiti e non tornano, essendo gli uomini tutti uguali dinanzi a Dio. Non trovano niente giusto il discorso del giorno dopo, quando egli ha dato rilievo all'alta statura culturale di Aldo Moro, perché dinanzi a Dio non vale nulla l'esito pubblico, la pubblica statura dell'uomo. Ci sembra che la fine della povera Cristina Mazzotti, il suo corpo ritrovato in un cumulo di rottami e rifiuti, abbia degradato e umiliato in tutti la qualità della vita. Ci sembra che si sia spalancato allora, dinanzi ai nostri occhi, in modo chiaro, lo scenario deserto al quale i nostri occhi si sarebbero più tardi, con orrore, avvezzati. Ma esso era aperto per noi in precedenza e l'avevamo individuato e scorto altre volte, se pure in forma indistinta e confusa. E' forse inutile enumerare le circostanze in cui ci siamo accorti che veniva degradata e umiliata la qualità della vita dentro di noi. Quando è stato sparato in viso a Casalegno sulla porta di casa sua, quando sono stati ammazzati i cinque della scorta in via Fani, quando sono ap¬ parse sui giornali le prime fotografie di Aldo Moro, il muro alle sue spalle, il deserto d'una stanza a noi ignota, o quando è stato ricattato lo Stato, abbiamo provato una sensazione non solo di strazio ma di umiliazione collettiva, che investiva tutti da vicino e da lontano, senza lasciare un solo essere indenne. Al tempo delle stragi degli ebrei, quando morivano o venivano incarcerati insieme politici e non politici, consapevoli e inconsapevoli, la qualità della vita era degradata e umiliata universalmente. Però la qualità della vita è stata degradata e umiliata ancora in mille altre circostanze meno vistose, per esempio nelle morti bianche dentro le fabbriche, o nel lavoro nero delle donne, e se noi non ci siamo accorti che il nostro scenario lentamente si deturpava, è stato per nostra incoscienza di tutti quanti siamo, politici e non politici, e per nostra generale ottusità. In quelle circostanze non vistose, le Brigate rosse non c'entravano, e semplicemente il suolo era pronto per i loro binari sotterranei, il paesaggio era pronto per ospitarli, così come nella Germania nazista tutto era in precedenza pronto per effettuare le stragi. Cosi ci siamo visti a un tratto circondati di uno scenario deserto, uniforme, dotato di una nuda e abbietta mediocrità, nel quale appare estremamente difficile formulare dei pensieri, custodire dei sentimenti, salvare qualcosa che non sia devastato e che non si pieghi alla devastazione. I non politici, come anche alcuni fra i politici, desiderano un mondo nuovo e migliore. L'idea d'un mondo nuovo e migliore, nella loro testa di non politici, è un'idea quanto mai vaga, rozza e confusa. Disegnandolo ben rozzamente, questo mondo migliore, essi hanno però un pensiero preciso, o anzi una speranza precisa, che sia là tenuta alta al di sopra di tutto la qualità della vita. Le vecchie parole della Rivoluzione francese, libertà, uguaglianza, fraternità, essi le vorrebbero finalmente, nel futuro, at¬ tuate. Le vorrebbero attuate senza versare una sola stilla di sangue, sia perché il mondo è stanco di stragi, sia perché la violenza mette orrore, sia perché essa annienta ogni idea sul nascere, creando immediatamente quello scenario immondo e mediocre, deserto di idee, livido e senza luce di gloria, che vediamo ora qui. Pensare a un mondo nuovo e migliore, avendo intorno a noi questo scenario, può sembrare roseo ottimismo, un inutile e roseo arabesco tracciato nel vuoto. In verità però la fede nel futuro può nascere nel cuore del pessimismo più cupo. Essa può essere illogica, incoerente, utopistica. « L'utopista — ha scritto Nicola Chiaramonte — ritiene che l'essenziale dell'uomo è ciò che non sta in nessun luogo, fuorché nella mente dell'uomo medesimo. L'utopista crede, cioè, nella realtà irriducibile dei pensieri, delle aspirazioni, degli affetti, delle immagini in cui si esprime il rapporto fra l'uomo e la realtà delle cose ». Alle Brigate rosse, allo scenario infernale che ci sta davanti, la risposta di tutti dovrebbe essere continuare ostinatamente a disegnare e a costruire, nell'onestà, l'idea d'un mondo nuovo e migliore, per quanto remota, irraggiungibile, impossibile essa appaia nella presente realtà devastata. Un simile mondo dovrebbe essere l'esatto contrario del mondo che si offre oggi al nostro sguardo. Dovrebbe esservi accesa di luce, in ognuno, sia l'idea della vita sia l'idea della morte. Per sentire ricondotta in alto la qualità della vita, a noi singoli basta poco, ed è colpa nostra se non siamo in grado di tenerla alta dentro di noi a lungo, e subito ci troviamo di nuovo caduti nell'abituale umiliazione. Ad alcuni di noi, è bastato, nei giorni scorsi, rileggere le parole, che non so quale giornale ha riportato, dell'ultima lettera di Guglielmo Jervis, morto nella Resistenza. « Non piangetemi, non chiamatemi povero. Muoio per aver servito un'idea ». Vorremmo anche noi, nel momento della morte, riuscire a rivolgere gli occhi a un futuro alto e ignoto, e non sappiamo se ci riuscirà, essendo le forze del male cosi imprevedibili e così sottili, e la natura umana cosi fragile, cosi imprevedibile, e così pietosa. « Muoio per aver servito un'idea » egli dice, e a noi sembra che sia proprio questo di cui oggi la gente ha una sete disperata, il servire un'idea, cioè il custodirla dentro di noi e offrirla in regalo agli altri. Benché egli ci chieda di non piangerlo, non riusciamo a rileggere quelle sue parole senza lagrime, e senza sentire spazzato via di colpo, per un attimo, l'intiero scenario del nostro presente. Natalia Ginzburg

Persone citate: Aldo Moro, Casalegno, Cristina Mazzotti, Guglielmo Jervis, Nicola Chiaramonte

Luoghi citati: Germania