Non conosce l'inglese, lo insegna di Giorgio Manacorda

Non conosce l'inglese, lo insegna Non conosce l'inglese, lo insegna I problemi che affliggono l'insegnamento delle lingue straniere in Italia sono, nel caso dell'inglese, moltiplicati dalla quantità dei discenti e dei docenti. Essendo infatti l'inglese la lingua straniera più studiata nel nostro Paese, ci troviamo di fronte ad un vero e proprio esercito di professori: 40.000 solo nelle scuole statali (circa 27.000 nella scuola media dell'obbligo). Se poi si pensa alla miriade di scuole private per l'insegnamento dell'inglese, la cifra sale vertiginosamente. Ma le scuole private ci sono perché l'insegnamento dell'inglese nelle scuole statali non funziona come dovrebbe. Infatti il 90 per cento di quei 40.000 docenti « ha una preparazione del tutto inadeguata al tipo di professionalità loro richiesta », come ha sottolineato il prof. Giorgio Malchiorri nella relazione d'apertura del primo congresso della Associazione Italiana di Anglistica, che si è appena tenuto a Roma. Come risolvere un problema tanto grave e complesso? Si tratta, soprattutto, di organizzare dei corsi di aggiornamento. Già, ma chi aggiorna gli aggiornatori? Dove si prende personale tanto qualificato da essere in grado di aggiornare la massa dei docenti? Il prof. Melchiorri ha fatto una proposta articolata, la quale prevede che siano le università a preparare gli esperti necessari per svolgere l'attività di aggiornamento. Si tratta di organizzare questo servizio su base regionale o al massimo interregionale, in modo da garantire la capillarità e il decentramento dell'intervento, ma, soprattutto, si tratta di ripensare la funzione culturale dei corsi di aggiornamento. Infatti non esiste soltanto il problema di una adeguata conoscenza della lingua da insegnare da parte dei docenti, « altrettanto importante deve ritenersi l'aggiornamento sulla dimensione cultura e letteratura inglesi; in primo luo¬ go perché è assurdo pensare ad un corretto sviluppo delle competenze a livello linguistico che non si accompagni ad un coerente sviluppo delle conoscenze correlate dall'ambiente culturale; in secondo luogo perché all'insegnamento delle lingue si associa, nelle scuole secondarie, l'insegnamento della civiltà, della letteratura, o di strutture e sistemi di campi tecnici (commerciale, industriale ecc.) ». Questo tipo di impostazione, ha ricordato il prof. Melchiorri, non può essere ignorata pena lo sviluppo di un analfabetismo culturale dei docenti della scuola secondaria. Ma, oltre a tutto ciò, va ricordato che nelle scuole italiane praticamente non esistono ausilii audiovisivi per l'insegnamento delle lingue straniere o, quando ci sono, manca il personale specializzato in grado di farli funzionare come dovrebbero. Gli insegnanti di lingue non hanno spesso nessuna prepara¬ zione teorica nel campo linguistico e in particolare nella linguistica applicata alla didattica. Nell'ambito del congresso si sono occupati di questi temi: De Martino (« l'insegnamento dell'inglese oggi tra il verbale e il non verbale »), Giannelli-Campagna (« la teoria pragmatistica delle funzioni del linguaggio e le sue possibilità di applicazione nel campo della glottodidattica»), Orletti (« il contributo della sociolinguistica alla didattica della lingua »), Frank (« gli errori di pronuncia, ovvero: vale veramente la pena di perdere tempo ad insegnare una pronuncia corretta? »). Questi alcuni dei temi linguisticamente più interessanti. L'altra metà del congresso non era linguistica, ma letteraria con interventi su autori come Ronald Firbank, Doris Lessing, Wilfred Owen, T.S. Eliot, Ted Hughes, Dannie Abse, Yeats e Bond. Giorgio Manacorda

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