Il più grande casino da gioco di Paolo Monelli

Il più grande casino da gioco A TUTTE LE ORE DEL tllORMO E DELLA MOTTE Il più grande casino da gioco Si direbbe che a Las Vegas non si mangi e non si dorma - Le tavole del faraone, della roulette, della tombola cinese circondate dalla folla Il trac trac delle "slot machines,,-Fino all'alba vedi gente tentar la sorte; ti alzi presto e ritrovi quella gente che volge carte e getta dadi... (Dal nostro inviato speciale) Las Vegas (Nevada). marzo, Lo Stato del Nevada ha la superficie dell'Italia e la popolazione di Taranto (170.000 abitanti). Si chiama Nevada, ma la neve la si vede soltanto, nel colmo dell'inverno, sulla cresta di lontane montagne azzurre, in forma di strìature sottili. E già a gennaio ci fa caldo come in aprile a P"' puoi: è un deserto limpido; lucido, sotto il cielo più trasparente d'America; con costoloni di roccia sorgenti qua e là, rossi e neri, e un lago artificiale crea¬ to da una diga che sbarra il fiume Colorado (naturalmente, il più grande lago artificiale del mondo, c la più alta diga del mondo). E' un altopiano fra i 1200 ed i 1500 metri; cielo di montagna è quello che lo custodisce, per questo è cosi leggero. ^ La guerra delle nuvole Il Nevada ha una capitale che si chiama Carson City, con 3000 abitanti, ed è la più piccola capitale degli Stati Uniti che di piccole capitali ne ha tante, dato il fatto che ogni Stato destina a questo ufficio un borgo o una cittadina che non abbia altre risorse, adatta a metterci uffici governativi e un bel Campidoglio e basta, senza impicci di industrie o di traffici. La parola < capitale » in America è veramente deprezzala, quasi come il titolo di ambasciatore da noi (abbiamo un ambasciatore nella Repubblica Dominicana, per esempio, che ha due milioni di abitanti in tutto). In compcnso.il Nevada ha un senatore che è un pezzo grosso assai. Veramente, senatori ne ha due, come del resto ogni altro Stato della Confederazione; in questo campo vige la regola della parità assoluta fra grandi e piccoli, manda due senatori a Washington lo Stato di Nuova York che ha 15 milioni di abitanti, e ne manda due il Nevada che ne ha la novantesima parte; e così avviene in certi casi al Senato che una dozzina di senatori dell'Ovest che rappresentano tutti insieme quattro milioni di cittadini possono far passare una legge contro l'opinione di una dozzina di senatori del Centro e dell'Est che hanno dietro a sè una cinquantina di milioni di cittadini. Ma il senatore importante del Nevada è uno, è il notissimo (stavo per dire famigerato) McCarran, autore della famosa legge sull'emigrazione, restrittiva e faziosa, che ha suscitato le proteste dei più illuminati membri del suo partito (il i«iiifti*iiiiiiiifiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiitiiitiiiini4ii i e o , a a s , à i E i a democratico) e di Truman stesso; cattolico e fanatico come tutti gli irlandesi, con due figlie suore che vorrebbe far promuovere a badesse, puritanissimo itti gesti e nelle parole, spietato contro gli immigranti in ognuno dei quali, specie se sia di razza latina, vede un fasciata o un comunista; ed è il dittatore di questo Stato amabile e divertente, ma che tnaomma vive e proapera per il gioco, t divorzi, e quelle ospitali usanze che la senatrice Merlin ha in abbominio Il Nevada adesso è di moda per gli esperimenti atomici, ma non lasciatevela contar lunga da quelli che temono che ne possa venir danno alle ospitali cittadine di Reno e di Las Vegas e al loro affari di divorzio facile e di gioco autorizzato, vi ho detto che il Nevada è grande più o meno come l'Italia; che può importare ai romani uno scoppio atomico che avesse luogo nella pianura padana, anche se ne vedessero riflesso sul loro orizzonte il lampo della conflagrazione T (E' vero che lo scoppio della bomba atomica eseguito nel Nevada nel 1951, a quanto dicono, bastò a far dissolvere la nebbia a Los Angeles 500 chilometri distante, e — aggiungono — a far nevicare neve radioattiva nello Stato di Nuova York, 3600 chilometri più a est). Certo sono materia di curiosità gli esperimenti con le forze naturali che l'America si può concedere il lusso di fare in questi infiniti deserti; a questo proposito mi hanno raccontato che cinque anni fa stava per scoppiare una guerra, la guerra delle nuvole, fra il Nevada e lo Utah che confina all'Est e di cui vi ho dato un' idea descrivendovelo come l'ho visto dall'aereo (un altro deserto, ma di sale e di fango disseccato). I chimici americani si vantano di far quello che vogliono delle nuvole, irrorandole con certe sostanze; cosi avvenne che l'inverno del 1948 quei tecnici, nell'intento di far cadere una bella nevicata su un luogo di diporti invernali vicino a Reno, fecero scoppiare nubi che il vento avrebbe altrimenti portate a sgravarsi sullo Utah, che aveva bisogno di neve per la stessa ragione; e ci furono parole grosse fra i due Stati e la minaccia dello Utah di ricorrere ai tribunali. Carnevale perpetuo Dopo un giorno o due che ero a Las Vegas la gente del posto mi ha chiesto le mie impressioni. Ho risposto sùbito, «un perpetuo carnevale in un perpetuo paradiso ». JS non sapevo ancora che nel Nevada non si pagano taaae d'alcun genere; non c'è imposta sul reddito, non c'è tassa di scambio, non c'è tassa di eredità; ai bisogni del Governo basta una tassa del due per cento sui proventi delle tavole del gioco. Per quella definizione di paradiso, bisogna intendersi. Chi pensi al golfo di Napoli, alla costa amalfitana, o per stare in America alla riviera del Pacifico o alla Florida, e identifichi il paradiso in terra con boschi di palme, rigogliosi giardini, brezze oceaniche, potrebbe trovar da ridire alle mie parole. Ma questo deserto ai miei occhi ha una bellezza serena e grandiosa, nettissimi colori, una vastità vertiginosa resa maggiore dal fatto che questo ai- 11111m 111111;1111111111i111111 c111111111111■)11111ji 11 topiano è come una immensa vetta senz'altri confini che il cielo, non lo chiudono nè lo limitano t gruppi montuosi qua e td che balzan su improvvisi dalla pianura; sono come isole nell'oceano, che fanno apparire più ampia la distesa d'acque che le avvolge. E non c'è traccia di lavoro umano a perdita d'occhio,.solo ogni tanto una fabbrica, come questa di magnesia vicino a Las Vegas, che ha l'aspetto di un accampamnnto di pionieri, bianco, nell'aperto silenzio della steppa. E le città sono gaie, senza storia, senza ricordi, senza monumenti, vengono su improvvise dal deserto senza sobborghi, con muri e facciate ohe sono come cartelloni allegri e promettenti. E si annunciano di lontano, sulle dirittissime strade che vi conducono, con raro traffico, da farci te ottanta miglia all'ora; cinque o sei miglia prima di Las Vegas insegne colorate dicono che vi avvicinate al World's largest gambling center, al più grande luogo di gioco del mondo, al Last frontier vlllage, al show place of the nation (il teatro della nazione); e vi avvertono che nel tale club troverete real West bad men, veri uomini selvaggi del West; e vi invitano to enioy the Old West, a godervi il vecchio West, e vi avvertono che nel Nugget Restaurant troverete — non ve l'immaginatef — world's finest food, il miglior cibo del mondo, e questa davvero è la più grande la più sgangherata bugia che si sia mai detta al mondo. (Non per il Nugget Restaurant, poverino, che farà quel che può; ma perchè la cucina americana è quell'alchimia frettolosa e insipida di cui vi ho già detto). In maniche di camicia E quanto al carnevale, qui la gente del luogo se la gode alle spalle di quelli che tengono qui a giocare, o a tra\., scorrere le sei settimane piescritte per ottenere il divorzio; e anche questi consumano la giornata giocando nei comodi alberghi che hanno piscine e sale refrigerate, e la sera assistendo ai più raffinati spettacoli di varietà che offra l'America; che questi impresari di Las Vegas, padroni delle sale da gioco, possono offrire ai balletti, ai canterini, ai buffi, alle ragazze che si spogliano e a quelle che danzano e che cantano, le più alla moda, compensi che nè Broadway nè Chicago si possono permettere. Ma cene e spettacoli e occasionalmente una gita in auto alla diga del Colorado o ai boschi sulle pendici della Sierra Nevada sono cose di secondo ordine, sono accessori; quello che conta qui è il gioco; e Las Vegas, con i suoi 25.000 abitanti (e altrettanti visitatori) è un solo unico casino da gioco. Si gioca dappertutto, negli alberghi, nei bar, nelle trattorie, nei club, nell'atrio della stazione, all'aeroporto. Prima di tutto ci sono le slot machines ad ogni cantone, macchine in cui si introduce una moneta, e si spera abbassando una leva di veder uscire da una bocchetta un buon gruzzolo, e magari tutte le monete del serbatoio. Trac trac, trac trac, il rumore secco della leva abbassata e riportata a posto è come rombo di cascata per chi ci abiti vicino, non cessa mai, si comincia a sentirlo all'aeroporto appena sbarcati, che mentre si aspetta che portino le valigie i più impazienti, già si sono messi alle leve; invade la notte la camera dell'albergo- salendo dalle stanze del pianterreno; vi accompagna andando per le vie, mettendo la testa dentro a ogni bar o club. Ma poi in tutti gli alberghi, negli atrli dei ristoranti, in tutte le case, dentro tutti i portoni, ci sono le tavole dei dadi, del faraone, della roulette, del poker, del 21 (che è una specie di sette e mezzo), della tombola cinese, di non so quanti altri giochi. ' Las Vegas è tutta un casino; ma non ha nulla della spocchia, della ipocrita rispettabilità dei casini da gioco europei, con i croupiers in smoking e inservienti in uniforme e severi ispettori che condizionano l'accesso alle tavole. Qui i croupiers sono in maniche di camicia, con cravatte di inverosimili colori e disegni, al faraone i distributori di carte (dealers) nonno camicie azzurre da cow-boy. Scamiciati sono anche i più dei giocatori, tacce da fattori, da operai, da impiegati di banca, da niacchinisti, da pugnatori, con cappelloni in capo che non si tolgono mai; le donne ton poche, e vecchie le più, accanite alle macchine per ore ed ore; ma si vedono anche ragazzetto acerbe in costume indiano, una specie di sahariana di pelle con l'orlo frangiato e pantaloni a campana. E le sale da gioco hanno l'aspetto di certi luoghi equivoci per i due sessi, con oleografie alle pareti che rappresentano donne nude su divani. Il primo sole Si gioca a tutte le ore del giorno e della notte. Non ci credevo, quando me lo dissero; ci sarà l'ora in cui scopano le sale, pensavo, fanno un po' d'ordine, cambiano l'aria. Ma che. Scopano fra le gambe dei giocatori, ogni tanto mettono fuori servÌ2io una tavola; e questo è tutto. Accanto alle sale del gioco c'è il banco per mangiare, che funziona anche questo giorno e notte; i giocatori vengono a sedersi in fretta, mandano giù qualcosa, sempre col cappello in testa e l'occhio impaziente verso le tavole del gioco. Stetti in giro per la città fino all'alba, la prima notte. Alle quattro di notte, negli alberghi, la folla era sempre la stessa; in quelli di lusso nella parte nuova c'era, in più, qualche donna giovane ed elegante, qualche signore con la giacchetta da sera, accanto ai cornicioni rossi e blu a quadri che portano quelli del Texas, e quelli che li imitano. Andando per la via principale, fiammeggiante di luci come di prima sera, guardavo dentro alle vetrine, vedevo sempre gente, molta o poca; certi bar avevano abbassato la luce, i camerieri sonnecchiavano sulle panche, ma davanti alle macchine c'era sempre qualcuno, vecchi dal viso allucinato, donnette, macchine esse stesse nel moto regolare e ritmico impresso alla leva, trac trac, trao trac. Andai a letto, sognai per due o tre ore dadi rotolanti sulle tavole, carte voltate, palline, il trac trac delle leve delle slot machines. Mi alzai prestissimo, scesi al pianterreno, c'era gente a tutte le tavole, nell'atmosfera greve, chiusa, acre di fumo. Specialmente davanti alla tombola cinese uomini con cappelloni a larghe tese stavano seduti su due file di seggiole parallele ad una tavola, col gomito sulla tavola, guardando immobili ad un cartellone su cui comparivano numeri ogni tanto. Uscii. Sui tetti e lungo le facciate delle case inondato dal primo sole, le insegne luminose della notte precedente erano grottesche armature di fili di ferro, scritte cubitali e pupazzi enormi campati in aria. Il deserto veniva fin contro alla soglia dell'dlbergo, giallo, splendente nel mattino puro. Il cielo era più lieve che mai, ripulito dal vento. Veniva col vento un mentore fresco, di lontananze pulite. Ma in tutti gli atrii, i bar, i club, gli alberghi, dentro tutti i portoni, traverso finestre e vetri?ie, vedevo gente che si era alzata prima di me, o non era ancora andatu a dormire, ammucchiata attorno alle tavole, intenta a volger carte, a pittar dadi, a manovrare con gesto uguale le leve 'elle macchine, trac trac, trac trac, trac trac. Paolo Monelli

Persone citate: Merlin