I calabresi in Riviera

I calabresi in Riviera I calabresi in Riviera A Taggia ce ne sono 2500 - Nessuno vuole tornare indietro: la terra natia non offre alcuna speranza - Qualche screzio coi liguri, ma in fondo si vogliono bene {Dal nostro inviato speciale) Taggia, 17 febbraio. Nei paesi della riviera li chiamano « i calabrotti > ma senza ombra di odio nè di disprezzo, forse con un po' di commiserazione. Il suono si addice al tipo dell'immigrato calabrese: mani enormi, spalle robuste ingobbite, sguardo scuro, un andar impacciato, un gestire grezzo, la parola o troppo spinta o troppo sottomessa, un chiudersi frequente ed improvviso in reticenze inesplicabili, in una diffidenza che è paura degli altri e di se medesimi. Il calabrese, prima di arrivare in Riviera, ignorava che al mondo si potesse vivere e guadagnare bene con i fiori. Per lui il problema è sempre stato diverso: pane, non fiori. Segreto professionale Il maresciallo dei carabinieri di un paese vicino a Taggia, mi ha spiegato il segreto professionale con cui riesce a tenere calma la colonia dei calabresi, quando risse e beghe rischiano di turbare la serenità della convivenza: « Vi faccio rimpatriare >. La minaccia ha un effetto prontissimo, è un calmante sicuro. Il calabrese non vuole tornare indietro: alle sue spalle ci sono pietre, fame, nessuna speranza. E come mai, dunque, a Taggia, nella notte tra giovedì e venerdì lampeggiarono i coltelli tra i fuochi di gioia di San Benedetto? Ieri le macchine da presa della Incom giunsero sulla piazza principale della cittadina: il regista reclutò comparse e invitò a ripetere la scena. I taggesi si prestarono malvolentieri, c Tutto è Anito > assicurarono. Oggi, infatti, nelle osterie bevevano insieme, riconciliati, i calabresi e i taggesi. Tutto è finito: la Celere è ritornata già l'altro giorno in caserma, ad Imperia, i rinforzi di carabinieri sono pure stati ritirati. Non c'è mai stato coprifuoco, soltanto la prudenza consigliava a non uscire di notte, ad evitare cattivi incontri. < Per favore — telefonò il ma' resciallo di Taggia ai suoi superiori, l'indomani dell'accaduto — per favore richiamate in sede tutti gli agenti, tutti i carabinieri. La calma è ritornata, non c'è bisogno di stato d assedio ». Tutto è finito anche se due dei cinque taggesi rimasti feriti nella mischia si trovano ancora all'ospedale; anche se il questore ha ordinato il rimpatrio d'autorità di qualche immigrato in posizione irregolare. E' difficile acquistare la cittadinanza taggese: ie domande crescono a vista d'occhio nell'ufficio del sindaco, e così avviene anche a Ventimiglia, a Coldirodi, e in molti altri centri. I primi calabresi — alcune centinaia — che scoprirono la Riviera, vi giunsero in tempo di guerra, in divisa. Molti si fermarono a lasciar passare i mesi. Vi furono idilli], matrimoni. Qualche caso di bigamia si rivelò appena le due Italie, separate dalla linea gotica, si riunirono. Ma, in sostanza, nessuno screzio tra i due i gruppi etnici » dei rivieraschi e dei nuovi arrivati. Con i primi risparmi, il calabrese tornò al suo paesello: veBtiva l'abito nuovo. Suscitò ammirazione e Invidia. « Ha fatto fortuna » commentarono i compaesani, sgranando gli occhi. E così un parente dopo l'altro, i Rocco, i Gennaro, gli Antonino si moltiplicarono di anno in anno. E tutto ciò in silenzio, come se si trattasse di un colpevole contrabbando. Oggi a Taggia la giornata è trascorsa tranquillissima. Fu un malinteso a provocare il pandemonio dell'altra notte. Il punto di rottura dell'equilibrio fra i due gruppi fu determinato all'urto di due tradizioni ugualmente secolari. Nella notte di San Benedetto i taggesi sfrenano la loro gioia, dando fuoco a mortaretti e accendendo falò e < furgarl >, con i quali rincorrono le loro donne per la strada. I « furgari » sono specie di razzi di polvere pirica, carbone e limatura di fprro. Ogni anno Taggia consuma qualche quintale di questa miscela per la gioia di San Benedetto. Nè le ragazze del luogo eì sottraggono ai lieti spas-entl della festa paesana. E come lo potrebbero, se quei fuochi rappresentano una galanteria, della quale le loro mamme e le nonne mostrano encora alle caviglie qualche ricordo? Furore aggressivo Tradizione per tradizione: anche la Calabria ha le sue, non meno rusticane. Quando un « f urgaro » lambì troppo da vicino una ragazza calabrese che passeggiava con il fidanzato, ciò parve un affronto. E non era che un omaggio. Ci fu il solito scambio di « complimenti » che contrassegna le dispute tra settentrionali e meridionali. I calabresi eccitati scomparvero e tornarono poco dopo sulla piazza con i coltelli. Sembrarono, per un momento, decisi a scannare tutta la Gioventù del paese. In realtà, n facevano cne mettere allo to 1 segreti pungiglioni armata la loro indiai Hanno l'anima . ,n sanguinaria. Centinaia 1. ci '«metri separano la Liguria ... l'alabria; là è ancora notte c j plende il sole. di fesa i ispida, L'indomani, due calabresi furono « linciati ». Si dice cosi, a Taggia, rnche se non si trattò che di due solenni bastonature. Ma il termine indica bene il furore aggressivo con cui la popolazione cercò vendetta. Ma non vi fu. tuttavia, quell'aria da vespri siciliani che appare da certe cronache. E le grida, e le scritte ostili ai meridionali sono state rapidamente rimangiate e cancellate dopo quello sfogo che oggi anche i calabresi comprendono. « Si vogliono bene, in fondo », commenta il maresciallo. Perchè poi, tornati a ragionare a mente fredda, 1 liguri si sono resi conto che il calabrese è diventato importante, forse Indispensabile, alla vita economica della Riviera. L'anno scorso, da lavoratori robusti e indefessi quali sono, i calabresi salvarono il raccolto delle olive; gran parte di terreni gerbidi sono stati bonificati dalle loro braccia e dalle loro zappe. Riconoscenza a parte, c'è anche il tornaconto. Gli immigrati si accontentano di 500 o 600 lire alla giornata, la metà della paga salariale. In più ignorano le malizie dei lavoratori locali, non conoscono la « previdenza », non pretendono contributi. S'accontentano di sgobbare, dormono sulla paglia, mangiano sobriamente. Cosi il floricultore li assume volentieri. Sarà un bene, sarà un male, questa è la realtà della quale sono malcontenti soltanto pochi braccianti del luogo, che si vedono battuti tlIMllEIflIllliriMIITItlIIIIirilllMIIIltllIIIIIIMIflTII dalla concorrenza meridionale. Per questo, Taggia ama non ritornare sulla triste scenata di San Benedetto e gli stessi calabresi (sono circa 2500 su 7500 anime) se he dichiarano pentiti e lo sono. Basta poco alla loro felicità: basta il confronto del presente con quel baratro di miseria da cui sono usciti. g. gh. -♦>-.—